II
Il mattino del giorno 31 sorgeva tristo e uliginoso. I cittadini, già
fattisi alla vita soldatesca, erano tornati ai posti aspettando l'assalto, e
più diligentemente guardandosi con doppie scolte, perchè il nemico non si
vantaggiasse d'un nebbione assai fitto, che toglieva la vista dei colli e delle
strade suburbane. Poco appresso le ore antimeridiane calarono dal castello
alcuni soldati, preceduti da una bandiera bianca, portata da due gendarmi. Ne
corse subito voce per la città, e fu maravigliosa la pressa del popolo, che già
sperava d'essere venuto al termine glorioso delle sue fatiche. I due gendarmi
furono presi in mezzo dalle pattuglie cittadine e condotti al Municipio, ove
misero fuori un dispaccio dell'Haynau. Veggendo la firma del truculento
generale, che per sicura fama sapevano a Mestre, istupidirono i Bresciani; e
molti credettero che il Leshke, disperato d'uscire vivo dalle mani dei
cittadini, avesse falsata la firma per ottenere col terrore d'un nome ciò che
non aveva potuto colle bombo; altri cominciarono a sospettare quello che
veramente era, cioè che ormai tutto lo sforzo della guerra italiana si
riducesse d'intorno alle mura di Brescia. Ma più valse la lettura del dispaccio
a rinfuocare gli animi, che tante e sì grandi cagioni di dubbio a tenerli
sospesi. Scriveva l'Haynau di volere tosto, senza condizione alcuna, la resa
della ribellante città; se per mezzodì non fossero levate le serraglie e dati i
passi alle truppe, prometteva l'assalto, il saccheggio, la devastazione e
l'estrema rovina. E per far pompa della sua fiera natura, finiva dicendo: Bresciani
voi mi conoscete, io mantengo la mia parola!
Quantunque al disonesto scherno ribollissero i magnanimi sdegni, non si
pigliò tuttavia alcun partito, che non fosse prudente, potendo nei consiglieri
e nei capi del Municipio e del Comitato più la carità della patria, che l'ira.
Decisero pertanto di mandare commissari in castello, che vedessero l'Haynau, e
gli esponessero le cagioni per cui Brescia era sorta e voleva mantenersi in
armi. Non fidandosi alcuno del tenente maresciallo, non furono i messi
designati per sorte o per elezione; ma, come a sacrificio di vita si offrirono
alla pericolosa andata Lodovico Borghetto e Pietro Pallavicini, animosi
giovani, che erano stati pochi dì prima chiamati ad assistere il Sangervasio. E
perchè si veda come i nobili esempi portano tosto i loro frutti, l'avv.
Barucchelli e Girolamo Rossa vollero andare compagni ai primi due, e un Novelli
si pigliò il carico di vessillifero, e li precedette col segnale di pace. Così
si mossero per andare al castello, accorrendo d'ogni parte la moltitudine, che
ora pregava loro dal cielo il ritorno, ora fremeva e si rifiutava di dare il
passo, temendo che da quell'andare e venire non ne uscisse qualche brutta
conclusione. Pervenuti i commissari al castello, furono messi dentro e condotti
di mezzo a due file di ufficiali, che non si astennero punto dal minacciarli,
fino ad un salotto, ove l'Haynau coi maggiorenti dell'esercito li stava
attendendo.
Parlò uno dei commissari, narrando i fatti come erano corsi, e la città
lasciata in propria balia, e gli impedimenti posti al valido ordinamento d'una
guardia civica, e gli ordini avuti dal Ministero Sardo, e il debito di fede che
stringeva la città per voto solenne al regno dell'Alta Italia, e infine le
notizie della guerra e i patti dell'armistizio, che volevano sgombra la
Lombardia dagli Austriaci: in così dire offerse copia dell'atto al tenente
maresciallo, il quale con un ghigno feroce rispondeva: saper tutto, essere
informato di ogni cosa, ma non voler parlare di questo; doversi parlare
soltanto della resa ch'egli aveva intimata alla città pel mezzogiorno.
Erano allora presso ad undici ore. I commissari come ne avevano ordine,
chiesero 48 ore di tempo per meglio chiarire i fatti, protestando pur sempre
che se un armistizio era stato firmato, doveva intendervisi compresa anche
Brescia, e che se contro i patti, o senza dar altre soddisfazioni, gli
Austriaci avessero attaccato quel dì stesso, di fermo la città si sarebbe
difesa fino agli estremi. Ripeteva l'Haynau, quasi per fuggire dall'argomento
dell'armistizio: Ho detto a mezzogiorno, ho detto a mezzogiorno! E gli
altri a dimostrargli che mezzogiorno era tanto vicino, che appena rimaneva
tempo a notificare di nuovo quel suo ultimato ai cittadini. Allora concesso due
ore di respiro oltre il mezzodì; e presi gli appunti sull'orologio, senza altro
dire accomiatò i parlamentari.
A codesta
infamia assistevano anche gli altri ufficiali superiori; nè alcuno osò o volle
disingannare i prodi Bresciani; ma anzi tutti se ne stavano ad arte pensosi.
Tornati i deputati in città, e venuti al Municipio riferirono le cose udite
e le vedute; l'Haynau starsene veramente nella rocca con truppe nuove e
fresche; i soldati o gli ufficiali minori mostrarsi insolenti e superbi, come
gli Austriaci non sanno fare che nella fortuna seconda; avere il tenente
maresciallo parlato alto ed arrogante; ma per contrario niuno essersi levato a
smentire l'armistizio di Chzarnorwsky o le sue vittorie. A quel fatto, già per
sè di grande significanza, aggiungevano valore le novelle per via sicurissima
allora pervenute a Brescia, che gli Austriaci se ne erano tornati dal Piemonte
in Milano senza alcuna pompa militare, senza le musiche, muti, laceri,
disordinati, in aspetto di vergognosi e dolenti. Prova certissima, come tutti
allora credettero a Milano, e come più facilmente si doveva credere a Brescia,
già eccitata a maschi propositi, che quella fosse una ritirata pattuita e
concessa, perchè il tumulto e la disperazione d'una fuga barbarica non avesse a
consumare il paese11.
Il
Sangervasio, uscito in sulla loggia del palazzo municipale, alla fremente
moltitudine di che era gremita la gran piazza e le propinque vie e le finestre
della case e infino i tetti, rispettoso e grave, lesse senz'altri commenti
l'intimazione dell'Haynau, e narrò quello che ai messi era intervenuto.
Allorchè giunse a riferire le superbe parole dell'Austriaco e le due ore
concedute, perchè Brescia si risolvesse a darsi vinta per paura,
dall'innumerevole folla levossi un grido formidabile: Guerra! vogliamo
guerra! libertà o morte. Era il mezzogiorno. Dato il voto, il popolo
tacque e si sciolse; sicché in pochi minuti la piazza rimase muta e deserta.
Correvano gli uomini pei loro quartieri e alle case a prendere le armi, ad
afforzare le barricate, a mettere gl'infermi ed i bambini in salvo nelle
cantine, e a dare gli ultimi baci e gli ultimi consigli alle donne; le quali,
lodando la difesa, e non mostrandosi punto smarrite per la gravezza del
pericolo, animosamente apprestavano le armi virili e le proprie: cartuccie,
sassi, tegole, acqua bollente. Anzi molte ne furono viste armate e succinte
correre alle mura ed alle serraglie: «e due sorelle fra le altre, fanciulle
entrambe, e di vita e di casa onorate, le quali a vederle muovevano pianto
d'orgoglio e di tenerezza, e più che di guerriere rendevano immagine di martiri
cristiane12.» Così confortandosi ed ammirandosi l'un l'altro, e i
propri dolori dimenticando per consolare i dolori fraterni, passarono i
cittadini due ore sublimi, respirando un'atmosfera di sacrificio e d'amore;
sicchè furono allora fatte molte paci, e spenti e perdonati molti odi antichi,
come se quella fosse una comune preparazione ad una santa morte. Allo scoccare
delle due tutte le campane della città, come se fossero siate mosse da un solo
uomo, e tocche da uno stesso martello, cominciarono a suonare a stormo. E
questa fu la risposta dei Bresciani alle minacce dell'Haynau.
Subito dopo cominciò dalle case, dai tetti, dai campanili, dalle porte, un vivo
moschettare contro gli avamposti nemici, che debolmente rispondevano, e solo
coi fucilieri dell'antiguardo. Ma non per questo perdevano essi tempo: perchè
poco lungi della porta Torrelunga, a Villa Maffei, stavano puntando, a mezza
gittata di cannone una batteria di grossi mortai; e intanto, fatte quattro
nuove schiere di fanti, prendevano ordine ch'esse, col favor della nebbia,
girando poco fuori delle mura, si conducessero presso le altre porte della
Città, e s'appostassero poco lungi dai sobborghi per far impeto tutte assieme
quando le artiglierie del castello ne avessero dato il segno. Per tal modo
l'Haynau, moltiplicando gli assalti, i pericoli, le paure, sperava di forzare
con poco sangue de' suoi la città, tanto più che i fuochi del castello potevano
battere di fianco e di rovescio tutte le porte, e principalmente porta
Torrelunga e porta Pile, le quali dovevano essere quel giorno oppugnate più
duramente che mai.
Cominciò il Castello a tuonare verso le tre pomeridiane; e allora ad un
tratto la città fu attaccata da ogni parte, e tutte le porte furono combattute
col ferro e col fuoco. L'artiglieria, fulminando furiosamente in breccia contro
porta Torrelunga, schiantò le spranghe di ferro dei cancelli, spezzò la
barricata esterna. I nostri si ritrassero entro la porta, e i nemici ad
inseguirli; ma ne furono aspramente ributtati. E sebbene dal castello venisse
tutt'intorno alla porta una sì fitta tempesta di bombe, di granate, di razzi,
che spesso ai difensori pareva d'essere dentro un cerchio di fiamme; sebbene i
fanti di Nugent più volte tornassero all'assalto, e i mortai squarciassero con
orribili colpi le crollanti trinciere, nondimeno i volontari dello Speri
duravano intrepidi alla guardia di quel posto, che niun soldato di professione
avrebbe più oltre osato difendere.
Mentre così lo sforzo della battaglia pareva, come nei giorni innanzi,
concentrarsi a porta Torrelunga, l'Haynau commise al battaglione dei fanti di
Baden di occupare di forza lo sbocco delle vie che mettono al centro della
città. Trovarono i soldati duro contrasto, e furono ricacciati con molte morti
dai colpi sicuri, che uscivano dalle barricate, dalle finestre e dalle torri.
Ma dopo che si furono ritratti più in alto, e distesi a mezza china,
cominciarono col vantaggio del sito a tempestare i Bresciani con un fuoco di
fila assai ben nutrito. I nostri allora con ottimo avvedimento pigliarono
partito di lasciarli calare e di combatterli nelle vie.
Fermato questo consiglio, essi a poco a poco si ritrassero dall'estrema
barricata, eretta allo sbocco della via che mena al castello e che per quasi
due ore aveva sostenuto il fuoco dei soverchianti fucilieri tedeschi; poi fatta
una mostra di difesa, abbandonarono anche le altre barricate di sant'Urbano, e
delle Consolazioni.
Gli Austriaci, a cui già sapeva strano quel lungo e micidiale contrasto di
un popolo imbelle contro milizie agguerrite, facilmente s'indussero a credere
quello che loro pareva naturale. E però, atterrati gli impedimenti e disfatte
le serraglie, si cacciarono innanzi per le insidiose vie. E così urlando e
minacciando sboccarono sulla piazza dell'Aldera. Quivi li aspettavano i
Bresciani, appostati tutti all'intorno nelle case, e dietro saldissime
trinciere, che chiudevano ogni sbocco della piazzetta verso le più interne parti
della città. Il primo nodo di fanteria nemica, che uscì in sull'aperto, fu da
un nugolo di palle decimato. E così gli altri, a misura che accorrendo al
rumore della battaglia, giungevano sotto le feritoie cittadine. Non per questo
i sorvegnenti soldati, contenuti e sospinti dai pelottoni che s'avanzavano
dietro di loro per la via angusta, potevano ritrarsi dal mal passo. Per cui,
disperati d'ogni altro scampo, fatto un nodo, e come meglio potevano copertisi
dagli stessi colpi, si avventarono risolutamente alla baionetta in sulle
barricate. Ma un fuoco a bruciapelo, diretto da mani ferme e da cuori sicuri,
menò di loro siffatta strage, che nessun altro osò più ritentare la prova.
Stava l'Haynau alle vedette in sullo sterrato del castello, accanando con
messaggi e con rinforzi il valore de' suoi, e ammirando, pur suo malgrado,
quello degli avversari. E quando vide atterrata a piè delle barricate l'ultima
schiera, dicono che esclamasse: «Se avessi trentamila di questi indemoniati
Bresciani vorrei ben io tra un mese veder Parigi!13» E intanto
comandava che tutte le riserve del battaglione di Baden e le compagnie di
Rumeni calassero a rinfrescare la battaglia. E perchè i soldati ci andavano a
malincorpo, come quelli che avevano veduto tornar pochissimi de' molti che
erano stati al primo fatto, l'Haynau volle che il tenente colonnello Milez si
ponesse alla loro testa. V'ha chi assicura, che per usare più spicci conforti,
facesse spianare i cannoni del castello contro i soldati tentennanti, gridando
loro «che se avessero voltate le spalle ai borghesi, si sarebbero trovati in
faccia alla mitraglia imperiale14.»
Fatto sta
che gli Austriaci s'avventarono di nuovo all'assalto. Ma appena le prime
schiere si furono messe per la perigliosa forra, che il Milez cadde col cuore
trafitto da una palla di carabina. A quella vista i Bresciani, levando uno
strido di vittoria, saltarono fuori dai ripari e dai nascondigli, e colle
baionette, colle daghe, colle coltella corsero sui nemici, desiderando pur una
volta di odorare il loro fiato, come ferocemente chiedevano i macellai, di cui
una grossa brigata era venuta alla difesa di sant'Urbano. Di che fu sì grande
lo spavento dei soldati, incalliti al fischiare delle palle e al tuonare dei
cannoni, ma insoliti a sostenere il baleno d'occhi sanguigni e il digrignare
dei denti, ch'essi se ne andarono in dileguo, abbandonando morti o feriti in
mano al vincitore; e fra questi anche il loro tenente-colonnello, non ancora
ben freddo. I Bresciani lo svestirono, e le spoglie mandarono in città affinchè
le vedessero le donne, i vecchi, e ne pigliassero augurio di vittoria. Il
cappello e la spada donarono però al feritore, giovane popolano, che, armato
d'uno stutzen, da più ore con occhio infallibile stava spiando e
saettando gli ufficiali nemici. Il popolo lo gridò capitano del posto; ed ei si
piantò presso la commessagli barricata colle trionfali insegne, e vi stette
bersaglio ai nemici, e trofeo vivente del valore italiano, finchè delle tante
che lo cercavano non l'ebbe giunto una palla che gli ruppe il magnanimo petto.
Così la piazza dell'Albera, ingombra da mucchi di cadaveri, restò ai
nostri: e gli Austriaci non osarono più neppure far capolino dalla via di
sant'Urbano. Ma da un'altra parte si riscattava il pertinace Haynau, il quale
poichè vide alla prova come in quel labirinto di strade nulla potessero le
artiglierie e poco la disciplina, racimolati quanti erano o per ufficio, o per
ultima riserva, o per mal ferma salute rimasti in castello, e fattone un
battaglione di mezzo migliaio di fanti d'ogni arma, lo pose sotto la direzione
del tenente Imeresk, commettendogli di lanciarsi a corsa sui bastioni
orientali, e di non sostare finchè non fosse riuscito alla torre che sta ai
fianchi e quasi in sul collo della porta Torrelunga, ove già ferveva da due ore
la mischia tra le compagnie dello Speri e la brigata Nugent, condotta quel dì
all'assalto dal colonnello Favancourt, che poi vi rimase morto. Quando lo Speri
vide gli Austriaci in sulle mura sovrastanti alla barricata di porta Torrelunga,
ordinò a' suoi che, senza far altro contrasto, riparassero dietro alle
barricate più interne, le quali già erano state fra loro legate con tale
avvedimento, da formare una nuova linea difendibile. Ma tanto era il furore dei
Bresciani, e sì fermo in loro il proposito di morire, che nè comandi, nè
preghiere potevano indurli alla ritirata; e molti rimasero e caddero al loro
posto. «Fra questi ricorderemo Cesare Guerini, giovane soave di forme e
d'ingegno, che ferito in un ginocchio sarebbe venuto in mano de' truci, se non
era un altro giovinetto appena quindicenne, e d'umile condizione, il quale non
potendo vedere, come ei diceva, morire quel buon signore in mezzo ai
nemici, tornato indietro tra il grandinare delle palle e quasi d'in sulle
baionette austriache, levò di terra il ferito, e recatoselo in collo, lo trasse
dietro le barricate. Ed un ferito mentre era portato per le vie sentendo alcune
donne compiangerlo e muovere lamenti e che? sclamava, credete voi che
alla guerra si vada a scambiar baci? state allegre, gridate viva l'Italia, e
lasciate piangere i tedeschi15.»
Intanto la brigata di Nugent, rotta la barricata di porta Torrelunga, si
rinversava in città; e mentre una colonna correva a prendere di fianco porta
sant'Alessandro, e a sfondarla per mettervi dentro le compagnie, che infino
allora avevano indarno dalla campagna combattuto quel posto, un'altra colonna
si buttava sulle barricate interne, e faceva prove di entrare nel cuore della
città. Fu l'urto violento per modo che gl'inimici penetrarono tino alla
Bruttanome; ma poi accorrendo loro addosso da tutte le strade cittadini e
valligiani, e venutosi a lotta più serrata di baionette, di pistole e di
pugnali, furono risospinti ed inseguiti fino alla porta. E qui i nostri
piansero gravemente ferita la più intrepida fra le eroine bresciane.
Cadeva il crepuscolo, e il feroce Haynau, temendo che i suoi per le incerte
ombre si lasciassero tirare sprovvedutamente dietro le insidie cittadine,
comandò che sostassero e si fortificassero nei posti che avevano con tanto
sangue acquistati. Ma in sostanza la città durava ancora pressoché intatta,
perchè i nemici dal lato di sant'Eufemia erano stati ricacciati fin sulle mura
ed alla soglia di porta Torrelunga; nè dentro la porta sant'Alessandro avevano potuto
fare alcun progresso di considerazione; alla scesa del castello tenevano appena
quell'estremo lembo del quartiere di sant'Urbano, dove erano stati tirati ad
arte. Alle porte di san Nazaro e di san Giovanni n'era stato piuttosto
simulacro e fracasso, che pericolo d'assalto; a porta Pile, per la prossimità
del castello, e pel giuoco delle soprastanti artiglierie, era riuscito più
aspro il combattere degli Austriaci, e più onorata la vittoria dei Bresciani.
Senonchè atrocissimi consigli agitava l'animo dell'Haynau; il quale sapendo
come il dì appresso tutto il terzo corpo dell'esercito con fioritissima
artiglieria dovesse giungere sotto Brescia, smaniava d'impazienza, e recavasi
ad onta di non avere espugnata la città prima che giungesse il soccorso, quasichè
quel poco d'indugio, che altri avrebbe saputo volgere a benefizio d'umanità,
potesse macchiare il suo onore, e fargli uscire di mano l'indubbia vittoria.
Volle tentare in quella notte stessa un'estrema prova se mai colla pietà e
coll'orrore potesse vincere gli animi, che la paura e la morte non avevano
saputo piegare. Già a molte case suburbane ed a molte ville de' Ronchi era
stato, come dicemmo, appiccato il fuoco; tantochè sull'imbrunire si vedeva la
nobile città incoronata d'incendi. Quando le tenebre posero fine agli assalti,
fu comandato e insegnato ai soldati di forare i muri delle case e penetrare
nell'interno, abbruciando e devastando: nuovo ed orribile modo di guerra. A
quest'uopo venivano per ogni pelottone alcuni gregari recando acqua ragia,
pece, paglia ed altro da appiccare e propagare rapidamente le fiamme: e gli
uffiziali si facevano maestri di questa barbarie. Gl'incendi ruppero
spaventevoli principalmente nelle case di sant'Urbano e nei vicoli
popolatissimi che stanno presso a porta sant'Alessandro: e presto
giganteggiarono le vampe, spandendo largamente un orrendo chiarore sotto il
cupo orizzonte d'una notte nebulosa.
I cittadini vegliavano in armi quell'ultima notte della libertà lombarda: e
combattendo il fuoco ed i nemici, con maravigliosa gara di pietà, soccorrevano
i feriti, raccoglievano ed ospitavano le famiglie fuggenti dalla ferina caccia
de' Croati, i quali, poiché avevano saccheggiata una casa ed incendiata, si
postavano presso ad essa ad insidiare i soccorrevoli, a scannarli senza
riguardo a sesso o a età, prolungando soltanto per le donne il supplizio per
appagare prima i loro istinti brutali. Gli stridi delle vittime di tratto in
tratto si facevano udire fra il continuato moschettare, a cui tenevano dietro
le grida di viva Haynau! saccheggio ed incendio a Brescia! grida
che i proconsoli del paterno regime austriaco facevano emettere da
quelle belve ferocissime. Con viva all'Italia, rispondevano i nostri a
quelle umane ecatombi.
Poco oltre il mezzo di quell'orribile notte si raccoglieva a consiglio il
Corpo municipale, chiamandovi i più autorevoli cittadini, fra' quali alcuni
della guardia nazionale, i duumviri Contratti e Cassola. Brevi parole vi si
fecero. Parecchi, allibiti e disfatti, mostrando più colla mano che colla voce
l'atmosfera ardente che soffocava la città, pregavano che si cedesse al
destino. I più stavano sopra pensiero, come aspettando od ascoltando un'interna
ispirazione; al di fuori s'udiva crescere ed avvicinarsi il crepito degli
incendi, il rovinio delle case, il tuonare degli schioppi, il rintocco rabbioso
delle campane, e quello che sopra ogni altra cosa trafiggeva il cuore, le grida
di donne e di fanciulli e gli urli come di fiere, che ora parevano dileguarsi
lontano, ora finire strozzati, ora scoppiare in sulla piazza del Municipio,
secondo che il vento ne portava col fumo, e colle faville quel viluppo di suoni
orribili e pietosi. «Dinanzi a siffatto spettacolo, scrive il Correnti, levossi
taluno chiedendo gravemente se rimanessero armi, combattenti, munizioni e
speranze. Rispose il Comitato di difesa: non essersi perduto un fucile: pochi
dei combattenti caduti, e quei che rimanevano tanto più feroci e deliberati: le
munizioni bastare per un giorno ancora: aspettarsi aiuti dalle valli e dal
Camozzi che forse fra poche ore, o certamente entro il domani doveva capitare:
della guerra grande non v'essere altre nuove dopo quelle dell'armistizio, che
l'Haynau non aveva osato negare. I consiglieri allora considerando che se era
cresciuto il pericolo, non erano però mutate le ragioni dei difendersi,
decisero, che Brescia terrebbe finchè le avanzasse una cartuccia, od una
speranza. E fu di subito codesta deliberazione notificata al popolo, che,
raccolto sotto la loggia, confortava i suoi magistrati a pigliar per migliore
il partito più onorevole.»
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