V
L'alba del lunedì, 2 aprile, rischiarando le opere della notte e destando
alle usate cupidigie le soldatesche, crebbe orrore allo spettacolo della
violata città e terrore negli abitanti. Quei pochi che si attentarono ad uscire
delle case, inermi e in atto di supplichevoli, venivano minacciati, percossi,
rubati; parecchi che recando il fucile disarmato ed arrovesciato verso terra
s'avviavano al Municipio per liberarsene, furono in sull'atto fucilati, nè loro
valse pregare e chiamare in testimonio Dio e i patti della resa. Per il che
tutti, aspettando il saccheggio e la morte, stavano come la notte innanzi,
rintanati ed agonizzanti. Non uscio, non bottega, non finestra aperta, se non
dove divampavano gl'incendi, o dove erano entrati i saccomanni. Quasi in nessun
luogo delle muraglie si potevano fissare gli occhi, senza vedere solco di palla
o di scure, traccia di fuoco o macchia di sangue.
«Per le vie, narra il Correnti, smosso e spezzato il lastrico di granito,
sconvolto l'acciottolato, mura squarciate dalle bombe, tetti crollanti, avanzi
di barricate, che alle materie ricche talora e gentili di cui erano composte, e
alla fretta con cui poi erano state atterrate e disperse ancora serbavano
indizio del primo entusiasmo e dell'ultimo spavento; scarchi di stoviglie e
d'arredi rotti e sperperati come dalla pazza furia d'un turbine; e qua e là
cadaveri di Bresciani e di soldati già da molte ore insepolti; e talora gruppi
di donne e di fanciulli accovacciati in qualche angolo remoto, fissi, muti,
istupiditi, i quali dando immagine della morte dell'anima, erano più strazianti
a vedere che i cadaveri. Gli incendi duravano tuttavia, e minacciavano di stendersi
a tutta la città; nè le violenze dei soldati cessavano.»
Il Municipio domandò in carità che gli venissero restituite le macchine
idrauliche, che come nobile trofeo di guerra, avevano nel dì 31 gli Austriaci
menate via, e le ottenne. Domandò una guardia pel palazzo di città e pei suoi
impiegati, che più fiate erano stati bistrattati dai soldati e perfino dagli
ufficiali; e anche questo gli fu consentito. Allora si cominciò a rifiatare e a
dare qualche provvedimento. Ma troppo più facile era frenare gli incendi, che
ammansare gli inferociti vincitori, massime con animi sì ripugnanti alla viltà
delle supplicazioni come sono i Bresciani; e con quel soprarrivare ad ogni ora
di nuove truppe, le quali si sguinzagliavano per la città cavando da tutto pretesto
di forzare le porte e d'insanguinare le mani. Così alcuni, da più giorni
rimbucati per le cantine, furono allora malconci o morti. Nè i generali, nè gli
ufficiali superiori si mostravano solleciti dell'onore o dell'umanità, se
appena se ne eccettuino alcuni pochi. E tra questi vogliamo menzionare il
colonnello Jellachich, il quale volle mostrarsi, fra compagni, umano. Narrano
ch'egli, udendo minacciata da' suoi la chiesa di sant'Affra, ove si erano
ricoverate molte donne, accorresse a guardia della soglia, che la religione
avrebbe mal difesa, e vi rimanesse supplicando finchè i suoi non furono passati
oltre. Anche parecchi altri ufficiali, che nel verno avevano avuta le stanze in
Brescia, accorsero per salvare dal sacco le case degli ospiti. Ma l'Haynau non
diè segno alcuno che il valore, la sventura e l'aperta giustizia della causa
avessero ammollito la sua ferocia; sicchè parve piuttosto aver l'animo di
vendicarsi che a vincere e a governare.
Quel lunedì, quasi per sopraggravare i dolori dei Bresciani, la Jena mandò
fuori un bando con cui multava la provincia di sei milioni di lire, e la città,
due volte ribelle, d'una tassa di trecento mila lire destinate a compenso e
premio degli ufficiali. Poi il comando della città affidò al tenente
maresciallo Appel, il quale alle due pomeridiane entrò in Brescia alla testa
del terzo corpo di armata, composto di venti battaglioni con cavalleria e
cannoni, borioso di essere stato vincitore a Novara, e chiedente con ansia che
quella sua gloria gli fosse pagata in licenza ed in sangue!
Il Sangervasio ed i suoi due assistenti accorsero a lui, sebbene non fosse
senza loro pericolo, e modestamente ricordarono all'Appel, essersi la città
data sotto fede che si sarebbero rispettati gl'imbelli, i rassegnati e gli
inermi; epperò pregavano che si frenasse la licenza militare, che le porte e le
vie della città si liberassero ai commerci, e che anche nel punire non si
procedesse più a capriccio e a furore de' soldaiti. Aspramente rispose Appel: «Non
essere tempo di misurati consigli, ma di rigida giustizia; i municipali non a
parlar di patti e a muover querele, ma pensassero invece a dargli in mano i
capi-popolo, o a denunciarglieli; a far subito sparire ogni traccia delle
infami barricate, a riaprir le botteghe, a rassettare il selciato. Conceder
loro per questo un termine di 6 ore, e facoltà di usar coi renitenti la forza e
le pene; badassero però che anch'essi colla forza e colle pene sarebbero stati
astretti a compiere l'ufficio loro.»
Così li
accommiatò minacciando. Poco dopo il Sangervasio, avuto per indizi e per
avvisi, certezza, che volevano arrestarlo, dovette trafugarsi fuor di città.
Rimasero i due suoi colleghi, i quali con bandi e con messi sollecitarono i
bottegai a riaprire i loro fondachi, mostrando come quella chiusura irritasse
il nemico e offrisse pretesto d'usare violenza. Ma più di questi conforti valse
il pensiero di assoldare sentinelle e postarle a guardia delle botteghe,
frenando così colla religione della disciplina quelle orde ubbriache di sangue.
Intanto alla tumultuaria carnificina, succedeva, nuovo argomento di
terrore, la carnificina ordinata. Svanera e Siccardi, famosi sgherri di
polizia, appena liberati dalle prigioni, ove il popolo aveva loro perdonato la
vita, entrarono in caccia: e quanti si fossero in voce o di più caldi amatori
della patria, o di più intrepidi al fuoco venivano fiutati, cercati, e, se per
loro mala ventura presi, erano nel giro di poche ore tratti in castello o nelle
caserme, bastonati, martoriati, e infine fucilati e buttati nelle fosse o sotto
i bastioni, ove per più giorni se ne lasciavano insepolti i cadaveri, affinchè
servissero di salutare terrore.
Mal si
potrebbe dire quanti a questo modo mancassero; ma la fama li reca presso ad un
centinaio. Infine tre giorni dopo, alle reiterate supplicazioni del Municipio,
il tenente maresciallo Appel promise, e gli parve clemenza, che «da quel dì
in avanti nessuno più sarebbe passato per l'armi senza i soliti processi.»
Tanto s'erano gli animi spaventati, e le menti alterate che, parve un beneficio
il tornare alle enormezze de' giudizi marziali.
«E veramente, scrive il Correnti, in questo fatto di Brescia, quasi come in
ultimo schianto di tutte le passioni buone e malvagie che si erano andate
ingrossando durante la guerra italiana, trasmodò per modo l'umana natura così
in bene, come in male, da toglier fede a chi debba narrarne con tocchi rapidi e
riassuntivi.»
Che i soldati austriaci, anzichè infrenati, venissero eccitati dai capi a
incrudelire spietatamente contro gli abitanti, possiamo chiarircene leggendo la
relazione dell'atroce Haynau. «Quando io vidi, scrive egli, che già moltissimi
dei nostri erano caduti, e che nè per la tempesta incessante delle bombe, nè
per l'assalto generale s'allentava il furore dei cittadini, che duravano pertinaci
alle difese, diedi mano gli estremi argomenti di guerra, comandando che più
non si ricevessero prigioni, e che in sull'atto si facesse macello di quanti
fossero presi coll'armi indosso, e le case, ove si trovasse contrasto,
venissero arse e spianate.» Quest'era la legge di guerra del tenente
maresciallo austriaco; ed egli stesso poi confessa che i soldati nel calore del
fatto trascorsero più oltre, e diedero in eccessi. Pensino i nostri
lettori di qual natura saranno stati questi eccessi, se tali parvero al
truculento Haynau. E un tal uomo, chiamato dall'austriaco imperatore suo benemerito,
veniva dal medesimo mandato tosto dopo a rizzare le pericolanti sorti
dell'impero in Ungheria; e come sotto le mura di Brescia, pur quivi il suo
cuore fu chiuso ad ogni senso di pietà16.
Comechè
la sfrenata licenza dei soldati avesse per modo inorriditi i cittadini, che non
pochi si precipitarono alla fuga da incredibile altezza, o cercarono morte più
riposata buttandosi sulle armi nemiche, tuttavia, anco in mezzo allo spavento
ed al furore che suole aizzare gli uomini, si vide sempre segno della forte ed
amorevole natura del popolo bresciano.
Alle famiglie cacciate dalle loro case e raminghe per le vie, ai fuggenti,
ai proscritti non furono mai chiuse le porte dai cittadini, quantunque non si
potessero aprire senza pericolo di vedere irrompere dietro gli inseguiti i
persecutori. Anzi in quei dì nefasti pareva che niuna altra gloria conoscessero
i Bresciani e niun'altra consolazione volessero se non quella d'ospiziare
qualche Martire della patria; e molte famiglie, che prima erano sembrate
tiepide alle speranze, si mostrarono ferventi ai pericoli colla carità. E se ne
videro esempi notabili anche nel saccheggio. Imperocchè avendo i soldati aperto
delle loro ruberie un mercato fuori di porta Torrelunga intorno al Rebuffone,
molti accorsero a comperare, fingendo d'esservi tirati dall'ingordigia del buon
prezzo in cui quegli oggetti erano venduti17; e acquistato che avessero
alcun che andavano cercando i danneggiati e a loro restituivano il mal tolto. E
fra gli altri moltissime robe ricomperò e diligentemente restituì una ostessa,
che, come bella e giovane, era stata dai soldati trascinata fra le prede, e
che, senza lasciarsi avvilire dalla vergogna e dal dolore, volse la sventura
propria in soccorso de' suoi fratelli.
«E certo, scrive il Correnti, a frenare gli animi indomiti più valse la
pietà, che la paura. E pur troppo spesso nelle case del popolo gli uomini dopo
avere per carità delle donne e dei figli patito alcun tempo l'oltracotanza dei
nemici, vinti ad un tratto da qualche più acerba trafittura, riafferravano le
armi e morivano vendicati. Spesso anche i cittadini, che da più ore s'erano
abbarrati nelle loro case, uscirono fuori di nuovo ai pericoli per soccorrere
feriti, od accorrere agli incendi. Perchè è da notare che anche in questo
estremo i Bresciani sdegnosamente rifiutarono che gli stranieri mettessero mano
a soccorrere la città dopo averla rovinata; ed una volta che i soldati fecero
vista di mescolarsi coi cittadini per combattere le fiamme che minacciavano
d'incenerire tutto un quartiere, furono accolti con imprecazioni e con atti di
orrore, sicchè dovettero restarsene.»
Dieci giorni durò Brescia in sull'armi, spesso vincente e non vinta affatto
se non colle insidie. Caso unico negli annali guerreschi, ove, si pensi che la
città, popolata, come abbiamo più sopra notato, di soli trentacinque mila
persone d'ogni sesso e d'ogni età, aveva confitto nei fianchi il castello
devastatore, e di più in sulle porte l'oste nemica, che crescendo man mano, in
sull'ultimo toccava le venti migliaia di soldati stanziali. A questi appena
appena si opposero due in tre migliaia di fucili in mano di cittadini e di
valligiani nuovi tutti alla guerra, se ne togliamo le bande dei disertori; il
resto sassi, tegole, coltelli. Lontani i patrioti più autorevoli, lontana tutta
la gioventù più animosa e più esperta dell'armi, scarso l'erario, le mura
indifese, non un cannone, nè un nodo di milizie regolari, nè un ufficiale di esperienza,
col quale consigliarsi. E nondimeno o sul campo, o di ferite negli ospitali
morirono 1514 nemici; e fra questi un tal numero d'ufficiali, da provare qual
fosse l'accanimento nel combattere e il terrore del soldato, a muovere il
quale, dopo ch'ebbe assaggiato di che sapessero i Bresciani, bisognarono
stimoli di fieri castighi, di insolita emulazione e d'infami promesse. Fra i
morti 30 ufficiali, tre capitani, un tenente colonnello, due colonnelli e il
generale Nugent. Nel giorno 17 gli Austriaci contavano ancora più di seicento
feriti nei tre ospitali.
Più fiate il castello saettò l'incendio e la morte sulle case cittadine,
delle quali trecento furono consunte dal fuoco, o guaste; e il danno passò i
dodici milioni di lire. Piovvero mille seicento bombe e palle: alcune di
pietra, le quali, furono dal Leshke gettate per sordidezza. I vincitori, non
contenti alle multe, ai danni dell'incendio ed alle tasse di guerra di sei
milioni e mezzo, mandarono al Municipio la polizza dei proiettili e della
polvere, chiedendo che la città ne pagasse le spese.
I circa seicento Bresciani che morirono (e più di metà furono donne,
fanciulli o inermi presi e martoriati a furore, ovvero assassinati dai giudizi
militari a dispetto delle condizioni della resa) furono spazzati via alla
rinfusa; e di molti non si trovò il nome o il cadavere.
Consci d'aver dato al mondo un magnanimo esempio, i Bresciani non ruppero
al fiero colpo in discordie e in calunnie. E sì che avrebbero potuto con troppa
apparenza di ragione dirsi tratti in errore da coloro, che, promettendosi
miracoli dall'esercito piemontese, avevano mosso quella pratica esiziale. Ma
all'incontro, ricordandosi soltanto che le speranze erano state comuni, e
abborrendo dal volgere, secondo il capriccio della fortuna, in colpa ed in
biasimo quello che prima a tutti pareva merito e lode, non pensarono neppure un
momento a gridare traditori, quelli che l'Austriaco cercava a morte. Anzi tutti
d'accordo e principalmente i macellai e gli operai minuti, s'adoperavano anco
col rischio di vita, a trarre fuori delle porte e a calare giù delle mura i più
noti autori della sommossa, quelli stessi che i sobbillatori e le spie
dell'Austria con quell'arte vecchia, che pur troppo, anco in questi dì venne
posta in opera per gettare scissura fra noi, accusavano al popolo come
macchinatori delle sciagure che aggravavano su Brescia. Onde l'Haynau e
l'Appel, per vigili che stessero, non ebbero in mano altro che uomini, i quali
non avevano preso parte alcuna a preparare o a dirigere i fatti. Ciò non tolse
ai due generali d'incrudelire e allora, e poi; come mostrò l'infame processo
del luglio, pel quale dodici popolani, quando già tutta Italia era prostrata e
quattro mesi erano corsi sul primo furore delle vendette, furono sentenziati a
morire della morte dei ladri. Dodici forche furono rizzate in fila sui baluardi
al cantone Mombello in vista dei Ronchi, della città e di quella porta di
Torrelunga, ove tante volte i Bresciani avevano con liete grida invocato il Dio
della libertà e della vittoria.
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Fra un popolo di cotanto eroismo, come quello di cui abbiamo narrato le
gesta, non mancarono uomini vili, che cercarono di disonorarlo col mostrare al
mondo come esso si trovasse pentito della fatta rivoluzione e che a questa
fosse stato travolto soltanto da pochi pazzi, andando, dietro proposta del
famigerato Zambelli, in commissione a Vienna per impetrar grazia
dall'Imperatore. I Bresciani non potendo protestare altamente contro l'illegale
atto, vollero gli emigrati della vinta ma non doma città, residenti in
Isvizzera, pubblicare lo scritto, che qui riportiamo, il quale fa conoscere
come la sventura non aveva potuto avvilire i petti bresciani.
PROTESTA.
..... l'8 giugno 1849.
«Perchè una Commissione rappresenti legalmente ed equamente
una nazione, in ispecial modo quando si tratta del suo onore, non solo deve
averne da essa il mandato, ma deve inoltre essere coscienziosamente persuasa
che il di lei voto è quello della massa, giacchè senza il primo requisito, la
Commissione sarebbe illegale nella sua rappresentanza, senza il secondo,
il di lei operato sarebbe iniquo. Ora la Commissione, composta dei
cittadini bresciani Giovanni Zambelli, Faustino Feroldi e Camillo Palusella,
partita da Brescia per Vienna a riconoscere l'imperatore fanciullo Francesco Giuseppe
I, ed impetrar grazia da lui per averlo offeso colla rivoluzione, mancherebbe
di entrambi questi requisiti, e perciò la si dichiara illegale ed iniqua.»
«È illegale, perchè, non solo la Congregazione provinciale che la
nominò, dietro proposta del famigerato austriacizzante Zambelli, non poteva
avere, nè aveva facoltà di rappresentare il principio nazionale, perchè affatto
indipendente dalle mansioni relative alla sua istituzione, ma perchè ancora i
pusillanimi cittadini che componevano quella Congregazione non potevano
emettere un libero voto sotto la diretta influenza delle baionette austriache,
pronte a ferire ove diversamente si fossero espressi.»
«È poi iniqua la commissione, perchè il voto della nazione assolutamente
contrario al di lei mandato. E ciò chiaro si appalesa dalla generale
rivoluzione del passato anno, riprodotta non ha guari dai Bresciani colla più
disperata resistenza, dimostrando in tal modo che fra essi e gli Austriaci non
v'ha più transazione, ma che si tratta di vita o di morte; e si manifestò
inoltre colla universale riprovazione che susseguì alla nomina della
Commissione stessa.»
«In vista di ciò, gli emigrati bresciani, interpreti del vero sentimento
della nazione, e come i soli che possano liberamente esprimerlo,»
1° Protestano altamente in faccia ai popoli d'ogni nazione contro
l'operato qualsiasi della Commissione bresciana diretta a Vienna allo scopo di
patteggiare vilmente coll'imperatore fanciullo Francesco Giuseppe I, per essere
stata la Commissione istessa illegalmente costituita, e per essersi assunto un
mandato contrario al voto della nazione;
2° Dichiarano e sostengono che la provincia di Brescia non perde
punto del suo onore nazionale per il fatto illegale ed iniquo della Commissione
stessa;
3° Manifestano la più sentita disapprovazione contro la
Congregazione Provinciale, che per vigliacca condiscendenza agli aggressori
della nostra patria si lasciò indurre alla nomina di quella Commissione;
4° Abbandonano all'esecrazione universale gli individui
componenti la Commissione, per avere rinnegata la loro patria, cercando di
stuprarne l'onore, che i loro concittadini resero sì bello col proprio sangue.»
—————
Gli uomini che hanno fede soltanto in ciò che vedono e che toccano; quelli
la cui religione è materia e calcolo, tanto che vorrebbero gettare ghiaccio e
chiudere un abbaco fin dentro al divampante cuore del popolo; i pochi di
spirito che vorrebbero le rivoluzioni misurate a compasso e che presumerebbero
fare l'economo agli slanci popolari, questa gente, che è quanto codarda,
altrettanto inetta a capire i grandi problemi dell'umanità, nella caduta di
Brescia non vide che quello con cui finiscono le vittorie austriache: oro
espilato e vittime massacrate. Il popolo per lo contrario scôrse nel mezzo
delle grandi rovine della patria, il grande compenso; misurò le sue forze,
sentì la sua potenza, acquistò la sicurezza per l'avvenire; e, superbo della
sua opera, per dodici anni nudrì ed espresse un sempre crescente odio allo
straniero. Noi teniamo poi per fermo che abbia di molto operato sul cuore non
solo dei Bresciani, ma di tutte le genti italiane, lo spettacolo d'un popolo
che si dibatte per dieci non interrotti dì colle smisuratamente superiori forze
nemiche, e l'un di più che l'altro progredisce nella disperata lotta, e cade
schiacciato soltanto dallo sterminato numero, ma pur contando, sopra una delle
sue, dieci delle vittime nemiche. La grandezza delle tradizioni e degli esempi
hanno sempre gran parte nella riabilitazione dei popoli. Le rivoluzioni di
Brescia, di Milano, di Bologna e delle altre città italiane s'ebbero i loro
frutti; ne scorgiamo il genio in tutti que' portentosi avvenimenti che vennero
succedendosi ne' giorni dell'oggi; e quella fiamma di cui tutta Italia è
invasa, la chiamiamo fulgidissima favilla di quelle rivoluzioni.
Concluderemo dicendo che i dieci giorni di Brescia verranno mai sempre
ricordati ad onore perpetuo di quella generosa città, ad infamia perenne de'
suoi scellerati carnefici.
—————
Le ossa delle vittime dell'insurrezione bresciana inonoratamente sepolte
dall'austriaca vendetta, vennero ricuperate dietro accurate indagini d'una
Commissione istituita da quel Municipio, e, come cosa santa, con trasporto
d'amore, collocate nel pubblico cimiterio.
La mesta e solenne cerimonia del trasporto delle ossa, ebbe luogo il 1° aprile 1861. Meglio che alla nostra parola a descriverla, noi diamo luogo ad
una peregrina narrativa che il bresciano scrittore Federico Odorici gentilmente
ci inviava:
«Alcuni scheletri dissepolti nell'ultimo recinto del castello, e che si
tennero dapprima miserande reliquie di fucilati del 1849, furono causa di più
minute ricerche. Perchè destatasi dal fatto l'attenzione del Municipio e del
Circolo Nazionale, una Commissione da quest'ultima eletta, ritrovate quell'ossa
di lunga mano più antiche, fu dal Circolo incaricata della indagine di altre,
che veramente sapevansi colà disperse, di molte vittime cadute nell'eroica
resistenza, che apprese al Leshke ed all'Haynau di che sapessero l'armi nostre.
«Rinvenuti i luoghi che la pietà cittadina aveva già designati come deserte
sepolture di quegli assassinati, la nostra Giunta delegava (13 marzo) il conte
Gerolamo Fenaroli, il dottor Lodovico Balardini, l'ing. Bortolo Peroni e
Federico Odorici, perchè sopravvedessero al disterramento ed al trasporto nel
patrio cimiterio dei martiri della nostra indipendenza.
«La disumazione fu principiata in castello il 19 marzo nella cannoniera
sotto il torrione così detto dei Francesi. Vi si rinvennero quattro cadaveri
barbaramente fracellato il cranio da gravi pietre scagliate loro prima ancora
che la terra ne li coprisse. L'una di quelle vittime sembra non spirasse che a
quest'ultimo colpo di tedesca rabbia, perchè ci apparvero spalancate le
mascelle e schiacciata la fronte sotto il largo sasso. Il poveretto, nelle
prime esultanze della rivolta, poneva all'abito bottoni dorati del 1797 recanti
il moto Guardia Nazionale Bresciana, e quel moto fors'anche gli costò la
vita.
«Il giorno appresso venivano dissepolte l'orsa dei fucilati lungo gli
spaldi del Ravarotto. In quattro fosse, così com'erano rimescolati alla
rinfusa, e nelle strane guise in cui giacquero, buttativi dentro dall'ira
croata, emersero le reliquie di trentadue cadaveri: nè fu cuore dei presenti a
quell'orrida scena, che non fremesse di sdegno e di pietà. - Era austriaca
sepoltura.
«Per quanto difficile riuscisse alla Commissione discernere ed appartare
gli scheletri, una scarpa ed una fibula da prete additarono quello di Andrea
Gabetti, come una suola di femminile calzatura e l'ossa delle pelvi designavano
i resti d'una donna massacrata coi dodici che nel tumulo rasente alla cinta di
S. Giulia furono rinvenuti. Nessun indizio positivo distingueva del resto di
tanto salme, quella di Francesco Canobio, mitissima ed innocente
creatura; di Pietro Venturini, che terrore de' suoi carnefici, moriva
imprecando alla tedesca immanità; di Cesare Nullo, che ferito com'era,
fu colà trascinato perchè le palle nemiche troncassero nel fiore delle speranze
una giovane vita.
«Se i due comaschi ciotolai, giustiziati nelle fosse del castello a destra
dell'ingresso, furono tosto rinvenuti, più difficili tornarono le indagini
nella Rocchetta di S. Chiara, dove soltanto al terzo dì si discopersero le
spoglie di Pietro Boifava, Sotero Bresciani, Dionisio Donabini,
Filippo Franzoni, mentre nel piano di fronte ai magazzeni del Forno di
Castello, a rintracciarsi le reliquie del prete Attilio Pulusella e di Luigi
Usanza, riuscirono vane investigazioni più rigorose ed insistenti.
«Terminato quel triste ufficio che allo squallore di profana terra toglieva
i resti di tanti martiri della bresciana libertà, la Giunta Municipale
annunciava la pompa del trasporto, mentre la Commissione volgevasi con altro
appello a tutte le classi lavoratrici: a quella massa potente dai terribili
commovimenti, che nelle grandi sventure sostenne frequenti volte le nostre
sorti, e sempre la dignità del nostro nome. E quell'appello fu inteso; e più di
due mila popolani accorsero dimandando al Circolo Nazionale i moti e le
bandiere dell'arti.
«La funerea cerimonia doveva compiersi al 1° di aprile, ricorrenza gloriosa
della nostra insurrezione, cui le attonite città chiamarono salvatrice
dell'avvenire. Quel mattino volgeva mesto e piovoso; ma l'onda dell'affluente
moltitudine, lo spiegarsi delle bandiere e il divisarsi a lutto delle contrade
dava imponente aspetto di popolo chiamato ad un convegno fraterno, nè d'altro
compreso che del compimento di una sacra ed antica promessa.
«La Guardia Nazionale sfilata nella piazza del Duomo, e nella via di
Broletto le ventinove Corporazioni dell'arti aspettavano il convoglio che
lentamente si avvicinava, e che arrestatosi di fronte alla cattedrale, cessato
il rito con cui la religione saluta le ceneri dell'uomo, s'era messo nel centro
del grave corteggio, per modo che, precedute dai nostri Bersaglieri e da una
banda musicale, venivano l'arti schierate a compagnie, distinte dalle loro
bandiere; poi gli animosi Garibaldini; e recante l'impresa, di cui ben presto
non avrà più bisogno:
«V'aspettan frementi
«Le oppresse città»,
la veneta
Emigrazione, e dietro ad essa le singole rappresentanze dell'arti e delle
industrie provinciali.
«Era il convoglio come di ricco mausoleo. Otto genii, colle faci
arrovesciate, seduti appiè del monumento, erano simboli del nostro dolore.
Sovr'alta base decorata dell'armi sabaude e cittadine, fiancheggiata dalle
italiche bandiere e di funerei vasi, era l'urna dei martiri. Il Bresciano lione
posava sull'urna e gli sedeva sul dorso mestamente raccolta la immagine di
Brescia, che fiera de' suoi martiri porgea, spezzate per essi, le catene
dell'antica servitù. Quattro consiglieri della città ed altrettanti ufficiali
della guardia cittadina reggevano i cordoni del feretro, che, trascinato da sei
cavalli coperti di gramaglie, cui moderavano vestiti a lutto sei palafrenieri,
traspariva da un ampio velo che leggermente ne l'avvolgeva. Ai lati del
monumento leggemmo le parole — Vittime della patria libertà — Caddero senza
vanto ma da forti. Dietro al carro procedeva col Sindaco l'intero Corpo
municipale, e col governatore l'altre civili e provinciali rappresentanze,
quelle dei Circoli, del Commercio, della pubblica Istruzione, dei molti Comuni
del piano e delle valli, accorse volonterose al commovente rito; nè mancarono
sacerdoti che dividessero con noi quest'ultimo saluto ai fratelli caduti. Sei
bande musicali empievano frattanto di mestissime armonie le contrade silenti,
eppur stipate di popolo, mentre dalle finestre cadevano fiori in sulla tomba, e
più d'un volto immoto su di lei, come di vinti dalla piena di commozioni
profonde, si rigava di pianto. Il corteggio era chiuso dall'intera Legione
della Guardia Nazionale.
«Tra le bande Musicali quella di Breno attrasse i nostri sguardi. La ricca
e fantastica sua divisa di velluto nero a candidi cordoni, armonizzava colla
mestizia della pompa; se non che la breve tunica stretta al fianco da una
sciarpa azzurra che dall'un capo libera scendeva, e un non so che di spigliato
ritraente del bersagliere, le dava carattere alpigiano ch'era nuncio dei luoghi
da cui veniva, i quali a noi per secoli congiunti di lingua, di costumi, di
glorie e di sventura, a noi tolti sul principiare del secolo, ridati ora dalle
sorti mutate, riconsacravano in quel giorno, dodici lustri, sull'ossa dei
nostri martiri la fratellanza antica.
«Giunto il convoglio di fronte al camposanto, il cui viale era messo a
cippi ed are e serti di fiori, o confaloni divisati a corruccio, ritrovò già
sfilate a riceverlo le compagnie dell'arti, mentre la Guardia Nazionale col
tuono delle artiglierie e coi fuochi di fila egregiamente riusciti, ne
salutavano l'arrivo.
«Finalmente, dall'alto della tribuna, suonò poderosa la parola del nostro
Salvoni, che trasfuso negli animi commossi l'entusiasmo del suo, vi destò
sentimenti ed affetti, a ciascuno dei quali rispose un palpito dei nostri
cuori. E quando facevasi promettitore, che la virtù dei figli sarebbe stata
degna dell'olocausto dei padri, lo giuriamo, gridò una voce solitaria
emersa dalla calca; e il forte grido corse vibrato per la vasta moltitudine
come un eco solenne e per poco la sacra dignità di quell'istante non fu vinta
dal prorompere impetuoso d'una di quelle manifestazioni, che nei popoli
concitati hanno sempre un non so che di sublime e di tremendo.
Sulla porta del tempio, dettata dal conte Lechi, era la bella epigrafe:
RITI SOLENNI
PER L'INUMAZIONE DELLE OSSA DEI NOSTRI FRATELLI
CHE L'AUSTRIA RABBIA
ASSASSINÒ E SEPPELLÌ A GUISA DI BELVE
IN POCA TERRA
SCAVATA DALLE MANI STESSE DEI MISERI.
——
DIO VINDICE E LIBERATORE
CHE NELLA TUA MISERICORDIA
BENEDICI AI POPOLI REDENTI
ACCOGLI LE PRECI E LE LACRIME DEI BRESCIANI
PER QUESTI MARTIRI
CHE NELL'AGONIA IMPLORAVANO QUELLA GIUSTIZIA
CHE CI DIEDE ALFINE UNA PATRIA.
MARTIRI DI
BRESCIA
——
Brescia nel 1836, colpita dal flagello del cholera, erigeva piamente nel
suo cimitero un cenotafio comune, ove tutte sono ricordate le vittime del contagio;
noi siamo sicuri che, non andrà molto, essa porrà una colonna votiva a
commemorazione dei Martiri suoi. Frattanto con religioso sgomento qui
trascriviamo i nomi che si sono potuti ricavare. Alle vittime ignote, che non
hanno lasciato che un brano di cadavere irreconoscibile, e forse un'angoscia
segreta in qualche umile cuore, provvegga la giustizia di Dio!
1. Albertani Angelo, di Brescia, massacrato.
2. Anderloni Faustino, id., d'anni 45,
massacrato
3. Angeli Andrea, idem, d'anni 62,
agricoltore, massacrato.
4. Apostoli Tommaso, idem, morto all'ospedale
per ferita di bomba.
5. Archetti Domenico, idem.
6. Arrighini Federico, idem, morto per
ferite.
7. Arrighini Rosa, idem, d'anni 30,
cucitrice, ferita in sua casa, poi morta.
8. Baronio Pietro, idem, d'anni 40, cuoco,
preso e fucilato in castello.
9. Bassi Pietro, idem, d'anni 15, preso e
fucilato in castello.
10. Beccaguti Vincenzo, idem, d'anni 52,
massacrato.
11. Bellini Giovanni, idem, d'anni 48, cuoco,
morto all'ospedale per ferite.
12. Berardi Pietro.
13. Bernasconi Antonio, idem, d'anni 38,
muratore, massacrato dai soldati in cantina.
14. Berti Bortolo, idem, d'anni 48.
15. Bertolani Antonio, idem, d'anni 51,
muratore, ucciso.
16. Bertolani Giuseppe, idem, d'anni 27,
muratore, figlio del suddetto, ucciso.
17. Bertolani Giuseppe, idem, d'anni 25,
muratore, figlio del suddetto, ucciso.
18. Bertua Giovanni, idem, d'anni 48, oste,
preso in sua casa e fucilato sugli spalti dai soldati.
19. Bettini Marco.
20. Boggiani Faustino.
21. Bonata Pietro, idem, d'anni 20, morto per
ferite all'ospedale.
22. Bonduri Andrea, idem, d'anni 39,
prestinaio, ucciso in sua casa, ammogliato e padre di tre teneri figli.
23. Bonfanti Gio. Battista, idem, d'anni 49,
sarto e possidente, massacrato dai soldati che invasero la sua casa.
24. Bonservi Giovanni, di Milano, d'anni 57, indoratore,
morto per ferita al braccio sinistro.
25. Braga Pietro, di Brescia, d'anni 15,
ucciso dai soldati.
26. Bracchi Carlo, idem, d'anni 32.
27. Bresciani Angelo, idem, d'anni 29, ucciso
dai soldati.
28. Bruschi Giuseppe, morto all'ospedale per
ferite.
29. Buffi Gio. Antonio, idem, d'anni 49,
calzolaio.
30. Calabi Carlo, idem, d'anni 35, negoziante
israelita, morto per ferite.
31. Calzavelli Margherita, idem, d'anni 70,
uccisa dai soldati.
32. Capellini Giovanni, idem, morto per
ferite.
33. Carobi Pietro, idem, d'anni 67.
34. Cassamali Giuseppe, morto per ferite.
35. Chiodo Pietro, di Bedizzole, d'anni 25,
farmacista, morto in combattimento.
36. Chiodo Gio. Battista, idem, d'anni 20,
studente, fratello del suddetto, ferito in ambe le braccia, ed amputato che ne
moriva.
37. Cominardi Vincenzo, morto all'ospedale per
ferite.
38. Conti Gaetano, di Brescia, d'anni 39.
39. Corsetti Antonio, di Gargnano, d'anni 18,
studente, morto in combattimento.
40. Costa Giacinta, di Brescia, d'anni 88,
uccisa dai soldati.
41. David Carlo, idem, d'anni 46.
42. Duina Gio. Battista, idem, d'anni 46,
ucciso dai soldati.
43. Eretico Gio. Battista, d'anni 56.
44. Ferrari Luigi, idem, morto all'ospedale
per ferite.
45. Ferretti Giuseppe, idem, d'anni 17,
vetturale, ferito in fronte da una palla e morto.
46. Filippi Andrea, d'anni 60.
47. Fogliata Gio. Battista, morto all'ospedale
per ferite.
48. Francinelli Pietro, idem, d'anni 48,
ucciso dai soldati.
49. Franzoni Benedetto, idem, d'anni 29,
macinatore.
50. Franzoni Gio. Battista, idem, d'anni 31,
agente di negozio.
51. Gabaglio Fedele, idem, d'anni 66,
muratore, massacrato dai soldati nella sua cantina dove si era nascosto.
52. Gabaglio Francesco, idem, d'anni 24,
massacrato come sopra.
53. Gabetti Andrea, di Urago Mella, d'anni 41,
sacerdote, prese inerme a porta Torrelunga e fucilato il 1° aprile in castello.
54. Gazzoli Pietro, di Volta Bresciana, d'anni
35, agricoltore.
55. Genovesi Girolamo, morto all'ospedale per
ferite.
56. Gherber Alberto, svizzero, d'anni 19,
cameriere, gettato dalla finestra dai soldati che ne invasero la casa, moriva.
57. Gigalini Gio. Battista, di Brescia, d'anni
29, barbitonsore.
58. Giacomini Francesco, idem, d'anni 32.
59. Giuliani Giuseppe, idem, sarto, colpito da
una bomba, moriva.
60. Godi Giovanni, idem, d'anni 39, ucciso dai
soldati.
61. Grassi Giovanni, idem, d'anni 32,
prestinaio.
62. Guerrini Cesare, idem, d'anni 23, dottore
in legge, ferito al ginocchio in combattimento, fu amputato, e moriva.
63. Guerrini Paolo, idem, morto all'ospedale
per ferite.
64. Guerrini Carlo, idem, d'anni 44.
65. Inselvini Gio. Battista, idem, d'anni 32,
oste.
66. Lecchi Benedetto, idem, d'anni 72, falegname,
massacrato in sua casa.
67. Locatelli Francesco, idem, d'anni 68,
ucciso dai soldati.
68. Longhi Innocente.
69. Lovatini Temistocle, idem, d'anni 19,
studente, ferito, fu fatto prigioniero e fucilato.
70. Lumieri Giovanni, idem, d'anni 40,
sensale.
71. Maffezzoni Giuseppe, idem, d'anni 66,
domestico, ucciso dai soldati.
72. Marti Giuseppe, d'anni 55, agricoltore.
73. Mazza Angelo, idem, d'anni 22, argentiere.
74. Mazza Faustino, idem, d'anni 77,
sacerdote, venne abbruciato dai soldati.
75. Mayer Carlo d'anni 32.
76. Melchiori Rosa, idem, uccisa dai soldati.
77. Micheli Pietro, idem, d'anni 40.
78. Mottinelli Lorenzo, idem, d'anni 57.
79. Mostacchini Antonio, idem, oste, ucciso
dai soldati in sua casa.
80. Ninzola Luigi, idem, d'anni 31.
81. Novelli Giuseppe, idem, morto all'ospedale
per ferite.
82. Nullo Cesare, idem, d'anni 24, negoziante,
ferito, fu fatto prigioniero e fucilato.
83. Onofrio Gio. Pattista, idem, d'anni 30,
possidente, ferito nella coscia destra, moriva.
84. Paderni Giuseppe, idem.
85. Fari Alessandria, idem, incendiata.
86. Parolari Luigi, idem, d'anni 28,
negoziante di biade, martoriato ed ucciso in sua casa.
87. Parzani Andrea, idem, d'anni 56,
canestraio, morto di ferite ricevute in combattimento.
88. Pasotti Felice, idem, possidente,
prestinaio, uscendo da città il giorno dopo le ostilità, venne ucciso dai
soldati, che lo spogliarono di alcune migliaia di lire, nella partizione delle
quali essendo nato contrasto col loro ufficiale, lo uccisero.
89. Pasqualigo Gaetano, idem, d'anni 65,
giornaliere.
90. Pedrini Barbara, idem, d'anni 65,
cucitrice, uccisa dai soldati.
91. Pellegrini Santa, idem, d'anni 65,
abbruciata.
92. Pelizzari Bortolo, idem, d'anni 66, ucciso
dai soldati.
93. Perati Pietro, idem, morto all'ospedale
per ferita di bomba.
94. Patiroli Giacomo, idem. d'anni 68,
patinista, colpito da fucilata uscendo di casa.
95. Perlotti Faustino, morto all'ospedale per
ferite.
96. Peroni Bortolo, idem, d'anni 61,
possidente ed oste, martoriato e ferito venne gettato dalla finestra dal 4° piano della sua casa, alla quale i soldati diedero fuoco dopo saccheggiata.
97. Peroni Pietro, idem, d'anni 27, figlio del
suddetto, martoriato some sopra.
98. Piazza Luigi, d'anni 60, giornaliere.
99. Pini Giacomo, d'anni 60.
100. Prina Giacomo, morto all'ospedale per
ferite.
101. Radici Serina, idem, d'anni 42, moglie del
direttore del collegio Guidi; invaso il collegio dai soldati, venne uccisa con
10 alunni dell'età dagli 8 agli 11 anni.
102. Ragni Giovanni, idem, morto all'ospedale
per ferite.
103. Ragni Bortolo, idem, morto all'ospedale
per ferite.
104. Ragni Faustino, idem.
105. Rienzi Antonio.
106. Ronchetti Pietro, morto all'ospedale per
ferite.
107. Ronchi Gaetano, ferito sulle mura da una
palla in fronte, moriva.
108. Rubini Francesco, idem, d'anni 13,
studente nel collegio Guidi, ucciso dai soldati.
109. Sandri Giacomo, idem, d'anni 50, ucciso
dai soldati.
110. Sandrini Andrea, idem, d'anni 37, vetturale,
ferito, moriva all'ospedale.
1. Serafini Paolo, d'anni 37.
2. Servergnini Paolo.
3. Sigalini Francesco, d'anni 41.
4. Squassini Luigia, idem, d'anni 24,
cucitrice, ferita dai soldati in sua casa e poi morta.
5. Tavelli Michele.
6. Tavelli-Lubbi Teresa, idem, d'anni 17,
sposa da mesi, uccisa dai soldati.
7. Tedeschi Cesare, d'Adro, possidente
prigioniero, fu fucilato.
8. Tisi Giuseppe, di Gargnano, d'anni 36,
maiolino, morto in combattimento.
9. Tosi Massimiliano, di Brescia, morto
all'ospedale per ferite.
10. Tosini Giorgio, idem, d'anni 70,
calzolaio, ferito da bomba, moriva.
11. Trenchi Beniamino, idem, morto
all'ospedale per ferite.
12. Trentini Giovanni, idem, d'anni 64, ucciso
dai soldati.
13. Valsecchi Luigi, morto all'ospedale per
ferite.
14. Vanini Luigi, d'anni 45.
15. Ventura Luigi, idem, morto all'ospedale
per ferite.
16. Venturini Pietro, idem, d'anni 63, fu
preso inerme in casa sua, condotto in castello e fucilato.
17. Vicentini Gio. Battista, d'anni 70, ucciso
dai soldati.
18. Vicentini Pietro, d'anni 50, ucciso dai
soldati.
19. Vicentini Luigi, d'anni 35, ucciso dai
soldati.
20. Vimercati Ulisse, d'anni 18.
21. Vonong Carlo, Ungherese, d'anni 40, si
battè da prode, e moriva in combattendo.
22. Zambelli Teresa, di Brescia d'anni 73,
madre del direttore Guidi, massacrata in sua casa.
23. Zamboni Catterina, maritata Fava, idem,
morta per ferita di bomba.
24. Zatti Costantino, idem, morto all'ospedale
per ferite.
25. Zatti Paolo, idem, morto all'ospedale per
ferite.
26. Zima Carlo, idem, d'anni 26; fabbricante
di carozze, abbruciato vivo con un croato.
27. Frate Arcangelo, idem, d'anni 75, P.
Francescano, ucciso da un croato in sua casa.
Oltre ai sunnominati si debbono aggiungere:
a) Diciassette morti trovati in parrocchia
Santa Maria Calchera, non riconosciuti.
b) Altri tre, i cui cadaveri mutilati si
rinvennero nell'orto del Dazio porta Turrelunga, e che non erano riconoscibili,
e fra cui forse quello del povero Taglianini.
c) Venti individui Bergamaschi appartenenti
alla legione Camozzi stati rinvenuti morti in casa Caldera nel comune di
Fiumicello; nel territorio del qual comune furono pure trovati altri quattro
individui appartenenti alla stessa legione.
d) Altri 16 individui della stessa legione,
dei quali 11 Bergamaschi, 5 della provincia bresciana, che fatti prigionieri e
condotti in castello, furono fucilati.
e) Il 5 aprile 1849 furono sepolti altri 29
individui morti nei combattimenti del 30 e 31 Marzo, e 1° aprile, i quali
vennero raccolti nella fossa della città tra porta Torrelunga e il Casino della
Polveriera.
Al
numero risultante dal presente quadro ve ne sarebbero da aggiungere molti
altri, che venivano nei giorni del trambusto seppelliti dai cittadini, ed altri
sotterrati dal militare all'insaputa del civile.
In
occasione del disterramento praticato nel 19 marzo 1861, venivano riconosciuti
gli scheletri de' seguenti generosi Martiri
1. Boifava
Pietro, vero sacerdote del Vangelo.
2. Bresciani
Sotero.
3. Canobio
Francesco, giovine elettissimo per molte virtù cittadine.
4. Donabini
Dionisio.
5. Franzoni
Filippo.
In questo
martirologio non dobbiamo dimenticare i nomi di:
1. Pulusella
Attilio.
2. Usanza Luigi,
fucilati dall'ira austriaca prima dell'eroica difesa.
Nomi dei
12 individui stati appiccati, 6 il giorno 9, e gli altri 6 il susseguente giorno
10 luglio per aver preso parte alla insurrezione di Brescia: ciò per sentenza
del Consiglio di guerra radunatosi per ordine dell'I.R comando dell'armata
d'Italia.
Maccatinelli Pietro, detto Cicca di
Brescia, d'anni 31, nubile, macellaio.
Rizzi Costantino, detto Pitanzini,
idem, d'anni, 31, ammogliato e padre, tintore,
Bianchi Vincenzo, di Pavia, d'anni 26,
nubile, orefice.
Gobbi Bortolo, di Lumezzane, provincia di
Brescia, d'anni 19, nubile, calzolaio.
Conegatti Gaetano, di Brescia, d'anni 38,
nubile, tintore.
Dall'Era Giovanni, detto Gobbo,
idem, d'anni 27, nubile, macellaio.
Avanzi Giovanni, detto Pestaos od Inoci,
idem, di anni 46, vedovo con due figli, calzolaio.
Zanni Napoleone, idem, d'anni 29, nubile,
muratore.
Zanini Pietro, di Villanova, provincia di
Brescia, di anni 45, ammogliato e padre, fruttivendolo.
Zanini Pietro, detto Peteo di
Brescia, d'anni 30, nubile, fruttivendolo.
Zappani Francesco, di sant'Eufemia,
provincia di Brescia, d'anni 31, nubile, falegname.
Maggi Bonafino, detto Barabba, di
Milano, d'anni 30, nubile, macchinista.
COMANDO DEL TERZO CORPO D'ARMATA
Brescia, 21 dicembre 1813.
All'Inclita I. R. Delegazione Provinciale.
Sembra essere intenzione di un certo partito di dar a divedere il proprio malcontento
intorno allo stato attuale delle cose col non frequentare, in maniera come
concertata, le rappresentazioni teatrali. Affinchè non vi abbia nemmeno
l'apparenza, che gli impiegati di queste II. RR. cariche civili e della città,
i quali pur ricevono il loro onorario dallo Stato, convengano in così semplici
e frivole dimostrazioni col non andare al teatro, si dovrà significare ai
medesimi, giacere nella natura della cosa che tutti i pubblici impiegati
abbiano ad abbonarsi alle rappresentazioni teatrali che stanno per aver luogo,
ed in quanto non vi si oppongano forti impedimenti frequentare eziandio il
teatro, per non figurare siccome prendenti parte a quelle meschine
dimostrazioni.
Haynau, tenente maresciallo.
PROCLAMA
L'avviso stato pubblicato in questa città il 6 passato settembre
prescriveva che tutti gl'individui presso i quali si fossero trovati oggetti
militari di qualsiasi specie appartenenti a truppe austriache, ovvero a quelle
di altre potenze, od a corpi franchi formatisi sotto il passato governo
provvisorio, erano obbligati a farne immediata notificazione a questo I. R.
comando sotto comminatoria che qualora si fossero in seguito trovati simili
oggetti non notificati i detentori sarebbero stati trattati secondo le vigenti
leggi militari.
Malgrado ciò si scopersero ora diversi magazzini chiusi sotto chiave, con
iscienza di questa municipalità, nei quali trovansi accumulate considerevoli
quantità di monture e di effetti d'armatura d'ogni specie in parte già
perfezionati, ed in parte ancora in materiali, non solo di ragione
dell'Austria, ma anche di altre potenze estere.
Questo accumulamento di sì rilevante numero di forniture militari, che per
essere durato quattro mesi, deve dirsi operato a disegno, è tanto più
inescusabile e colpevole, in quanto che partì dalla prima autorità della città,
alla quale non essendo ignota l'esistenza dei suddetti magazzini, correva già
obbligo per suo dovere d'ufficio di farne la notificazione, e la consegna anche
senza il preciso avviso di sopra enunciato.
La sleale occultazione di tanta ragguardevole quantità di monture ed
effetti di armatura austriaca tolta all'I. R. militare non poteva essere ignota
neppure agli abitanti della città, il che non fa che confermare di nuovo lo
spirito ostile, in cui questa stessa città continuamente persiste. Anche lo
scoprimento di fucili carichi nascosti appartenenti alle truppe austriache
verificatosi in occasione dell'incendio non è guari quivi scoppiato, è un'altra
prova della cattiva disposizione di questi abitanti.
Tali fatti, e la conservazione dei magazzini ripieni di effetti militari
non fanno fede di sentimenti leali e di pacifiche tendenze, e non possono
trovare spiegazione se non se nella speranza che si nutre di rimettere
all'occasione gli effetti medesimi ai nemici dell'Austria.
Per queste misure di alto tradimento, e per l'opposizione che si manifesta
in ogni occasione contro il legittimo I. R. governo, la città di Brescia, ad
ammonizione ben anco delle altre città che fussero dello stesso spirito, viene
multata della somma di austriache lire 520.000, alla quale dovranno contribuire
in ragione del rispettivo scotato d'estimo tanto i proprietari di una o più
case in Brescia coll'aggiunta della cifra d'estimo della possidenza che
potessero avere in provincia, quanto coloro che avendo soltanto regolare
domicilio in questa città di Brescia possedessero beni immobili nel territorio
bresciano.
La quota parte dei singoli contribuenti dovrà essere versata pel giorno 21
del prossimo venturo febbraio al più tardi nella cassa dell'esattore comunale
di Brescia sotto la comminatoria ai morosi dell'immediata esecuzione forzosa.
L'I. R. Delegazione provinciale resta incaricata della pronta e puntuale
esecuzione del presente proclama.
Brescia, 4 gennaio 1849
Il comandante l'I. R. 3° Corpo d'armata
I. R. ten. Maresciallo Haynau
———
Nelle stesse pene incorrerà pure quel comune in cui venga colto il
disertore in qualsiasi altro modo, e questi deponga d'essersi trattenuto in
esso comune senza essere stato dal medesimo notificato e consegnato.
La famiglia di un tal disertore dovrà inoltre fornire al detto reggimento
un individuo idoneo preso dal seno della medesima, e quando questo non vi
fosse, dovrà provvedere il comune per la presentazione di un altro soggetto, da
prendersi dal comune stesso, il quale rimarrà presso il reggimento qual
supplente del disertore sino a che quest'ultimo sarà ricondotto ad esso
reggimento. Qualora il disertore avesse esportate in questa rinnovata di lui
evasione effetti di montura ovvero d'armatura, il comune rispettivo dovrà pure
presentarne l'indennizzo giusta l'ordine che al medesimo sarà per pervenire.
Quel comune, il quale, cinque giorni dopo che gli sarà stata partecipata la
relativa condanna, che non avrà versata la multa che si sarà tirata addosso
nella maniera suindicata, ovvero il rimborso presso il commissario distrettuale,
cui appartiene per l'ulteriore trasmissione all'imperiale regio comando del
terzo corpo d'armata, sarà punito col doppio importo della multa stessa, e
verrà inoltre colà spedito un corrispondente distaccamento di truppa per
l'esecuzione, il quale vi si tratterà a spese del comune, e con l'aggiunta di
una lira austriaca al giorno fino a che la somma di detta multa sarà
soddisfatta.
Per quei comuni poi, i quali, persistendo nella resistenza, daranno a
conoscere con ciò la continua loro disposizione ostile, verrà proceduto contro
di loro ad altre più severe misure militari.
La presente notificazione dovrà esser letta in ciascun comune dal parroco
al pubblico raccolto nella chiesa, per tre giorni, fra i quali dovrà cadere una
domenica, e dovrà inoltre essere affissa al locale del comune e partecipata
dalla deputazione comunale a quella famiglia in ispecie alla quale appartiene
l'uno o l'altro dei disertori.
Brescia, 15 gennaio 1849.
Haynau.
———
Essendo avvenuti ripetutamente nell'intervallo di questi ultimi quattro
giorni gravi eccessi a perturbare la quiete, quali sarebbero uno sparo d'arma
carica a palla stato diretto il 15 corrente contro la quasi caserma in casa
Cazzago, ed una sassata lanciata da una casa il giorno 18 pure corrente contro
una pattuglia, nella quale occasione si ebbe perfino l'ardire di insultare e
scagliar sassi non solo contro i singoli soldati tranquilli, che passavano a
caso, ma ben anche contro le pattuglie mandate a ristabilir l'ordine e la
quiete, così allo scopo di mantenere sì l'uno che l'altra, trovo di ordinare
quanto segue:
Sono severamente proibite le adunanze di ragazzi e giovinetti adulti, che
hanno luogo, a quel che sembra, non senza scopo, sui bastioni, i quali ragazzi,
mediante giuochi clamorosi, attirano numerosi spettatori, gran parte dei quali
si compone di persone che approfittano di quest'occasione per provocare in modo
petulante il militare. Qualora in onta a tal divieto avesse a rinnovarsi un
cosiffatto scandalo saranno sottoposti al meritato castigo non solo i ragazzi
che verranno arrestati, ma saranno severamente puniti i loro genitori, ed in
mancanza di questi i parenti, ovvero le persone incaricate della sorveglianza
dei medesimi, correndo loro obbligo di curare che simili fanciulli oziosi non
vengano sedotti a cattivi fini.
All'intento però di meglio ovviare in avvenire simili perturbazioni della
quiete, introdotte a disegno, costituisco in pari tempo solidariamente
responsabile quel circondario della città, in cui avesse a verificarsi un inconveniente
di tale natura, ed impartisco parimente l'ordine che all'evenienza di simili
casi venga immediatamente colà acquartierata per l'ulteriore mantenimento
dell'ordine una divisione, ovvero a norma delle circostanze un intiero
battaglione, per le cui competenze di tappa durante tutto il tempo di questa
occupazione militare dovrà provvedere il corrispettivo circondario, il quale
dovrà pagare inoltre una multa di austriache lire 5000. Ciascuna casa, dalla
quale venisse gettato un sasso, qualora non venga consegnato il colpevole,
dovrà essere sgombrata intieramente entro 24 ore, e sarà ridotta a caserma a
spese del circondario della città, e come tale subito occupata dal militare,
ovvero rivolta ad altro uso.
Si ricorda da ultimo, che il gettar sassi contro le pattuglie porta con sè,
secondo la legge marziale, la stessa pena della resistenza a mano armata.
Nel caso che queste sassate partano da un assembramento di persone, le
pattuglie hanno ordine di rispondere a cotali attacchi con una scarica a palla.
Le vittime colpevoli od innocenti, che in conseguenza di ciò rimanessero
colpite, dovranno ascriversi a sola colpa degli autori di un tale conflitto.
Brescia, i febbraio 1849.
L'I. R. comandante del 3° Corpo
d'armata.
Tenente maresciallo Appel.
———
I. R.
INTENDENZA PROVINCIALE DI FINANZA
Brescia, 6 marzo 1849.
Con sommo mio dispiacere mi viene oggi partecipato da S. E. il tenente
maresciallo barone di Appel, comandante il terzo corpo d'armata, che alcuni
degli impiegati di Finanza si permettono di indossare distintivi anti-politici
tendenti a dimostrazioni contro l'attuale ordine di cose, come sarebbero abiti
di velluto, stivali rossi e cappelli così detto alla Calabrese,
all'Ernani, alla Profuga ecc., ecc.
Non
potendosi tollerare, massime nei pubblici impiegati, i quali anzi dovrebbero
servire di buon esempio agli altri abitanti, il rimarcato abuso, siccome
scandaloso ed ostile all'attuale governo, così d'ordine della prelodata S. E.
diffida tutti i signori impiegati a smettere in giornata i suddetti distintivi,
perchè in caso contrario dovranno a sè stessi imputare le severe misure delle
leggi militari da cui sarebbero impreteribilmente colpiti i renitenti, contro
le quali non varrebbe al certo l'opera mia in loro favore.
E perchè nessuno degli impiegati da me dipendenti abbia ad allegare
ignoranza di queste determinazioni, i signori capi d'uffizio trarranno copia
della presente sulla quale dovranno essere riportate le firme di tutti gli
impiegati addetti all'ufficio rispettivo, e me la rassegneranno in giornata e
prima della scadenza dell'ora d'ufficio.
I dirigenti poi dell'ufficio medesimo saranno ritenuti responsabili
dell'inesecuzione della stessa.
Pagani
———
MUNICIPIO DI BRESCIA.
AVVISO
Una
rappresentanza di cittadini per la difesa della patria ha nominato un Comitato
apposito, composto dei seguenti:
Ingegnere professore Luigi Contratti,
Dottore Carlo Cassola.
«Cittadini, il vostro amore per la patria è conosciuto, ed ora è il tempo di
darne una luminosa prova; avvicinatevi al Comitato, che fissa la sua residenza
nel locale del Teatro, ed attendete da lui direzione ed ordine.
Brescia, 24 marzo 1849.
Per il dirigente Sangervasio
IL COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Elegge e nomina in via d'urgenza le seguenti Commissioni:
Per l'organizzazione della Guardia nazionale, con incarico di sorvegliare
l'esatto adempimento del servizio e la distribuzione delle relative paghe:
I signori ingegnere Domenico Buizza,
Dottor Pietro Buffali,
Ingegnere Camillo De-Dominici,
Dottore Carlo Tibaldi;
Per
l'acquisto delle armi e munizioni:
I signori Vincenzo Grassi,
Serafino Volponi,
Giovanni Micheloni,
Zaccaria Premoli;
Per la
distribuzione delle armi e munizioni:
I signori ingegnere Pietro Pedarali,
Ragioniere Alessandro Usardi.
Le summentovate Commissioni avranno residenza nel locale del Teatro.
Dall'Ufficio, 24 marzo 1849.
I membri del Comitato
Contratti – Cassola.
IL COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 29 marzo 1849.
I sottoscritti, stati eletti per provvedere alla difesa della patria,
nell'accettare sì grave incarico confidano che i cittadini i quali diedero già
tante belle dimostrazioni di amor patrio vorranno concorrere con tutta
l'energia di cui sono capaci, a sostegno di una così santa causa.
Frattanto si invitano tutti coloro che possiedono uno schioppo e che non
fossero ancora organizzati in pattuglie, a presentarsi oggi alle ore dieci
antimeridiane alla caserma nel Teatro, ove si dirigeranno alla Commissione già
nominata per l'organizzazione e pagamento della Guardia nazionale, avvertiti
che a coloro che traessero i mezzi di sussistenza dal giornaliero lavoro verrà
corrisposta la mercede di lire 1,50.
Cittadini!
Nessun privato interesse, nessun timore vi trattenga dall'accorrere alla
chiamata, e considerate quale infamia piomberebbe su quelli che non si
prestassero in momenti tanto decisivi per la salute della patria.
Unione - Costanza - Coraggio.
Cassola – Contratti
MUNICIPALITÀ DI
BRESCIA
AVVISO.
La rappresentanza Municipale di questa città trovasi necessitata a dover
provvedere ai mezzi di pubblica sicurezza e difesa, la quale venne ieri
affidata ad un Comitato composto dei signori ingegnere Luigi Contratti e
dottore Carlo Cassola.
Trattasi di confermare nel Comitato medesimo ogni relativo potere di
somministrare i mezzi ad agire nell'importantissimo ed urgente mandato.
Il rappresentante Municipale a questa scopo, e per essere appoggiato al
voto della popolazione, invita tutti i possidenti e censiti, negozianti ed
esercenti arti liberali della città, e quelli ancora della provincia che si
trovassero, a recarsi oggi alle ore quattro pomeridiane nel palazzo Municipale
della Loggia per deliberare sopra così importante oggetto.
Brescia, dal Civico Palazzo, il 25 marzo 1849.
Per il dirigente Sangervasio.
———
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
CIRCOLARE.
Ai reverendi Parrochi
della città e campagna della provincia di Brescia.
Sacerdoti! A voi, che tanta influenza, pel sacro vostro ministero,
avete sulla popolazione, è giunto il momento dell'opera vostra.
Il sole della nostra indipendenza aveva già rischiarato il nostro bel paese
l'anno scorso, e poscia offuscatosi, ora comincia a mostrarsi più bello, ed a
lasciarne scorgere speranze, e speranze fondate di libertà ed indipendenza
dello straniero.
Ma non basta l'affidarsi all'esito di una battaglia fra le due armate, che
delle notizie avute è a noi favorevole; è necessario che anche la popolazione
lombardo-veneta dia mano contro il comune nemico, contro lo straniero, e
mostrandosi e lui imponente ed infesta, agisca sul morale di truppe preste alla
diserzione, e poco vogliose al combattere, come le italiane e le ungheresi, e
sia al nemico di danno, o col scemarlo di numero, o col rendergli difficile il
provvigionarsi, e le operazioni militari nel caso specialmente di una ritirata
ai loro nidi.
Brescia e Bergamo hanno di già dimostrato di essere comprese di queste
massime, hanno di già inalberata la bandiera della rivoluzione, e dimostrato
all'austriaco cha non aspettavamo che il segnale per armarsi e difendere col
loro sangue e colla loro vita quanto si ha di più caro dopo Dio; la nostra
patria.
Ora a voi
si indirizza questo Comitato di pubblica difesa, a voi, ministri di un Dio
giusto, onnipotente e che vuole mantenuti agli uomini i diritti che a lui
concesse col dare un'anima, un pensiero libero, una patria, affinchè col vostro
carattere sacro alla popolazione abbiate a secondare lo spirito d'indipendenza
che così bene si ebbe già a manifestare in questa città ed in alcuni paesi. Nè
solo è Ufficio il secondare, ma se siete veri patrioti dovete eccitare la
popolazione, far conoscere ad essa il debito verso la patria. Ma i giovani
specialmente accorrino alla caserma ed alla città, che quivi sarà loro dato un
fucile, un'arma, onde con essa dar prova del loro amor patrio; pronti i
cittadini a dividere seco loro il pane ed i pericoli.
Sì, voi dovete parlare, voi dovete col crocifisso in mano gridare l'allarmi,
voi dovete far conoscere colle vostre influentissime parole come si deve amare
la patria, e quanto deve farsi per essa contro lo straniero.
Se compirete quest'ufficio, Dio nella sua giustizia vi benedirà, la patria
ve ne sarà grata, la storia, parlerà di voi, la vostra coscienza ed il vostro
cuore saranno tranquilli. Guai a voi se non lo compirete, guai per la vostra
coscienza e per la esecrazione dei vostri concittadini e congiunti.
Brescia, 25 marzo 185918.
I membri del Comitato
Contratti - Cassola.
———
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, il 26 marzo 1849.
Questo
Comitato avrebbe intenzione di formare una guardia di arditissimi bersaglieri,
ai quali verrebbero affidate importantissime operazioni di difesa ed offesa.
Si invitano pertanto tutti coloro che avessero il coraggio e l'attitudine
per appartenere a questo corpo distinto a presentarsi nella caserma del Teatro
alle dodici meridiane d'oggi, ove verranno debitamente organizzati e si
assegneranno loro le relative incombenze.
Giovani Bresciani!
L'ora è scoccata in cui potrete mostrare all'Italia che il nome di prodi
che avete ereditato dai vostri maggiori sapete conservarlo immacolato, e farete
conoscere all'ostinato nemico quali cuori questo sole arista riscaldi.
Unione - Costanza - Ardire.
Cassola - Contratti.
———
IL COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
AL POPOLO BRESCIANO.
Brescia, 28 marzo 1849.
Il 27 marzo di Brescia sarà trasmesso ai posteri del paro coi più
gloriosi giorni che rifulsero a Milano e Palermo durante la lotta per
l'indipendenza italiana.
Nel precedente giorno 26 un'armata nemica presentavasi nelle vicinanze
della città. Alla Commissione di tre distinti cittadini, speditagli contro a
Sant'Eufemia per conoscere quali fossero le sue intenzioni, imperiosamente
rispondeva che gli si dovevano aprire le porte e consegnare i prigionieri di
guerra.
Il Comitato di difesa allora, dopo aver consultato il voto del popolo,
rescriveva quanto segue:
Al comandante le armate austriache
nelle vicinanze di Brescia.
Abbiamo
comunicato ai cittadini la vostra risposta, ed il popolo in massa ha respinto
con indignazione le vostre proposte, proclamando che si deve vincere o morire,
e che la città è pronta a resistere finchè sia ridotta in cenere. Nulla noi
aggiungiamo alla potente voce del popolo, e ci siamo perciò determinati di
sostenere con tutti i mezzi che abbiamo in nostro potere qualunque assalto.
Signore! Non confidate troppo nelle vostre forze; perchè la massa popolare
di una città agguerrita non si vince che con un imponente esercito. Pensate che
le vostre truppe saranno massacrate sotto le mura di questa città, e quindi
quale responsabilità attirerete sul vostro capo con un progetto disperato.
Pensate inoltre che al principiare delle ostilità contro Brescia tutti i
prigionieri e gli ammalati che abbiamo in nostro potere sarebbero massacrati
dal furor popolare.
Il Comitato di pubblica difesa
Cassola - Contratti
Ieri
giorno il comandante nemico minaccioso si presentava davanti alla città, ed il popolo
bresciano, fermo nelle sua promesse, avrebbe senza dubbio effettuato lo
sterminio delle sue truppe, se prudentemente non le avesse salvate colla
ritirata.
Cassola - Contratti.
———
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 26 marzo 1849.
LA PATRIA È IN PERICOLO.
Ora è il momento, o Bresciani, di agire e di far conoscere che le vostre
promesse non furono millanterie. Gli armati accorrino davanti al Teatro per
ricevere le destinazioni. Chi non ha armi, le donne, i vecchi, i ragazzi, si
adoprino a costruire barricate alle porte della città. Uniamo le forze, e
difendiamoci. Non si tratta che di duemila uomini con due pezzi d'artiglieria,
quasi tutti italiani. All'armi, all'armi.
Unione – Costanza - Ordine.
Cassola - Contratti.
———
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 26 marzo 1849
Allo scopo che i cittadini abbiano cognizione degli eventi della guerra, si
pubblica il seguente bollettino piemontese, or ora pervenuto.
Bollettino piemontese.
Il nemico ebbe l'audacia d'inoltrarsi sul nostro suolo; battuto da tutte le
parti, tenta inutilmente ritirarsi al corpo.
La nostra vittoria è di diecimila tra morti e feriti, e quattromila
prigionieri.
Un corpo di quindicimila uomini è separato dal maggior corpo austriaco, e
tenta invano di riunirsi.
Dal Campo.
Chrzanowski.
Cittadini!
A fronte di tali vittorie riportate dai nostri prodi, vorrete voi gettare
incancellabile macchia d'infamia sulla nostra città col cedere in faccia ad un
piccolo distaccamento, che certe notizie dicono minore di duemila uomini?
Quando i generosi figli di Brescia che combattono per noi in Piemonte
ritorneranno in patria a raccontare le loro prodezze, come potrete nascondere
la vostra viltà se mostraste loro delle catene? Il Comitato di difesa ha deciso
di vincere o morire. Lo abbandonerete voi? Ah no! Brescia non smentirà il suo
nome di città eroica.
All'armi adunque, alle barricate.
Ordine - Costanza - Ardire.
Cassola – Contratti
———
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 26 marzo 1849.
Popolo bresciano,
Pare che il nemico non abbia avuto il coraggio di affrontarci durante il
giorno per non far conoscere la sua debolezza. Forse potrebbe tentare un
assalto nella vegnente notte, nella lusinga che, spiegando all'improvviso un
vivo fuoco dall'esterno della città di concerto col bombardamento da parte del
castello, fra le tenebre della notte, possiate essere atterriti ed abbandoniate
la difesa. Quanto s'inganni però ce lo comprova l'entusiasmo che scorgiamo in
tutti i cittadini pronti a vincere o morire. Voi siete già a prova di bomba,
perchè finora il bombardamento non eccitò che allegria ai cittadini. I nemici
esterni non oltrepassano i seicento.
Interpreti perciò del voto universale, li sfidiamo a qualunque ora. Poco
importa che la nostra vittoria sia rischiarata dal sole o dall'illuminazione
della città.
Comprenderanno pertanto i cittadini che necessita che a tutte le finestre
verso strada sieno esposti i lumi.
In questo momento ci è giunto un proclama del generale insurrezionale
Camozzi, il quale annuncia che la città di Bergamo ha di già ottenuta vittoria
del presidio nemico. Domani sarà qui in nostro sussidio. I Bergamaschi usarono
di ogni mezzo di difesa; sassi, tegole ed altri effetti venivano scagliati
dalle finestre e dai tetti. Sarete voi meno di loro? No, per Dio! Brescia
sceglierebbe la tomba in confronto del disonore. Secondate pertanto gli sforzi
del Comitato, e la città sarà salva.
Unione - Costanza - Ardire.
Cassola - Contratti
———
MUNICIPALITÀ DI BRESCIA.
AVVISO.
Seduta del Consiglio comunale
del giorno 27 marzo 1849, ore 10 antimeridiane.
La
suprema necessità di conservare la sicurezza delle persone e delle sostanze di
questa città dopo chè le autorità superiori hanno abbandonato l'esercizio delle
loro attribuzioni, lasciandola sprovveduta, in onta alle fatte istanze d'ogni
guarnigione, difesa e tutela, ha indotto il sig. dottor Girolamo Sangervasio
col concorso di un'eletta di cittadini convocati a tale scopo a domandare parte
dei poteri e lui conferiti dall'avv. Saleri ad un Comitato composto dei signori
Luigi Contratti e Carlo Cassola affinchè provvedessero alla difesa della patria
nell'urgenza delle circostanze. I sopravvenuti avvenimenti, i bombardamenti tre
volte ripresi sulla città e la vicinanza di un corpo di milizia imperiale hanno
suscitata nel popolo la massima esacerbazione, ma l'indole generosa della
popolazione ci ha salvati fin qui dalle estremità della guerra conservando
incolumi gli stessi ammalati militari lasciati alla sua protezione. Continuando
però il pericolo, ed il governo della cosa pubblica trovandosi tuttavia
concentrato nel solo Municipio, e l'unica forza del popolo armato, l'adunanza
dei consiglieri comunali e di altri cittadini in numero di 38 convocatisi in
questo stesso giorno ha deliberato ad unanimità quanto segue, ed ha votato la
pubblicazione del seguente
PROCESSO VERBALE.
Attesa la necessità imperiosa di provvedere straordinariamente alla
sicurezza delle persone e delle cose, resta conservato interinalmente nel
signor dott. Girolamo Sangervasio ogni potere già conferito al benemerito
avvocato Saleri, compresa la facoltà di aggregarsi quelle persone che più
credesse opportune con pieno mandato di avvisare al miglior possibile andamento
della cosa pubblica, anche costituendo un corpo armato nazionale che come in
altra epoca ha meritato l'universale encomio, così anche negli attuali bisogni
si presti munito delle armi necessarie tanto lasciate dal militare, quanto
provvedute o da provvedersi al di fuori; è approvata ad unanimità ogni misura
sin qui attuata dal signor Sangervasio sottentrato alla dirigenza municipale
per i poteri trasmessi dal consiglio 22 marzo corrente, oltre a quelli
straordinariamente attribuitegli in questo giorno, e nel mentre si votano i
ringraziamenti ad esso Sangervasio ed al Comitato di pubblica difesa, si lascia
allo stes-so Sangervasio di avvisare al completamento degli uffici dipendenti
per tutte le misure ch'egli crederà nel caso così pure alla provvista dei mezzi
e relativa esecuzione.
Per estratto conforme
il f. f. del Presidente dei consiglio
Antonio Basiletti.
IL COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, il 27 marzo 1849
ore sei e mezza pomeridiane.
Cittadini!
Il vostro nome alla posterità è assicurato. Voi vi difendeste da leoni. Il nemico
trovasi nell'avvilimento perché gli imponenti mezzi di guerra coi quali credeva
atterrirvi non hanno fatto che accrescere il vostro entusiasmo. Ormai ha
consumati tutti i suoi mezzi guerreschi, e quindi non dovete far altro che dar
compimento alla vittoria nello stesso modo che l'avete incominciata.
Italia tutta farà plauso a tanta prodezza.
Ordine - Costanza - Unione.
Cassola - Contratti
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 27 marzo 1849.
Mentre l'entusiasmo patriotico predomina la mente ed il cuore di questa
generosa popolazione, pur troppo alcuni vermi malnati, calpestando ogni dovere
sociale, osano in questi momenti sacri alla patria commettere il più
abbominevole fra i delitti, quello cioè di violenza alle persone allo scopo di
impadronirsi delle sostanze. Se pertanto da una parte il Comitato di difesa va
superbo di trovarsi in circostanze da prestarsi alla salvezza di sì eroica
popolazione, conosce, dall'altra, gli obblighi che si trovano inerenti al suo
difficile incarico; e perciò, mentre fa plauso alla massa dei cittadini che
fanno onore alla loro patria con azioni generose, ha determinato di adottare le
misure più rigorose contro questi esseri indegni del nome bresciano.
SI DECRETA QUINDI:
Tutti quelli che verranno colti in flagrante delitto di rapina saranno
assoggettati ad una Commissione di giudizio statario e condannati alla pena di
morte colla fucilazione.
Allo stesso giudizio ed alla stessa pena verranno assoggettati anche coloro
a carico dei quali sarà provato lo spionaggio a favore del nemico.
Tale Commissione di giudizio statario viene composta dei seguenti
cittadini:
Contratti Luigi
Cassola Carlo.
Prestini Giambattista.
I buoni
cittadini faranno eco senza dubbio a questa misura straordinaria di giustizia,
e la loro approvazione basta ai sottoscritti.
Cassola - Contratti
———
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 28 marzo 1849
AVVISO.
Attesa la rinuncia del cittadino Prestini Giambattista al posto
assegnatogli nella Commissione di giudizio statario, nominata con decreto a stampa
di ieri giorno, gli si sostituisce il cittadino Ulisse Marinoni, e perciò tale
Commissione viene composta dei seguenti cittadini;
Contratti Luigi.
Cassola Carlo.
Marinoni Ulisse.
I membri dei Comitato
Cassola - Contratti.
———
CITTADINI!
Chiamato dalla confidenza vostra in questi gravissimi tempi alla direzione
della cosa pubblica, io non potei soffermarmi a considerare quanto le mie forze
fossero insufficienti a tanto peso; amore pel mio paese e i vostri
incoraggiamenti mi spinsero a continuare nel cammino; volontà ferma, intenzione
pura, piena fiducia in voi, ecco ciò che importa al grande lavoro, cui tutti
ora ci stiamo travagliando. L'affetto e la persuasione che mi avete dimostrato
sono già largo compenso alle mie fatiche. Uniti nell'impresa il pericolo non
saprà disgiungerci mai. Le angoscie della patria cesseranno fra breve, io ne
sono certo, perché voi, i quali sapeste già eroicamente difenderla, siete degni
di possederla libera e gloriosa.
Brescia, 28 marzo 1849.
Il dirigente interinale del Municipio.
Sangervasio.
———
LA DIRIGENZA DEL MUNICIPIO DI
BRESCIA.
DECRETA
Tutti i venditori di commestibili di prima necessità, come pure le
farmacie, droghierie ed i caffè dovranno secondo l'uso restare aperte onde prestarsi
immediatamente al pubblico bisogno. Quelli che non eseguiranno tale ingiunzione
saranno multati ed anche puniti a norma delle circostanze.
Brescia, 28 marzo 1849.
Il dirigente – Sangervasio.
———
LA DIRIGENZA DEL MUNICIPIO
DECRETA
Tutte le case della città devono essere illuminate per tutta la notte fino
a nuovo avviso. E siccome tale misura voluta imperiosamente dalle circostanze
non è stata in parte eseguita malgrado le ordinanze del Comitato di difesa,
così ogni proprietario ed inquilino si ritiene solidariamente obbligato a tale
ingiunzione, ed alle pene o multe pecuniarie che saranno applicate in caso di
mancanza.
Brescia, 8 marzo 1849.
Il dirigente - Sangervasio
———
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 28 marzo 1849,
LE BARRICATE.
Questa felice istituzione dei popoli per fiaccare la potenza di forze
materiali, diabolicamente congegnate a ruina della società, deve essere non
solo conservata, ma migliorata.
Frattanto pensiamo noi a trar profitto degli importanti vantaggi di tale
istituzione.
Le guardie nazionali si lagnano ed a ragione, al vedere tanti individui
colle mani in mano, e che non hanno altra scopo se non quello di appagare la
propria curiosità, raccogliendo notizie, mentre ad esse tocca vegliare giorno e
notte per la causa comune. Nessuna scusa che valga possono addurre i neghittosi
in questi momenti d'azione. Chi non ha armi può prestare colle braccia
importante sussidio; le barricate li aspettano. Chi non ha forza di braccio,
avrà una voce per incoraggiare, mani per apprestar cibi ai lavoranti, cuore per
offrir loro ricovero ove ne avessero di bisogno.
Tutti i cittadini adunque devono prestare qualche sussidio alla causa, e
guai agli inerti.
Cassola - Contratti
———
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Per evitare qualunque disordine dell'uso della forza armata, e per moderare
l'ardore sfrenato di alcuni che anelano di battere il nemico, lo che può
portare delle sinistre conseguenze, si ordina che nessuno possa intraprendere
qualsiasi impresa fuori di città, senza avere riportati l'assenso del Comitato
di difesa.
Brescia, 29 marzo 1849.
Contratti - Cassola
———
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 29 marzo 1849.
Non avendo avuto compimento la sistemazione della guardia nazionale colla
convocazione seguita nelle parrocchie al mezzogiorno d'oggi, si ordina che tale
convocazione dovrà rinnovarsi nel giorno di domani 30 marzo, alle ore dodici
del mezzodì.
A tale convocazione dovranno intervenire indistintamente tutti coloro che
sono domiciliati in città, sia che abbiano armi proprie od armi avute dal
Comitato, e sia che ricevino soldo o che si prestino gratuitamente, non avuto
riguardo alle antecedenti iscrizioni. Tutti quelli che si troveranno in
servizio nell'ora prefissa, faranno pervenire alla parrocchia i loro nomi colla
indicazione della compagnia a cui appartengono.
Nessuno manchi per compire un ordine che tanto deve giovare alla patria.
Contratti - Cassola
———
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 31 marzo 1849.
Riesce spiacentissimo il vedere quasi tutte le porte delle case chiuse
quando la prode Guardia Nazionale di città e di provincia sta respingendo il
nemico alle barricate. Come mai ponno esistere esseri dominati da tanto egoismo
e privi d'ogni sentimento amorevole verso i suoi simili, da chiuder loro le
porte in faccia mentre espongono il loro petto alle palle nemiche per la comune
causa dell'indipendenza ed impedire così ad essi un rifugio, nel caso che
esuberante forza d'impeto nemico, superata qualche barricata, portasse la
guerra nelle contrade? Guai a quel cittadino che, dopo la pubblicazione del
presente, non aprisse il portello non solo, ma anche gli usci degli
appartamenti onde i nostri prodi possano all'evenienza ripararvisi ed offendere
il nemico dalle finestre. Colui sarebbe dichiarato traditore della patria, ed
oltre l'esecrazione universale, verrebbe da apposita commissione condannato al
pagamento di una gravosa multa.
Si ripromette il Comitato che chi racchiude in petto cuore bresciano non
vorrà contravvenire a tale ordine.
Contratti - Cassola.
———
MUNICIPALITÀ DI BRESCIA.
AVVISO.
Brescia, 29 marzo 1849.
Il dirigente della municipalità di Brescia in forza dei poteri
attribuitigli dall'adunanza del Consiglio comunale e dei cittadini convocati
nel 27 febbraio 1849, giusta quanto stato proclamato con avviso municipale:
DECRETA
1° Tutti gli ufficii tanto amministrativi, quanto giudiziarii
restano pienamente confirmati nelle loro attribuzioni e nello stesso modo con
cui sono attualmente costituiti; essi dipendono immediatamente dalla dirigenza
del municipio.
2° Tutti gli impiegati addetti agli ufficii medesimi dovranno
prestare il loro servizio.
Il dirigente Sangervasio.
MUNICIPIO DI BRESCIA.
Visto l'urgenza di provvedere a che gli affari giudiziarii non soffrano
pregiudizio dalle attuali condizioni politiche locali, interpellato anche il
potere giudiziario:
Il dirigente del Municipio in vista delle attribuzioni conferitegli,
DECRETA:
1° Resta sospesa la decorrenza di tutti i termini giudiziarii
tanto prescritti dal regolamento generale sul processo civile, quanto dal
giudice a datare dal giorno 23 marzo fino a nuova disposizione.
2° Le rate ed altri effetti cambiari scadenti col giorno 30 e 31
marzo corrente restano in proroga fino a tutto il prossimo venturo aprile, e
quelle scadenti dal 1° al 10 aprile prossimo venturo restano
prorogate pel lasso di 8 giorni, salvo le successive disposizioni che saranno
del caso.
Dal civico Palazzo, 26 marzo 1849.
Il dirigente Sangervasio,
———
CITTADINI!
Il Comitato di pubblica difesa, intento al bene dei poveri di questa città,
essendo in questi momenti interrotti i mezzi di sussistenza, ha emesso dei Boni
che vennero consegnati ai parrochi e curati delle singole parrocchie, i quali
conosciuti i più e i meno bisognosi dispenseranno a questi i detti Boni, che i
fornai hanno l'ordine di estinguere.
Brescia, 29 marzo 1849.
CASSOLA - CONTRATTI.
———
IL COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 29 marzo 1849
Per meglio facilitare la difesa della patria si ordina: Chi venderà fucili
ricevuti dal Comitato sarà arrestato, e secondo le circostanze aggravanti potrà
anche venir fucilato. Chi compra tali fucili sarà arrestato e condannato alla
multa di lire 100 per ogni fucile. Chi ha arme da fuoco senza farne il debito
uso a pro della patria, sarà arrestato e le armi saranno confiscate e subirà
altresì una multa da determinarsi. Chi non sa usare le armi da fuoco dovrà
consegnarle al Comitato di difesa per la distribuzione, salva la restituzione a
suo tempo, altrimenti sarà arrestato e multato.
Contratti - Cassola.
———
IL COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 28 marzo 1849.
Dietro proposta di molte guardie nazionali si ordina ai principali alberghi
e caffè di questa città di lasciar aperte le botteghe durante la notte, così in
caso di attacco del nemico si proibisce che si chiudano le botteghe e le porte
delle case, delle quali ultime si dovrà almeno lasciar aperto il portello. Non
si pone dubbio che questi ordini saranno puntualmente eseguiti.
Cassola - Contratti
———
IL COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 29 marzo 1849.
S'invitano tutti i cittadini a portarsi colle proprie armi alla rispettiva parrocchia
per eleggersi un capo. Ogni parrocchia avrà un capitano il quale dividerà sotto
di sè i soldati in tante compagnie di 30 uomini per ciascheduna con un capo.
Bresciani!
Voi che fino ad ora deste tante luminose prove di buon volere, voi sarete per
approvare questa deliberazione, e quindi vi stabiliamo per tale riunione l'ora
di mezzogiorno.
Viva l'Italia! Viva l'Indipendenza!
Cassola – Contratti.
———
IL COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 28 marzo 1849.
Il Comitato di pubblica difesa conoscendo che alcuni dell'armata austriaca
disertano e girano senza nome, ha deliberato che tutti quei disertori che si
presenteranno allo stesso Comitato con fucile saranno premiati colla somma di
correnti lire 50. e saranno altresì protetti e giornalmente sussidiati colla
paga di lire 1 50.
Contratti - Cassola.
———
CASTELLO DI BRESCIA.
Li 31 marzo 1849, ore 9 antimeridiane.
Notifico alla Congregazione municipale ch'io alla testa delle mie truppe mi
trovo qui per intimare alla città di rendersi tosto e senza condizione. Se ciò
non succederà sino oggi a mezzogiorno, se tutte le barricate non sono
intieramente levate, la città sarà presa d'assalto e saccheggiata, e lasciata
in balìa a tutti gli orrori della devastazione. Tutte le uscite della città
verranno occupate dalle mie truppe, ed una resistenza prolungata trarrà seco la
certa rovina della città.
Bresciani! voi mi conoscete, io mantengo la mia parola.
Il comandante delle truppe
stanziate all'intorno alla città di Brescia
il tenente maresciallo
Haynau.
———
ORDINE DEL GIORNO.
Italiani, sì Piemontesi che Lombardi, voi siete valorosi e degni figli
d'Italia.....! Voi vedeste il nemico ed egli fu vinto, ora ritornerete colle
vostre stesse mani a piantare il vessillo tricolore sull'Adige, lo vedrete, ve
lo assicuro, sventolare sulle rive dell'Isonzo.
CHZARNOWSKY.
———
BOLLETTINO.
Il giorno 25 Radetzky proponeva un armistizio che fu rigettato dal valente
Chzarnowsky. Il giorno 25 due divisioni, 24,000 uomini, avanzavansi
baldanzosamente sul ponte della Sesia inseguendo piccol corpo di piemontesi in
finta ritirata. Appena da una di queste divisioni fu passato il ponte già
minato, questo balzò, dividendo così l'armata austriaca. Le divisioni ora
trovansi al cospetto di 40,000 uomini comparsi quasi per incanto: s'impone la
resa. La divisione rifiuta, e le nostre artiglierie fulminano da ogni lato. I
nostri soldati assalgono il nemico di fianco alla baionetta. I Tedeschi si
avvoltolano nella polve lasciando nude le fila. Radetzky vedendo irreparabile
una sconfitta, innalza bandiera bianca intanto che la predetta divisione
deponeva le armi. Dopo breve ma franco parlamento fu conchiuso l'armistizio in
questi termini:
1° Radetzky sgombrerà subito il Lombardo col restante dell'armata
ritirandosi Veronetta oltre l'Adige.
2° Il Lombardo verrà immediatamente occupato dalle truppe sarde.
3° Restituzione di tutti i prigionieri Piemontesi e Lombardi.
4° Detenzione dei prigionieri Tedeschi in Piemonte.
5° Rispetto alle vite ed alle proprietà d'ogni provincia
lombarda.
6° Sull'Adige nuovi trattati riguardo al Veneto.
Cittadini!
A tali notizie non occorre far comenti per destare entusiasmo. Rispettiamo i
patti del grande Chzarnowsky e quindi tregua coi nostri nemici. Se però fossimo
assaliti, imitate i nostri fratelli che si trovano in Piemonte.
Firmati - CASSOLA - CONTRATTI.
DEL FELD MARESCIALLO HAYNAU
sulla presa di Brescia comunicata a Radetzky.
«Non dubitando che a V. E. saranno noti gli avvenimenti in ed all'intorno
di Brescia fino al 30 marzo a. c. comunicati col mezzo dell'I. R. comando
militare L. V. mi affretto ad umiliare a V. E. la relazione dell'attacco e
sottomissione di questa ribelle città intrapreso nel giorno 31 marzo e 1
aprile.
Fino al 30 marzo la brigata del generale Nugent si era accontentata di
minacciare la città dalla sola parte del borgo di sant'Eufemia, e non aveva
potuto fino allora mettersi in comunicazione col castello.
Quando nella notte dal 29 al 30 mi pervenne la notizia che la ribellione in
Brescia prendeva maggiormente vigore, nel giorno 30 mi portai da Padova a
Verona fino sant'Eufemia, presi tutte le disposizioni per spedire alcuni corpi
di truppe, come anche pel rinforzo della guarnigione a Verona, ed ordinai che
sul giorno 31 in unione alla brigata Nugent concentrata a sant'Eufemia si
dovesse compiere il blocco della città ed operare l'assalto sopra le cinque
porte ad un tempo.
La detta brigata consisteva nel 1. battaglione di Confinali Rumeni del
Banato, 2. battaglione del reggimento arciduca Baden, due divisioni del
Ceccopieri, uno squadrone di cavalleggieri Lichtenstein, e quattro pezzi di
cannone: dassi in tutto 2300 uomini e 50 cavalli.
Ad onta di così piccol forza di truppa io non dubitava dell'esito, nè si
poteva ritardare più oltre l'attacco poichè gl'insorgenti ricevevano dai colli
continui rinforzi. Nel giorno 31 in sull'aurora venne operata la circuizione
col mezzo di cinque colonne in modo che erano occupate le cinque strade che
conducono alla città, e minacciate le cinque porte.
Io condussi meco il primo battaglione del Baden attraverso al declivio dei
colli, facendolo entrare in castello per la porta esterna. Tutte le indicate
colonne dovettero mettersi alle rispettive posizioni lottando cogli insorgenti
in modo che ebbimo un morto e quattordici feriti. Sebbene una dirotta pioggia
rendesse difficile l'operazione, venne d'altra parte favorita dalla nebbia.
Verso il mezzogiorno era compiuto il blocco della città nella quale dominava il
popolo e la perfetta anarchia.
Io feci conoscere alla città che mi trovava in castello, e che con apposita
notificazione le intimava la resa.
Alle 11 ore comparve una deputazione della città, la quale facendo
conoscere l'impotenza dell'autorità municipale e della parte ben intenzionata
dei cittadini a dominare la ribellione, tenne contemporaneamente un linguaggio
che provava come i ribelli non volessero in alcun modo conoscere il loro
delitto: anzi versassero nella pazza idea di trovarsi sopra un terreno legale
difendendo la città contro le truppe imperiali poichè erano incominciate le
ostilità tra il Piemonte e l'Austria.
La deputazione chiese una dilazione fino alle 2 ore dopo mezzogiorno,
essendo quel tempo assolutamente indispensabile per muovere gl'insorgenti a
deporre le armi. Concessi la dilazione sempre sperando che i ribelli
rinunciassero al pazzo proposito della difesa.
In luogo della risposta alle due ore pomeridiane venne suonato a stormo con
tutte le campane della città, e si diresse sopra il castello un fuoco non
interrotto dalle fila delle case che circondano il castello, dalle torri e dai
tetti.
Io temporeggiai volontariamente il termine fino a 4 ore dopo il
mezzogiorno, ma vedendo che la ribellione si faceva più forte, feci aprire il
fuoco dal castello sulla città, ed incominciai l'assalto sopra tutti i punti.
Siccome io non aveva che 4 pezzi di cannone alla porta Torrelunga, e tutte
le entrate fortemente barricate, non si potè a prima giunta penetrare che per
questa porta.
L'attacco di essa venne facilitato da una divisione di riconvalescenti che
io feci partire dal castello sotto la direzione del tenente Imeresk, prendendo
la via dei Bastioni, disperdendoli in modo di operare di fianco sulla barricata
della porta medesima.
Il tenente Imeresk eseguì l'attacco con distinta bravura e gl'insorgenti al
primo giungere furono dispersi dalla barricata in modo che la colonna esterna
del generale Nugent potè penetrare per questa porta nella città. Contemporaneamente
feci uscire dal castello il 1° battaglione Baden ordinando di
assalire anche da quel lato la città.
Allora cominciò un combattimento micidiale il quale dagl'insorgerti venne
condotto da barricata a barricata, da casa a casa, colla massima ostinazione:
io non avrei giammai creduto che una causa così cattiva potesse essere
sostenuta con tanta perseveranza. Ad onta di questa disperata resistenza,
sebbene l'assalto non si potesse effettuare che in parte e con forti cannoni le
nostre brave truppe sotto grave perdita con eroico coraggio occuparono una fila
delle prime case; ma siccome tutte le colonne non poterono ad un tempo
penetrare nella città, comandai sul far della notte di sospendere ogni
progresso nell'assalto e di mantenere soltanto le parti conquistate.
Il combattimento durò sino a notte inoltrata. Al primo aprile sul far del
giorno si rinnovò il suono delle campane a stormo ancor più forte che nel
giorno prima, e la pugna cominciò dalla parte degli insorgenti con ancor maggior
accanimento.
Io feci aprire subito un terribile bombardamento sulla città e ricominciare
l'assalto. Attesa la grave perdita che avevamo di già sofferta, l'ostinazione
ed il furore del nemico, si dovette procedere alla più rigorosa misura,
comandai perciò che non si facessero prigionieri, e fossero immediatamente
massacrati tutti coloro che venissero colti coll'arma alla mano; le case da cui
venisse sparato, incendiate, e così avvenne che il fuoco già incominciato parte
ad opera delle truppe, e parte dal bombardamento si appiccò in parecchi luoghi.
Le nostre truppe fecero a poco a poco progressi, poichè non si poteva
avanzare che di posto in posto, essendo la forza disponibile troppo poca per
una città così estesa, e colle contrade così strette. A poco a poco mediante
assalti di fianco furono prese ed occupate le porte s. Alessandro, s. Nazaro, e
finalmente in sulla sera anche la porta s. Giovanni, e in quella misura
sgombrata la città dagl'insorgenti che in maggior parte tentarono fuggire per
le mura. Essi furono serrati nell'angolo tra s. Giovanni, e porta Pile. A
quattro ore dopo mezzogiorno entrava in città un battaglione di confinali del
Banato ed una batteria di mortai che io aveva fatto pervenire il primo da
Verona, la seconda da Mantova.
Il suddetto battaglione venne tosto impiegato a sollecitare la resa della
città, e siccome la resistenza dei ribelli a poco a poco cedeva, così le nostre
truppe a 6 ore pomeridiane erano già in possesso della città non solo, ma
avevano anche ristabilita la quiete.
La nostra perdita in questo ostinato e micidiale combattimento che durò
dalle 4 pomeridiane del 31 marzo fino a cinque ore dopo mezzogiorno del 1° aprile fu considerevole. Non posso per ora spedire un quadro preciso e
particolareggiato, però debbo umilmente annunciare che il generale Nugent è
stato ferito alla noce del piede in modo che gli si dovette farne
l'amputazione; che il colonnello conte Favancourt comandante in sua vece alla
testa delle sue truppe ebbe una palla attraverso il petto e morì poco dopo; che
il tenente colonnello Milez, dello stesso reggimento Baden, cadde gravemente
ferito e dagli insorgenti poscia massacrato, e la sua salma mutilata. In tutto,
la perdita dovrebbe ammontare in morti a 5 o 6 ufficiali e 480 uomini, in
feriti a 10 o 12 ufficiali, e più che 430 uomini, avrò l'onore di comunicare a
suo tempo la precisa distinta di queste perdite. Quella degli insorgenti non si
può stimare; però si sono trovati in molti luoghi quantità di cadaveri.
Tutte le truppe, i loro ufficiali alla testa, hanno combattuto con
straordinario valore, e il loro contegno merita la più grande riconoscenza.
Se questo lungo ed ostinato combattimento non trascorse senza eccessi in
tali circostanze, ciò non si può evitare anche colle truppe meglio disciplinate.
Io mi darò somma cura di ristabilire nella città l'ordine e la legge, e non
ritornerò colle mie truppe se non quando l'avrò consegnata al feld-maresciallo
barone Appel, il quale deve entrare in Brescia al giorno 2 aprile. Tengo
frattanto occupate le porte con forte guarnigione, e non lascio uscire alcuno
per ottenere possibilmente l'arresto dei capi della rivolta.
In prova dello spirito che dominava nella città unisco alcuni proclami
emanati dall'autorità19.
B. HAYNAU.
Partite
le Imperiali Regie truppe pel Ticino, la città di Brescia con baldanza
insolente si mise in ribellione, usò violenze agli II. RR. Militari qui
rimasti, imprigionandoli e maltrattandoli, si armò e ammise entro le sue mura
masnade armate della provincia e fece tutti i preparativi ed una difesa
ostinata contro l'I. R. Militare.
Invece che il terrore di un bombardamento l'avesse indotta di desistere dal
suo procedere insensato e di ritornare al suo dovere, s'organizzò nella città
la resistenza sotto la direzione d'un apposito - Comitato di pubblica difesa
- e colla diffusione delle notizie le più assurde di sventure sofferte
dall'armata imperiale, s'eccitò ad una perseveranza generale e pertinace. Sono
accorso per domare la città ribelle e di punirla per la ripetuta sua ribellione
verso l'I. R. Governo.
Non ostante la prolungazione di due ore chieste e da me accordata, il
termine posto alla città per la sua resa a discrezione, non servì ad altro, che
di vieppiù fortificare la difesa della città coll'erigere di nuove barricate, e
il termine scorso fu annunziato con un generale suonar a stormo.
Nulla di meno ritenni ancora per alcune ore gli ordini per l'assalto della
città, nell'aspettativa che questa desistesse dal suo procedere insensato.
Poichè dopo un breve bombardamento, fatto come avvertimento, non si eseguì
ancora la sommissione, la città dopo una resistenza disperata fu presa
d'assalto dalle valorose mie truppe.
Eccitati dalla micidiale lotta nelle contrade alla più grande
esacerbazione, nulla di meno essi non fecero sentire alla città tutti gli
orrori di una presa d'assalto.
SI PORTA A GENERALE COGNIZIONE:
1° Quattro ore dopo la pubblicazione di questo Proclama, tutte le
armi e munizioni d'ogni sorta devono essere portate al Municipio, e consegnate
all'I. R. Militare.
2° Dove scorso il termine accordato per l'impunita consegna delle
armi, si trovassero, praticando visite domiciliarie, delle armi o munizione di
qualunque sorta il loro proprietario, o se questo non venisse trovato, il
proprietario della casa o il suo agente sarà fucilato.
3° Tutte le barricate sono tosto da levare, e il selciato deve
essere rimesso come era prima, dove questo non succede sino oggi alle cinque
ore di sera, e talmente che le traccie non sieno riconoscibili, le case private
che vi confinano pagheranno una multa determinata.
4° Gli II. RR. stemmi sono da ricollocare entro 48 ore in tutti
quei luoghi ove furono prima, dove ciò non sarà effettuato, subentrerà una
multa corrispondente.
5° La città e provincia di Brescia pagherà una multa espiatoria
di Sei milioni di Lire Austriache, le quali levate secondo lo scudo
d'estimo, si verseranno in rate mensili di cinquecento mila lire austriache,
cioè la prima rata col primo maggio di quest'anno, la seconda col primo giugno
e così avanti sino all'ultima, scadente col primo aprile 1850.
6° Per quegli II. RR. Militari, che in questa lotta contro
gl'insorgenti traditori furono feriti, come anche per gli orfani dei rimasti
sul campo, la città di Brescia pagherà Trecento mila lire austriache, pagabili
in tre rate eguali, una coll'ultimo aprile, l'altra coll'ultimo maggio e la
terza coll'ultimo giugno di quest'anno.
7° Inoltre tutti i detrimenti sofferti dalle locali Casse
militari e pubbliche durante e in causa di questa ribellione, sono da
restituirsi e soddisfarsi dietro la precisa evaluazione.
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