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Felice Venosta
Il martirio di Brescia: narrazione documentata

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  • III
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III

 

L'aurora della domenica, prima di aprile, spuntava scolorata. Non si udivano più gli inni patriottici, le grida di gioia, le manifestazioni d'entusiasmo: soltanto lo sconforto si leggeva nel volto dei cittadini. Non era che il potente braccio del popolo bresciano fosse infiacchito dalle bombe e dalle baionette: lo spettacolo della morte dei molti Martiri non aveva fatto che accrescere energia ai cuori audaci dei volontari della libertà: era il sentimento dell'umanità, sconosciuto agli Austriaci, che aveva trovato facile albergo ne' petti bresciani. Il martellare spesseggiava più furioso del dì innanzi; i cittadini si cacciavano dappertutto fuori delle serraglie ad assalire i nemici, a snidiarli da quei posti che avevano sorpresi durante la notte, e col favore degli incendi. Haynau meravigliò come Brescia ancora combattesse tanto arditamente; e ne furono sì sbigottiti i soldati, che a porta Torrelunga vennero in tanta confusione, che se i nostri fossero stati più numerosi e freschi, come erano intrepidi, forse ne usciva la salute dell'eroica città.

Schiere austriache si erano avanzate a scaglioni dal lato della Bruttanome, ed avevano piantati due cannoni per battere le interne barricate, quando ardimentosi cittadini colle baionette e colle picche erano sboccati per una via traversa, si erano avventati contro quelle con immenso impeto, avevano rovesciate le prime file, ed erano riusciti addosso ai cannoni, che i soldati avevano dovuto difendere coi loro corpi e tirare a forza di braccia fin presso le mura.

Questa fu l'ultima vittoria del popolo bresciano. Imperocchè in quell'istante istesso, in cui i soldati in sulle mura e a capo delle vie, storditi dell'irruente furia bresciana, cominciavano a piegare, nuove artiglierie e nuovi battaglioni giungevano dal Ticino e dal Mincio sotto la città, e l'Haynau li faceva subito entrare nella battaglia, che da quel punto egli condusse con arte veramente infernale. Schierate le artiglierie sulle mura, e agli sbocchi delle vie spaziose si davano gli Austriaci a mitragliare, affinchè i cittadini non potessero stringere d'appresso colle armi corte i soldati: poi, inquietando con falsi assalti e con rumore di moschetti i difensori delle barricate, di repente dirizzavano il cannone e l'impeto dei guastatori contro qualche casa, i cui muri sfasciandosi lasciavano accesso ai soldati, i quali vi irruivano, col ferro e col fuoco ove non era difesa alcuna. Trascorrendo e passando di casa in casa, uscivano a tergo o in sui fianchi delle serraglie meno munite, e mostrandosi improvvisamente alle finestre e di mezzo agli incendi, confondevano ogni ordine della difesa cittadina.

«A stravolger le menti ed agghiacciar nelle vene il sangue, così il Correnti nella sua terribile narrazione, s'aggiungeva la vista delle orribili enormezze, a cui o ebbri, o comandati, per natura stolidamente feroci gl'Imperiali trascorsero: cose che escono dai confini non pur del credibile, ma dell'immaginabile. Perchè non solo inferocirono contro gl'inermi, le donne, i fanciulli e gli infermi, ma raffinarono per modo gli strazii, che ben si parve come le umane belve anche in ferocia passino ogni animale.

Le membra dilacerate delle vittime scagliavano giù dalle finestre e contro le barricate, come si getta ai cani l'avanzo di un pasto. Teste di teneri fanciulli divelte dal busto e braccia di donne e carni umane abbrustolate cadevano in mezzo alle schiere bresciane, a cui allora parvero misericordiose le bombe. E sopratutto piacevansi i cannibali imperiali nelle convulsioni atrocissime dei morti per arsura; onde, immollati i prigioni con acqua ragia, li incendiavano; e spesso obbligavano le donne de' martoriati ad assistere a siffatta festa; ovvero, per pigliarsi giuoco del nobile sangue bresciano sì ribollente alle magnanime ire, legati strettamente gli uomini, davanti agli occhi loro vituperavano e scannavano le mogli ed i figliuoli. E alcuna volta (Dio ci perdoni se serbiamo memoria dell'orribil fatto) si sforzavano di far inghiottire ai malvivi le sbranate viscere dei loro diletti. Di che molti morirono d'angoscia e più assai impazzirono.»

E il popolo bresciano, ad onta dei nuovi nemici accorrenti da tutte le parti ad opprimere una città di soli trentacinque mila abitanti, ad onta della persuasione essere vano ogni ulteriore contrasto, ad onta degli strazi testè narrati e d'una imminente rovina, non si dava per vinto, durava fermo alle poste e combatteva. Nè ciò basta, chè, scorta la bandiera di pace, inalberata sulla loggia del Comune, strepitò sì fattamente, che fu forza rizzare di nuovo il vessillo rosso, segnale di guerra disperata. E siccome i nemici, incendiando uomini e case, sempre più si venivano allargando, levossi una voce a consigliare a' cittadini, che, messi colle loro mani in fiamme anche i quartieri del centro, si gettassero tutti, uomini e donne, col coltello in pugno a cercare in quel vasto baratro di fuoco i nemici, e a morire sui loro cadaveri. Ma fu chi sviò il popolo da quel tremendo consiglio, che avrebbe avuto compimento, ricordando che molte spie stavano tuttora impunite nelle prigioni. I più feroci trassero a quell'invito di sangue; e cavati di carcere alcuni tristissimi mezzani della inquisizione austriaca, li fucilarono, sfidando così i sovrastanti nemici. I nomi di quei rifiuti della società sono: un Imiotti, cursore di Polizia, un Sambrini, un Giovanni Marinoni, detto Brutto, ed altro agente di Polizia col soprannome di Menacò. Non crediamo tacere, affinchè non si abbia a dare a questo fatto maggior valore di quello che porti un trabocco d'indignazione, come la Commissione dei giudizi avesse di que' scellerati già formato il processo, e già deciso di dannarli alla pena capitale, quali felloni del popolo sicari dello straniero.

Mentre così la folla si diradava, parte correndo alle carceri, e parte traendo di nuovo alle serraglie per ringagliardire la difesa, il Municipio, nel timore che la moltitudine, cieca di ira e di giusto dolore, non incrudelisse contro sè stessa, accettò, anco dietro consiglio del prete Mor, l'offerta che gli fece il Padre Maurizio, priore de' Riformati, di interporsi paciere appo la Jena. Il valent'uomo ben sapeva come la cocolla non fosse obice troppo sicuro contro i Croati, tuttavolta si mise animosamente per la via del turrito covo, accompagnato da un altro frate, e preceduto da un tal Marchesini, mirabile popolano a cui l'amore di patria in quel dì supremo ispirò eloquenza di tribuno e coraggio di martire.

Più fiate venne inceppato il cammino al vessillo bianco dai soldati, che non volevano saperne di dar quartiere, e dai cittadini che non volevano nè impetrarlo, nè accettarlo. Pure al fine, dopo lungo rigirarsi e pregare riuscirono i messi al castello.

Il Padre Maurizio con quella autorità che gli concedeva di prendere la riputazione di eloquenza e di bontà in cui era tenuto da tutti, venuto innanzi all'Haynau, fece ogni prova per cavarne pronta e benigna risposta, e gli consegnò una lettera degli uffiziali austriaci prigionieri di guerra in Brescia, i quali pregavano il tenente-maresciallo a ricordarsi in che mani fossero, e per che cagione; e un foglio in cui il Municipio, significando che la città sarebbesi senz'altro contrasto rassegnata alla forza, chiedeva a quali patti si potesse cessare il macello. Haynau, duro e muto, non annuì neppure a comandare che durante il colloquio le armi posassero. Epperò ne venne che mentre i Bresciani, incorreggibilmente cavallereschi, sapendo salito il Padre Maurizio ai castello, e temendo per la sua vita, si conteneva dall'offendere gli Austriaci, questi, per lo contrario, trovate sprovviste o debolmente difese parecchie barricate, contro ogni legge di guerra, si avvantaggiarono per modo, e per tante vie si vennero distendendo, che si può dire senza esagerazione avere quelle poche ore di falsa tregua assai più nociuto a Brescia dei molti giorni di battaglia.

Intanto la spietata Jena lasciava, che il Padre Maurizio gettasse il fiato e le lagrime; e solo una volta con un cotal suo ghigno gli accennò la strada di Milano, che da quell'altezza tutta, finchè bastava la vista, si scopriva. In quella si scorgevano luccicare per lunghissimo spazio le baionette de' battaglioni accorrenti su Brescia. Infine, dopo quasi due ore, lo accommiatò con uno scritto, ove in mezzo a parole aspre e sconvenienti a tanta sventura e a sì alto valore era pur detto: Che nulla d'ostile avrebbero a soffrire i pacifici cittadini. Ne' termini a cui erano venute le cose, parve al Municipio di doversene contentare; e veramente la promessa, quantunque non portasse alcuna sicurtà, assai larga doveva giudicarsi, se quella parola d'onore che sanciva le minaccie, si aveva a tenere per buona e ferma anche a sancire le promesse. E benchè lo scritto del tenente maresciallo fosse duro e nimichevole, piacque tuttavolta al nobile orgoglio de' Bresciani, gelosissimi della fede loro; essi preferirono non fosse imposto, nè consentito alcun atto di soggezione, recandosi a gloria di essere trattati come nemici e come vinti, e non come servi perdonati e rimessi all'usato giogo. Le altre condizioni erano che si togliessero le barricate e si smurassero le porte; che niun cittadino uscisse armato o armato si affacciasse alle finestre; che quelle case da cui fosse partito un colpo sarebbero state rase; che sei ostaggi fra i principali della città rispondessero vita per vita dei prigionieri austriaci. Degli ostaggi non occorsero altre parole, avendo il Municipio, quando già i nemici di fronte alla loggia apprestavano le scale e le fiaccole, accettato gli altri patti dell'Haynau e resi i prigionieri.

Le condizioni della resa furono gridate per tutta la città; e vennero mandati parecchi cittadini bene accetti al popolo a divulgare la capitolazione e a predicare la pazienza e la prudenza. Quasi tutte le case ed i campanili misero subito fuori bandiera bianca; molte barricate furono disfatte; e molti cittadini, gettato in terra lo schioppo, corsero al Municipio, agli spedali ed agli incendi, offrendosi a servire la patria caduta ed umiliata, come l'avevano servita libera e gloriosa. Ma ai macellai sapeva amaro il cedere; questi, ridottisi tra porta Pile e porta san Giovanni, sostennero fino a notte una valida difesa; il che fu cagione di saccheggio e rovina, non solo a quella parte di città, ma ad altri luoghi, dove pure ogni contrasto era del tutto cessato. I soldati chiedevano, come premio lungamente promesso, saccheggi e carnificine; e l'Haynau glieli concedeva; e moltissimi uffiziali volontieri avrebbero tenuto loro il sacco.

 

 




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