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Pietro Metastasio La clemenza di Tito IntraText CT - Lettura del testo |
Innanzi, atrio del tempio di Giove Statore, luogo già celebre per le adunanze del Senato; indietro, parte del Foro romano, magnificamente adornato d’archi, obelischi e trofei; da’ lati, veduta in lontano deI monte Palatino e d’un gran tratto della via Sacra; in faccia, aspetto esteriore del Campidoglio, e magnifica strada per cui vi si ascende.
Nell’atrio suddetto saranno Publio, i senatori romani e i legati delle province soggette, destinati a presentare al Senato gli annui imposti tributi. Mentre Tito, preceduto da’ littori, seguìto da’ pretoriani, accompagnato da Sesto e da Annio, e circondato da numeroso popolo, scende dal Campidoglio, cantasi il seguente
CORO
Serbate, o dèi custodi
Della romana sorte,
In Tito, il giusto, il forte,
L’onor di nostra età.
Voi gi’immortali allori
Su la cesarea chioma,
Voi custodite a Roma
La sua felicità.
Fu vostro un sì gran dono;
Sia lungo il dono vostro;
L’invidii al mondo nostro
Il mondo che verrà.
Sulla fine del coro suddetto giunge Tito nell’atrio, e nel tempo medesimo Annio e Sesto da diverse parti
PUB.
Te «della patria il padre» (a Tito)
Oggi appella il Senato; e mai più giusto
Non fu ne’ suoi decreti, o invitto Augusto.
ANN.
Né padre sol, ma sei
Suo nume tutelar. Più che mortale
Giacché altrui ti dimostri, a’ voti altrui
Comincia ad avvezzarti. Eccelso tempio
Ti destina il Senato; e là si vuole
Che fra divini onori
Anche il nume di Tito il Tebro adori.
PUB.
Quei tesori che vedi,
Delle serve province annui tributi,
All’opra consacriam. Tito non sdegni
Questi del nostro amor pubblici segni.
TITO
Romani, unico oggetto
È dei voti di Tito il vostro amore;
Ma il vostro amor non passi
Tanto i confini suoi,
Che debbano arrossirne e Tito e voi.
Più tenero, più caro
Nome che quel di padre
Per me non v’è; ma meritarlo io voglio,
Ottenerlo non curo. I sommi dèi,
Quanto imitar mi piace,
Aborrisco emular. Li perde amici
Chi li vanta compagni: e non si trova
Follia la più fatale
Che potersi scordar d’esser mortale.
Quegli offerti tesori
Non ricuso però: cambiarne solo
L’uso pretendo. Udite. Oltre l’usato
Terribile il Vesevo ardenti fiumi
Dalle fauci eruttò; scosse le rupi,
Riempié di ruine
I campi intorno e le città vicine.
Le desolate genti
Fuggendo van; ma la miseria opprime
Quei che al fuoco avanzar. Serva quell’oro
Di tanti afflitti a riparar lo scempio.
Questo, o Romani, è fabbricarmi il tempio.
ANN.
Oh vero eroe!
PUB.
Quanto di te minori
Tutti i premi son mai, tutte le lodi
CORO
Serbate, o dèi custodi
Della romana sorte,
In Tito, il giusto, il forte,
L’onor di nostra età.
TITO
Basta, basta, o Quiriti.
Sesto a me s’avvicini; Annio non parta;
Ogni altro si allontani. (si ritirano tutti fuori dell’atrio, e vi rimangono Tito, Sesto ed Annio)
ANN.
(Adesso, o Sesto,
Parla per me).
SES.
Come, signor, potesti
La tua bella regina...
TITO
Ah, Sesto, amico,
Che terribil momento! Io non credei...
Basta, ho vinto: partì. Grazie agli dèi!
Giusto è ch’io pensi adesso
A compir la vittoria. Il più si fece:
Facciasi il meno.
SES.
E che più resta?
TITO
A Roma
Toglier ogni sospetto
Di vederla mia sposa.
SES.
Assai lo toglie
La sua partenza.
TITO
Un’altra volta ancora
Partissi e ritornò. Del terzo incontro
Dubitar si potrebbe; e, fin che vuoto
Il mio talamo sia d’altra consorte,
Chi sa gli affetti miei
Sempre dirà ch’io lo conservo a lei.
Il nome di regina
Troppo Roma aborrisce. Una sua figlia
Vuol veder sul mio soglio;
E appagarla convien. Giacché l’amore
Scelse in vano i miei lacci, io vuo’ che almeno
L’amicizia or gli scelga. Al tuo s’unisca,
Sesto, il cesareo sangue. Oggi mia sposa
Sarà la tua germana.
SES.
Servilia?
TITO
Appunto.
ANN.
(Oh me infelice!)
SES.
(Oh dèi!
Annio è perduto).
TITO
Udisti?
Che dici? Non rispondi?
SES.
E chi potrebbe
Risponderti, o signor? M’opprime a segno
La tua bontà, che non ho cor... Vorrei...
ANN.
(Sesto è in pena per me).
TITO
Spiegati. Io tutto
Farò per tuo vantaggio.
SES.
(Ah! si serva l’amico).
ANN.
(Annio, coraggio!)
SES.
Tito!... (risoluto)
ANN.
(risoluto) Augusto, io conosco
Di Sesto il cor. Fin dalla cuna insieme
Tenero amor ne stringe. Ei, di se stesso
Modesto estimator, teme che sembri
Sproporzionato il dono; e non s’avvede
Ch’ogni distanza eguaglia
D’un Cesare il favor. Ma tu consiglio
Da lui prender non déi. Come potresti
Sposa elegger più degna
Dell’impero e di te? Virtù, bellezza,
Tutto è in Servilia. Io le conobbi in volto
Ch’era nata a regnar. De’ miei presagi
L’adempimento è questo.
SES.
(Annio parla così! Sogno o son desto?)
TITO
E ben! recane a lei,
Annio, tu la novella; e tu mi siegui,
Amato Sesto, e queste
Tue dubbiezze deponi. Avrai tal parte
Tu ancor nel soglio, e tanto
T’innalzerò, che resterà ben poco
Dello spazio infinito,
Che frapposer gli dèi fra Sesto e Tito.
SES.
Questo è troppo, o signor. Modera almeno,
Se ingrati non ci vuoi,
Modera, Augusto, i benefizi tuoi.
TITO
Ma che! se mi negate
Che benefico io sia, che mi lasciate?
Del più sublime soglio
L’unico frutto è questo:
Tutto è tormento il resto,
E tutto è servitù.
Che avrei, se ancor perdessi
Le sole ore felici
Che ho nel giovar gli oppressi,
Nel sollevar gli amici,
Nel dispensar tesori
Al merto e alla virtù? (parte)