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Pietro Metastasio La clemenza di Tito IntraText CT - Lettura del testo |
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Sesto solo, col distintivo de’ congiurati sul manto.
SES.
Che tumulto ho nel cor! Palpito, agghiaccio:
M’incammino, m’arresto: ogni aura, ogni ombra
Mi fa tremare. Io non credea che fosse
Sì difficile impresa esser malvagio.
Ma compirla convien. Già per mio cenno
Lentulo corre al Campidoglio. Io deggio
Tito assalir. Nel precipizio orrendo
È scorso il piè. Necessità divenne
Ormai la mia ruina. Almen si vada
Con valore a perir. Valore? E come
Può averne un traditor? Sesto infelice,
Tu traditor! Che orribil nome! E pure
T’affretti a meritarlo. E chi tradisci?
Il più grande, il più giusto, il più clemente
Principe della terra, a cui tu devi
Quanto puoi, quanto sei. Bella mercede
Gli rendi in vero! Ei t’innalzò per farti
Il carnefice suo. M’inghiotta il suolo
Prima ch’io tal divenga. Ah! non ho core,
Vitellia, a secondar gli sdegni tui:
Morrei, prima del colpo, in faccia a lui.
S’impedisca... Ma come,
Or che tutto è disposto?... Andiamo, andiamo
Lentulo a trattener. Sieguane poi
Quel che il fato vorrà. Stelle, che miro!
Arde già il Campidoglio! Aimè! l’impresa
Lentuto incominciò. Forse già tardi
Sono i rimorsi miei.
Difendetemi Tito, eterni dèi! (vuol partire)