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Pietro Metastasio
La clemenza di Tito

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ATTO SECONDO

 

SCENA PRIMA

 

Portici

.

Sesto solo, col distintivo de’ congiurati sul manto.

 

SES.

Oh dèi, che smania è questa!

Che tumulto ho nel cor! Palpito, agghiaccio:

M’incammino, m’arresto: ogni aura, ogni ombra

Mi fa tremare. Io non credea che fosse

difficile impresa esser malvagio.

Ma compirla convien. Già per mio cenno

Lentulo corre al Campidoglio. Io deggio

Tito assalir. Nel precipizio orrendo

È scorso il piè. Necessità divenne

Ormai la mia ruina. Almen si vada

Con valore a perir. Valore? E come

Può averne un traditor? Sesto infelice,

Tu traditor! Che orribil nome! E pure

T’affretti a meritarlo. E chi tradisci?

Il più grande, il più giusto, il più clemente

Principe della terra, a cui tu devi

Quanto puoi, quanto sei. Bella mercede

Gli rendi in vero! Ei t’innalzò per farti

Il carnefice suo. M’inghiotta il suolo

Prima ch’io tal divenga. Ah! non ho core,

Vitellia, a secondar gli sdegni tui:

Morrei, prima del colpo, in faccia a lui.

S’impedisca... Ma come,

Or che tutto è disposto?... Andiamo, andiamo

Lentulo a trattener. Sieguane poi

Quel che il fato vorrà. Stelle, che miro!

Arde già il Campidoglio! Aimè! l’impresa

Lentuto incominciò. Forse già tardi

Sono i rimorsi miei.

Difendetemi Tito, eterni dèi! (vuol partire)

 

 

 




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