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Pietro Metastasio
La clemenza di Tito

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SCENA DECIMA

 

Vitellia, e poi Annio e Servilia da diverse parti.

 

VIT.

Non giova lusingarsi;

Sesto già mi scoperse: a Publio istesso

Si conosce sul volto. Ei non fu mai

Con me sì ritenuto; ei fugge; ei teme

Di restar meco. Ah! secondato avessi

Gl’impulsi del mio cor. Per tempo a Tito

Dovea svelarmi e confessar l’errore.

Sempre in bocca d’un reo, che la detesta,

Scema d’orror la colpa. Or questo ancora

Tardi saria. Seppe il delitto Augusto,

E non da me. Questa ragione istessa

Fa più grave...

SERV.

Ah, Vitellia!

ANN.

Ah, principessa!

SERV.

Il misero germano...

ANN.

Il caro amico...

SERV.

È condotto a morir.

ANN.

Fra poco, in faccia

Di Roma spettatrice,

Delle fiere sarà pasto infelice.

VIT.

Ma che posso per lui?

SERV.

Tutto. A’ tuoi prieghi

Tito lo donerà.

ANN.

Non può negarlo

Alla novella Augusta.

VIT.

Annio, non sono

Augusta ancor.

ANN.

Pria che tramonti il sole

Tito sarà tuo sposo. Or, me presente,

Per le pompe festive il cenno ei diede.

VIT.

(Dunque Sesto ha taciuto! Oh amore! oh fede!)

Annio, Servilia, andiam. (Ma dove corro

Così, senza pensar?). Partite, amici:

Vi seguirò.

ANN.

Ma, se d’un tardo aiuto

Sesto fidar si dee, Sesto è perduto. (parte)

VIT.

Precedimi tu ancor. (a Servilia) Un breve istante

Sola restar desio.

SERV.

Deh! non lasciarlo

Nel più bel fior degli anni

Perir così. Sai che fin or di Roma

Fu la speme e l’amore. Al fiero eccesso

Chi sa chi l’ha sedotto. In te sarebbe

Obbligo la pietà. Quell’infelice

T’amò più di se stesso; avea fra’ labbri

Sempre il tuo nome; impallidia qualora

Si parlava di te. Tu piangi!

VIT.

Ah! parti.

SERV.

Ma tu perché restar? Vitellia, ah! parmi...

VIT.

Oh dèi! parti, verrò: non tormentarmi!

SERV.

Se altro che lagrime

Per lui non tenti,

Tutto il tuo piangere

Non gioverà.

A questa inutile

Pietà che senti,

Oh, quanto è simile

La crudeltà! (parte)

 

 

 




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