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Pietro Metastasio
La clemenza di Tito

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SCENA QUINTA

 

Innanzi, atrio del tempio di Giove Statore, luogo già celebre per le adunanze del Senato; indietro, parte del Foro romano, magnificamente adornato d’archi, obelischi e trofei; da’ lati, veduta in lontano deI monte Palatino e d’un gran tratto della via Sacra; in faccia, aspetto esteriore del Campidoglio, e magnifica strada per cui vi si ascende.

 

Nell’atrio suddetto saranno Publio, i senatori romani e i legati delle province soggette, destinati a presentare al Senato gli annui imposti tributi. Mentre Tito, preceduto da’ littori, seguìto da’ pretoriani, accompagnato da Sesto e da Annio, e circondato da numeroso popolo, scende dal Campidoglio, cantasi il seguente

 

CORO

Serbate, o dèi custodi

Della romana sorte,

In Tito, il giusto, il forte,

L’onor di nostra età.

Voi gi’immortali allori

Su la cesarea chioma,

Voi custodite a Roma

La sua felicità.

Fu vostro un sì gran dono;

Sia lungo il dono vostro;

L’invidii al mondo nostro

Il mondo che verrà.

 

Sulla fine del coro suddetto giunge Tito nell’atrio, e nel tempo medesimo Annio e Sesto da diverse parti

 

PUB.

Te «della patria il padre» (a Tito)

Oggi appella il Senato; e mai più giusto

Non fu ne’ suoi decreti, o invitto Augusto.

ANN.

Né padre sol, ma sei

Suo nume tutelar. Più che mortale

Giacché altrui ti dimostri, a’ voti altrui

Comincia ad avvezzarti. Eccelso tempio

Ti destina il Senato; e là si vuole

Che fra divini onori

Anche il nume di Tito il Tebro adori.

PUB.

Quei tesori che vedi,

Delle serve province annui tributi,

All’opra consacriam. Tito non sdegni

Questi del nostro amor pubblici segni.

TITO

Romani, unico oggetto

È dei voti di Tito il vostro amore;

Ma il vostro amor non passi

Tanto i confini suoi,

Che debbano arrossirne e Tito e voi.

Più tenero, più caro

Nome che quel di padre

Per me non v’è; ma meritarlo io voglio,

Ottenerlo non curo. I sommi dèi,

Quanto imitar mi piace,

Aborrisco emular. Li perde amici

Chi li vanta compagni: e non si trova

Follia la più fatale

Che potersi scordar d’esser mortale.

Quegli offerti tesori

Non ricuso però: cambiarne solo

L’uso pretendo. Udite. Oltre l’usato

Terribile il Vesevo ardenti fiumi

Dalle fauci eruttò; scosse le rupi,

Riempié di ruine

I campi intorno e le città vicine.

Le desolate genti

Fuggendo van; ma la miseria opprime

Quei che al fuoco avanzar. Serva quell’oro

Di tanti afflitti a riparar lo scempio.

Questo, o Romani, è fabbricarmi il tempio.

ANN.

Oh vero eroe!

PUB.

Quanto di te minori

Tutti i premi son mai, tutte le lodi

CORO

Serbate, o dèi custodi

Della romana sorte,

In Tito, il giusto, il forte,

L’onor di nostra età.

TITO

Basta, basta, o Quiriti.

Sesto a me s’avvicini; Annio non parta;

Ogni altro si allontani. (si ritirano tutti fuori dell’atrio, e vi rimangono Tito, Sesto ed Annio)

ANN.

(Adesso, o Sesto,

Parla per me).

SES.

Come, signor, potesti

La tua bella regina...

TITO

Ah, Sesto, amico,

Che terribil momento! Io non credei...

Basta, ho vinto: partì. Grazie agli dèi!

Giusto è ch’io pensi adesso

A compir la vittoria. Il più si fece:

Facciasi il meno.

SES.

E che più resta?

TITO

A Roma

Toglier ogni sospetto

Di vederla mia sposa.

SES.

Assai lo toglie

La sua partenza.

TITO

Un’altra volta ancora

Partissi e ritornò. Del terzo incontro

Dubitar si potrebbe; e, fin che vuoto

Il mio talamo sia d’altra consorte,

Chi sa gli affetti miei

Sempre dirà ch’io lo conservo a lei.

Il nome di regina

Troppo Roma aborrisce. Una sua figlia

Vuol veder sul mio soglio;

E appagarla convien. Giacché l’amore

Scelse in vano i miei lacci, io vuo’ che almeno

L’amicizia or gli scelga. Al tuo s’unisca,

Sesto, il cesareo sangue. Oggi mia sposa

Sarà la tua germana.

SES.

Servilia?

TITO

Appunto.

ANN.

(Oh me infelice!)

SES.

(Oh dèi!

Annio è perduto).

TITO

Udisti?

Che dici? Non rispondi?

SES.

E chi potrebbe

Risponderti, o signor? M’opprime a segno

La tua bontà, che non ho cor... Vorrei...

ANN.

(Sesto è in pena per me).

TITO

Spiegati. Io tutto

Farò per tuo vantaggio.

SES.

(Ah! si serva l’amico).

ANN.

(Annio, coraggio!)

SES.

Tito!... (risoluto)

ANN.

(risoluto) Augusto, io conosco

Di Sesto il cor. Fin dalla cuna insieme

Tenero amor ne stringe. Ei, di se stesso

Modesto estimator, teme che sembri

Sproporzionato il dono; e non s’avvede

Ch’ogni distanza eguaglia

D’un Cesare il favor. Ma tu consiglio

Da lui prender non déi. Come potresti

Sposa elegger più degna

Dell’impero e di te? Virtù, bellezza,

Tutto è in Servilia. Io le conobbi in volto

Ch’era nata a regnar. De’ miei presagi

L’adempimento è questo.

SES.

(Annio parla così! Sogno o son desto?)

TITO

E ben! recane a lei,

Annio, tu la novella; e tu mi siegui,

Amato Sesto, e queste

Tue dubbiezze deponi. Avrai tal parte

Tu ancor nel soglio, e tanto

T’innalzerò, che resterà ben poco

Dello spazio infinito,

Che frapposer gli dèi fra Sesto e Tito.

SES.

Questo è troppo, o signor. Modera almeno,

Se ingrati non ci vuoi,

Modera, Augusto, i benefizi tuoi.

TITO

Ma che! se mi negate

Che benefico io sia, che mi lasciate?

 

Del più sublime soglio

L’unico frutto è questo:

Tutto è tormento il resto,

E tutto è servitù.

Che avrei, se ancor perdessi

Le sole ore felici

Che ho nel giovar gli oppressi,

Nel sollevar gli amici,

Nel dispensar tesori

Al merto e alla virtù? (parte)

 

 

 




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