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Antonio Ghislanzoni
L'arte di far debiti

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NOTE

DI

ZEFFIRINO BINDOLO.

 

[1] Nel più ingenuo paese che prosperi in Europa sotto il sole della civiltà, gli ottusi che leggono senza comprendere sono in numero sterminato. Quando apparve per la prima volta nel poco ammirabile paese l'opuscoletto di Roboamo Puffista, i volghi letterati urlarono allo scandalo, e il clamore della indignazione esplose così impetuoso e brutale, che i venditori girovaghi di stampati, atterriti dalle invettive, riportarono all'editore le copie dello incriminato volumetto protestando di non voler più oltre prestarsi allo spaccio della merce abbominevole. Allarmarsi per un titolo, condannare un libro prima di leggerlo e riprovarlo senza averlo compreso, son casi che avvengono ogni giorno, laddove l'intelligenza umana, evirata dai gesuiti e dai pedanti, è inevitabilmente condotta ad incaponire. Benedetta la Francia! benedetta la nazione dello spirito e della tolleranza, dove si possono scrivere e pubblicare dei libri intitolati: L'arte di rendersi antipatico, L'arte di ingannare il prossimo, L'arte di rubare, ecc, ecc. senza incorrere la scomunica dei citrulli. Nell'opuscoletto di Roboamo Puffista, che è da capo a fondo una satirica ironia, diretta a smascherare la frode, si contengono delle osservazioni le quali importerebbero un più serio sviluppo. Vi siete mai chiesti se il debito sia un crimine, o in quali casi lo sia, e come avvenga che nell'ordine delle moderne istituzioni, la condizione inesorabilmente imposta a tutti gli enti individuali e collettivi, è quella di doversi indebitare? Avete mai considerato che il debito, nell'abominevole condizione creata dalla società a milliaja e milliaja di individui diseredati, rappresenta l'unica valvola di salvezza fra la disperazione e il delitto?

Credete voi che il puffista, se questa valvola si chiudesse, non si darebbe al ladroneggio, fors'anco all'assasinio? Allorquando i governi ed i popoli ignoravano la grand'arte di reggersi sul debito, non avvenivano più frequenti le invasioni, le guerre di conquista brutalmente coronate dalla rapina e del saccheggio? Provatevi un poco, o citrulli, a procedere su questa via di considerazioni; vedrete allora, capirete forse, ciò che in altri paesi meno gaglioffi fu capito da un pezzo, che l'ironia e la satira vestite delle apparenze più frivole, sono le lanterne magiche dalle quali si sprigiona la luce più atta a porre in evidenza le verità meno apparenti o meno esplorate.

 

[2] Evidentemente, l'opuscolo dell'ottimo Roboamo fu scritto in quell'epoca barbara, quando ancora esisteva, a frenare la baldanza del puffismo invadente, lo spauracchio dell'arresto personale. Noi dobbiamo a Napoleone III, imperatore dei francesi, l'iniziativa della provvida riforma che emancipò i debitori dalle antiche tirannidi del codice commerciale. Quando le nuove franchigie vennero proclamate in Francia, l'onorevole corpo accademico dei reclusi di Clichy improvisò una splendida luminaria. La Bastiglia dei debitori era demolita, e il santo diritto del libero puff affermato all'umanità. La costituzione del secondo impero era basata sul puff; fino a quando Napoleone III tenne le redini dello Stato, i puffisti ottennero protezioni, favori, privilegi. Via! Non disconosciamo i benefizii resi da quel potente sovrano alla causa diseredati! Sulla base del monumento che fra poco vedremo erigersi in Milano alla memoria di Lui, proporrei che si scolpisse l'epigrafe:

 

A

NAPOLEONE III

I PUFFISTI RICONOSCENTI.

 

[3] Quand'io faceva il mio corso di studi all'università di Pavia, un puffista quasi imberbe, che ebbe poi a segnalarsi in Europa colle sue grandiose strategie, esordiva nella carriera con una saporitissima burla, della quale si parla ancora oggidì con ammirazione sotto i portici dell'Ateneo torinese. Al nostro giovane eroe, testè laureato nelle matematiche, occorreva, per ripatriare decorosamente, un pajo di stivali. Gli mancavano pochi spiccioli per procacciarsi quel lusso di calzatura, una miseria! - dodici.... quattordici lire. Che si fa? Si fa così: sentite questa che è proprio bellina! - Si va da un calzolaio, gli si ordina un bel pajo di stivali, a patto ch'ei debba recarveli al domicilio, il tal giorno, alla tal'ora. Poi, si entra in un'altra bottega e ad un altro calzolajo si replica la commissione. Al primo si dice: sarò in casa ad attenderti alle dieci; all'altro si ingiunge di venire alle dodici. Il giorno stabilito, allo scoccar delle dieci, arriva cogli stivali il primo calzolaio. Lo studente li calza, encomia la fattura, si mostra pienamente soddisfatto; ma poi, levandosi in piedi e contrafacendo le grinze di un addolorato - vedi s'io fui bestia! esclama battendosi la fronte: quando mi feci prendere la misura, ho scordato di dirti che qui, sul piede sinistro, ho una maledetta ingrossatura... Senti, figliuolo mio, se tu riportassi via lo stivale e lo tenessi in forma sino a domani... non ti pare..? - La servo subito, risponda il dabben Crispino; si metta a sedere, dia qua...! Dall'altro piede non soffre? - Niente affatto! la calzatura mi va come un guanto. - Tanto meglio! E il buon uomo se ne va collo stivale sinistro sotto il braccio, promettendo di riportarlo l'indomani all'istess'ora. A mezzodì arriva l'altro calzolaio. Da parte dello studente le stesse grinze, le stesse contorsioni nel provarsi gli stivali; ma questa volta la ingrossatura non è, come poco dianzi, al piede sinistro; lo stivale che vuol essere allargato è quello che corrisponde al piede destro. Sta bene! Lo terrò in forma fino a domani, e verrò a riportarglielo all'ora che crede. - Alle dieci: ti pare? - Alle dieci! Viene il domani. I due calzolaj all'ora fissata salgono le scale che conducono al domicilio dello studente e si arrestano entrambi dinanzi alla stessa porta, ciascuno col suo stivale sotto braccio.

- Chi cercano? domanda la signora della casa, presentandosi - lo studente B..., rispondono ad una voce i due calzolaj. - Partito jeri sera per Cremona. - Diamine! Io doveva portargli questo stivale... - E anch'io...! - I due Crispini spalancano tanto d'occhi. - Quando tornerà il signor B...? - Dio sa quando! forse mai, rispondo la signora; ha compiuto i suoi studii, ha ottenuto la laurea, non occorre ch'egli torni.

- Ma io....! - Ma io! - esclamano all'unissono le due vittime, sollevando lo stivale. Non ha lasciato il destro? - Non ha lasciato il sinistro?... - Io ne so nulla, dice la signora, che ha già indovinata la strana burletta perpetrata dal suo arguto inquilino; ciò che io so, è ch'egli è partito con un bel pajo di stivaletti nuovi, così nitidi e lucenti che abbagliavano a vederli. - Finalmente anche, i due malcapitati calzolaj compresero ciò che era forza comprendere.

- Col mio stivale destro..., disse l'uno.

- Col mio stivale sinistro..., soggiunse l'altro.

- Si può ancora formare il pajo.

- Verissimo... Non ci resta che ad accoppiarli... È quello appunto che ha fatto il nostro birbo committente. - I due calzolaj eran stati minchionati così bene, che passato il primo bruciore, risero insieme più volte della mala ventura loro occorsa.

 

       *       *       *       *       *

 

Quantunque assai noto, perchè più recente, merita di passare ai posteri il brillante episodio puffistico dal quale ebbe origine il motto: el gha gamba bonna; motto che a Milano suol ripetersi ogni volta che sia in gioco la strategia di qualche matricolato furbacchione. Anche in questo caso la vittima fu un calzolaio. Un giovanotto decentemente vestito entra in una bottega sulla corsia del Broletto e domanda un pajo di stivaletti. - Veda un poco se questi gli vanno! disse il padrone di bottega. - L'altro, si prova a calzarli, si leva dal sedile, divincola il piede, fa qualche passo... ottimamente! non c'è che dire. - D'un tratto balza nella bottega, uno sconosciuto, si slancia contro il giovane dagli stivaletti, gli applica alla guancia un sonorissimo schiaffo, e via di corsa. - Aspetta che ti acconcio io per le feste! grida lo schiaffeggiato, uscendo furioso dalla bottega e dandosi ad inseguire lo sconosciuto. Il calzolaio ed i fattorini accorrono in sulla porta per vedere come la vada a finire. - I due fanno a chi più corre, e allo svolto di una contrada scompariscono. - Lo raggiungerà! lo raggiungerà! esclama il dabben calzolaio; quel briccone corre lesto, ma anche l'altro è di buona gamba! - Infatti i due sozii corsero tanto e con lena siffatta, che nessuno ebbe più nuova di loro degli stivaletti elegantissimi che l'un d'essi si era procacciati con quell'audace stratagemma.

 

       *       *       *       *       *

 

[4] Se la parca inesorabile non avesse troncato innanzi tempo il filo de' suoi giorni e delle sue opere immortali, l'autore del presente opuscolo avrebbe indubbiamente dettato degli stupendi precetti ai puffisti sulla maniera di redigere il loro epistolario. Si vuole un'arte finissima, si vuole una rettorica speciale per intrattenere coi creditori una profittevole corrispondenza epistolare, per rispondere alle lettere, talvolta volgari e atrocemente irritanti che ordinariamente accompagnano le note dei fornitori insubordinati. Si tratta di ammansare una selva. Con poche linee di scritto, contrapposto ad una grossolana intimazione di salumiere o di macellajo, si riesce talvolta ad ottenere che un libro mastro, già saturo di addizioni illiquidabili, si riapra per un credito illimitato. Questo genere di eloquenza non si insegna nelle scuole, non trova esempi nei trattati; è l'eloquenza del genio puffistico. In certi casi, si tratta semplicemente di indirizzarsi al cuore e di commuovere; talvolta convien ostentare meraviglia e disdegno, opporre alla minaccia il risentimento, all'arroganza l'insulto. Gli argomenti derivati dall'idealismo umanitario, rilevati dalle più assurde astruserie, dalle più stravaganti insensatezze, è ben raro che falliscano allo scopo. Nullameno, io sono d'avviso, che a meno di aver raggiunta la più alta meta cui possa aspirare, un puffista di prima classe, il sistema epistolare da preferirsi sia quello che si indirizza al sentimento, che mira ad ispirare una simpatica e generosa commozione. Con tal metodo il mio giovane amico D. B. ottenne, durante la sua dimora a L..., dei risultati ammirabili. Trascriverò, ad esempio del genere, la breve lettera da lui indirizzata ad un salsamentario, il quale aveva osato alla fine d'anno mandargli una nota di lire trecento:

 

«Pregiatissimo Signore,

 

«Al capezzale della mia povera vecchia madre morente, ho ricevuto la vostra lettera, che mi ricorda un sacro dovere. Appena avrò un po' di testa... per esaminare... per confrontare... ecc. ecc... appena la santa donna, che mi vuol sempre vicino, sarà uscita di pericolo, io correrò da voi per regolare le partite. Frattanto, credete ai sensi ecc.»

Vostro devotissimo

D. B.

 

Una lettera quasi identica spedì a quella medesima epoca il nostro puffista esordiente agli altri suoi creditori. Questi non osarono rinnovare le istanze, e attesero con animo tranquillo. Ma un bel giorno, l'amico D. B. abbandonò insalutato hospite la città dove avea vissuto lautamente per un anno; probabilmente la povera santa vecchia era guarita, ma i creditori non ebbero motivo di rallegrarsene.

 

       *       *       *       *       *

 

Prima di ricorrere alla rettorica esacerbante delle insolenze, un abile e prudente puffista deve aver esaurite tutte le pratiche ammollienti - L'impressione più istantanea e più naturale che deve prodursi nell'animo cavalleresco di un puffista al vedersi dinanzi la nota impertinente di un creditore, è quella di un olimpico stupore. Un personaggio alto locato, che si atteggia da principe, da barone, da marchese, che si fa chiamare sua eccellenza il sig. commendatore ecc. ecc., non può a meno di atteggiarsi a meraviglia al vedere che un miserabile subalterno osa importunarlo per una inezia... Mille, duemille, ventimille lire, non rappresentano infatti, per un principe russo, per un ammiraglio peruviano, altrettante cifre impercettibili? Qual v'è somma tanto ingente che passando pel lambicco aritmetico di un debitore insolvibile, non si pareggi ad uno zero?

- Tiens! Tiens! esclamava un francese puffista (sono famosi!) ogni, volta che un creditore commetteva l'irriverenza di presentargli una nota. E quel monosillabo, profferito con accento di sorpresa, saldava la partita.

Ordinariamente, nel rispondere alle sollecitazioni dei fornitori più impertinenti, i grandi puffisti si appigliano al seguente formulario:

 

«Pregiatissimo Signore,

 

«Ho l'onore di informarvi che la nota da Voi speditami in data... ecc. ecc. l'ho trasmessa oggi stesso al mio amministratore, perchè più sollecitamente che per lui si possa, come di ragione, provveda al pareggio. Tanto; per vostra norma, e mi dico

 

«Barone di Puffadara ecc. ecc.»

 

Naturalmente, il creditore si consola e lascia passare una quindicina di giorni prima di ripetere l'attacco. La risposta che i baroni di Puffardara sogliono contrapporre alla seconda richiesta, è scritta su per giù in questi termini:

«Con mia somma meraviglia vengo ad apprendere dalla S. V. che il mio amministratore non ha finora provveduto a mettersi in regola con voi. Mi piace attribuire ad un obblìo questa irregolarità di condotta del mio uomo d'affari, anzichè sospettare in lui una negligenza colpevole. Questa sera lo farò chiamare nel mio gabinetto, e in ogni caso, gli ricorderò i suoi doveri. Aggradisca ecc. ecc.»

 

Ecco un'altra dilazione spontanea, ottenuta con quattro linee di scritto. È raro il caso che un barone di Puffardara debba replicare ad una terza lettera della vittima. Quando ciò avviene, la frase dell'esordio è sempre questa: «Ho dato al mio amministratore una buona lavata di testa per la sua colpevole trascuranza ed ho minacciato di licenziarlo se entro la settimana ecc. ecc.» Entro la settimana, il barone si licenzia dalla città nelle ore mestissime del crepuscolo - abbandonando ai numerosi clienti la cura di amministrare i suoi puff a tutto loro agio.

 

       *       *       *       *       *

 

Le frasi ad effetto, che intontiscono chi legge rare volte falliscono all'intento. Recherò un solo esempio. Anni sono, quando io conduceva a Milano la vita sbrigliata dello scapolo, un giovane poeta e romanziere, dotato di molto accume puffistico mi pregò lo presentassi ad un sarto acciò questi gli fornisse un abbigliamento completo da pagarsi in rate mensili. Gli abiti in men di tre giorni furono allestiti e consegnati, ma i mesi trascorsero, trascorse l'anno, e il poeta romanziere, assorto nella sue divine fantasticherie, sdruscì le stoffe prima di averle pagate. Naturalmente, il sarto gli scrive. Il poeta, che per caso è anche gentiluomo, risponde, e siccome la cortesia delle risposte non è mai avvalorata di qualche spicciolo, l'epistolario si prolunga per parecchi mesi. Un giorno il dabben sarto si reca da me. Veda un poco, mi dice, che razza di istorie mi vien contando quel signor poeta da Lei raccomandato! Così parlando, mi presenta una lettera. Nelle prime linee, l'amico faceva le sue scuse, parlava di gravi e urgenti impegni pei quali aveva dovuto sprovvedersi di ogni suo avere, chiedeva nuove proroghe al pagamento. Ciò che aveva colpito il sarto - ed io pure, lo confesso, ne rimasi colpito - era la chiusa della lettera - «Io vi ho esposti, concludeva l'amico poeta, con schiettezza da galantuomo le tristi condizioni nelle quali verso attualmente; ma se questo non bastasse ad impetrarmi grazia, se fosse intento vostro di continuare a vessarmi con visite e con scritti impertinenti, allora sarò costretto a rammentavi che voi siete sarto, e che, una volta accettata la missione di sarto, avete l'obbligo di vestire l'umanità.» Non vi par questo uno di quei motti sublimi di insensatezza che sfidano la dialettica più ardita, che ottundono il cervello più arguto? Io mi dichiarai incapace di confutare l'amico, e il povero sarto non osò per alcun tempo riprendere i suoi attacchi contro un uomofortemente trincierato negli argomenti del diritto naturale.

 

[5] Chieder denaro a prestito a mezzo di lettera non è tattica da puffista distinto, a meno che la domanda non sia stata preceduta da abili strategie, le quali escludano ogni probabilità di un risaltato negativo. Un celebre artista da teatro, del quale sopprimo il nome, mi narrò a tale proposito una graziosa storiella che amo qui riferire ad edificazione di chi intende iniziarsi alla grand'arte. - Ero giunto da pochi giorni a Milano (ripeto testualmente le parole dell'amico) per dar principio ai concerti della mia nuova opera destinata alla Scala. Un bel mattino, mentre stavo abbigliandomi, sento bussare all'uscio della mia camera. - Chi e ? - Era un garzonetto con una lettera alla mano. Getto gli occhi sulla soprascritta - diamine! son caratteri noti!... i caratteri del mio quondam amico X. Diamine! Che vorrà dire? - È d'uopo sapere che con questo signor X, letterato e giornalista di qualche fama, io m'era due anni prima bisticciato a cagione di non so quali sue polemiche. D'allora in poi era cessata ogni nostra relazione; non ci eravamo più veduti, non ci eravamo più scritti. Comprenderai la mia sorpresa al ricevere una sua lettera.

Ecco di che si trattava:

 

«Mio caro D.....,

 

«Oggi ricorre l'anniversario della mia nascita, è il giorno delle ricordanze soavi, il giorno delle dolci espansioni. Voglio, all'ora del pranzo, avere intorno alla mia mensa tutte le persone a me care. Ho invitato i parenti e gli amici - nessuno mancherà. Orbene: Che vuoi? Questa mattina appunto mi venne detto che tu eri a Milano. Ho provato una stretta al cuore. E il primo pensiero che mi sovvenne fu questo: anch'egli... una volta... era de' nostri!... Non ho saputo resistere... Ho preso la penna e ti ho scritto..; Via! Ti stendo la mano... Confesso d'aver avuto dei torti... Forse qualche torto... vi fu anche da parte tua,.. Ma dunque? S'ha proprio da troncare una vecchia amicizia...! Qua la mano, mio buon Peppo; prometti che oggi alle quattro (alle quattro precise, bada bene - poichè i risi alla veneziana, che ti piacciono tanto, non mancheranno) tu sarai qui, seduto alla mia tavola al posto d'onore... al fianco mio, al fianco di mia moglie, in mezzo ad una corona di amici che brinderanno alla nostra riconciliazione. Tu verrai... tu sarai dei nostri, non è vero? - Due soli motti al fattorino - ed io conterò questo fra i più lieti anniversarii della mia vita.

«Col cuore, proprio col cuore:

 

«Tuo affez. X.»

 

Una strana commozione si impossessò di me al leggere quello scritto - tu sai come Dio mi ha fatto - ho proprio sentito una lacrima scorrermi sulle guancie. - Il mio buon... X! Ma presto!... ch'egli non soffra... nell'incertezza! - Detti mano alla penna e vergai di fretta la risposta:

 

«Mio caro X....,

 

«Ma... figurati!... toccava a me...! tutti i torti eran miei... ti domando mille scuse... Non dubitare... Alle quattro sarò da te... Ah! s'io sapessi di qual modo attestarti la mia gioja, la mia riconoscenza!.. Chiedi, domanda... Io sono ancora l'amico di una volta!... Oggi... a tavola discorreremo... Non dubitare... sarò esatto... Hai pensato anche ai risi...! Bravo amicone! A ben vederci, fra poche ore... Intanto quattro baci grossi... grossi... di quelli che vanno in fondo dell'anima dal

 

«Tutto tuo G. B.»

 

Consegnai la risposta al fattorino, che partì come una freccia. Ero proprio contento. Saltellavo per la stanza come avessi guadagnata un terno al lotto - e già avevo divisato di spendere una trentina di lire per un bel mazzo di fiori da inviare alla signora, quando il fattorino mi comparve di nuovo nella stanza e mi porse un'altra lettera dell'amico:

 

«Mio amatissimo G. B.,

 

Non puoi immaginare qual festa abbiamo fatto, mia moglie ed io, al leggere la tua amabile risposta! Sempre pari a te stesso!... Una gran mente e un gran cuore! - Vuoi subito una prova della fede che noi riponiamo nella tua schiettezza e nella tua generosità? Tu mi scrivi laconicamente: chiedi, domanda... Ed io, senza esitare un istante, chiedo... domando. Puoi tu farmi avere, dentro oggi, prima delle quattro, un biglietto da lire cinquecento? Tu lo puoi, senza dubbio, e quindi me li spedirai subito a mezzo del fattorino... Dopo questo, a rivederci alle quattro. Ti prepariamo una ovazione.

 

«Il tutto tuo, ecc.»

 

Tutto caldo, com'ero, di entusiastica commozione, chiusi, senz'altro riflettere, in un involto la piccola somma e la inviai all'amico. Poi, alle quattro, mi recai, come avevo promesso, a pranzare da lui. Dio! quali feste! quale accoglienza da parte di tutti! Fui collocato al posto d'onore. Fui colmato di amorevolezze. Alla frutta, cominciarono i brindisi e le declamazioni. Ma al momento, in cui l'allegria generale, fomentata dallo sciampagna, toccava il colmo, una cupa tristezza si aggravò sul mio spirito, il sorriso si dileguò dal mio labbro, divenni mutolo ed imbronciato. Non riuscivo di cavarmi dalla mente questa idea fissa: Questo pranzo eccellente, questi vini squisitissimi, sei tu, o minchione, che li ha pagati - e forse l'amico si burla di te nel segreto del cuore, e ride della tua dabbenaggine! "

Ed ecco di qual maniera, un grande ed esperto puffista può, anche a mezzo dell'epistolario, spostare le banconote a suo vantaggio ed a gloria dell'arte.

 

[6] Nell'anno 1850 io accompagnava in qualità di segretario, un celebre violoncellista che percorreva la Francia dando dei concerti. Nella piccola città di C... le cose erano andate alla peggio. All'albergo, ove da oltre un mese eravamo alloggiati e nutriti lautamente, vi era già un grosso conto a nostro carico. L'ultimo concerto, sul quale si era fatto assegnamento per soddisfare al nostro debito, aveva fruttato a mala pena una diecina di scudi. All'indomani; il mio violoncellista entra nella camera dove io stava abbigliandomi, e mi dice: «Caro segretario, conviene prendere una risoluzione! Per partire decorosamente da questa città ci occorrono cinquecento lire all'incirca - bisogna trovarle. Tu sai che il signor Roux, pel quale ebbi una lettera commendatizia, mi accolse con molto affetto e mi tiene in gran conto; sono andato più volte da lui, e siccome egli è buon dilettante di musica e amantissimo dei classici, abbiamo suonato insieme i duetti di Beethoven. Il signor Roux, per quanto dicono, è assai ricco. Animo dunque! Prendi una penna. Scrivigli a mio nome una bella lettera, esponigli schiettamente la nostra situazione, e domandagli a prestito la somma che ci occorre. - Ma io... - Non pensare! la lettera, naturalmente la firmerò io.» Non posi di mezzo altre osservazioni, scrissi, e la lettera fu spedita a mezzo di un garzone dell'albergo. Di a un'ora, mentre si faceva colazione nel salottino, un domestico in livrea venne a portare la risposta. Il signor Roux con frasi oltremodo cortesi ed amabili si scusava di non poter pel momento, malgrado il suo vivo desiderio di favorire un artista tanto valente, prestargli la piccola somma. E soggiungeva, tanto da ammorbidire il rifiuto: «Se fosse l'epoca del raccolto dei bozzoli, quando il denaro affluisce nelle casse dei possidenti, vi assicuro che non esiterei un istante a compiacervi, e sarei lietissimo di potervi dare anche più di quanto richiedete.» Il mio violoncellista punto sconcertato da quella lettura, stette alcun tempo silenzioso cogli occhi affissati sul foglio. Poi, colla maggior calma del mondo: «Sai tu dirmi in qual mese dell'anno si raccolgono i bozzoli? - Credo, ai primi di giugno. - Siamo ora... agli ultimi di marzo... soggiunse pacatamente l'amico.... Non importa! L'albergatore vorrà ben fidarsi della parola del signor Roux. Prendi subito la penna, e scrivi al signor Roux che noi attenderemo i suoi comodiConfesso che nel vergare questa seconda lettera io aveva le vertigini nel cervello. Che fare? Nella mia qualità di segretario, mi era forza di piegare il capo. - Scrissi ciò che l'amico dettava, e la lettera fu consegnata al domestico. Non starò a narrare per filo e per segno di qual maniera io riuscii a distaccarmi da quell'uomo singolare, che stampò in ogni provincia dell'Europa delle orme incancellabili di genio.

Egli rimase all'albergo di C... in attesa delle lire cinquecento, e verso la metà di giugno io ricevetti a Lione una sua lettera dove mi annunziava che l'infame Roux, mancando alla data promessa, non gli aveva ancora pagate le cinquecento lire, e ch'egli contava trascinare quel vile dinanzi ai tribunali, mettendo a suo carico gli interessi e domandando il risarcimento dei danni materiali e morali a lui derivati dal mancato pagamento. Più tardi mi venne riferito che il signor Roux, per liberarsi da quella noja pagò le cinquecento lire e a proprie spese provvide a che il celebre suonatore di duetti classici partisse per Marsiglia.

 

FINE DELLE NOTE.

 

 

 





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