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Pietro Metastasio
La clemenza di Tito

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ATTO TERZO

 

SCENA PRIMA

 

Camera chiusa, con porte, sedia e tavolino, con sopra da scrivere.

 

Tito e Publio

 

PUB.

Già de’ pubblici giuochi,

Signor, l’ora trascorre. Il solenne

Sai che non soffre il trascurarli. È tutto

Colà, d’intorno alla festiva arena,

Il popolo raccolto, e non si attende

Che la presenza tua. Ciascun sospira,

Dopo il noto periglio,

Di rivederti salvo. Alla tua Roma

Non differirbel contento.

TITO

Andremo,

Publio, fra poco. Io non avrei riposo,

Se di Sesto il destino

Pria non sapessi. Avrà il Senato ormai

Le sue discolpe udite; avrà scoperto,

Vedrai, ch’egli è innocente; e non dovrebbe

Tardar molto l’avviso.

PUB.

Ah! troppo chiaro

Lentulo favellò.

TITO

Lentulo forse

Cerca al fallo un compagno,

Per averlo al perdono. Ei non ignora

Quanto Sesto m’è caro. Arte comune

Questa è de’ rei. Pur dal Senato ancora

Non torna alcun! Che mai sarà? Va, chiedi

Che si fa, che s’attende. Io tutto voglio

Saper pria di partir.

PUB.

Vado: ma temo

Di non tornar nunzio felice.

TITO

E puoi

Creder Sesto infedele? Io dal mio core

Il suo misuro; e un impossibil parmi

Ch’egli m’abbia tradito.

PUB.

Ma, signor, non han tutti il cor di Tito.

 

Tardi s’avvede

D’un tradimento

Chi mai di fede

Mancar non sa.

Un cor verace,

Pieno d’onore,

Non è portento,

Se ogni altro core

Crede incapace

D’infedeltà. (parte)

 

 

 




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