Canto di
Rodolfo.
Poiché le stelle, o incognita
Amica, lor più
bella,
A visitar ti vengono
Nella magion
novella,
Non senti un
malinconico
Spirto vagar tra i
fiori,
E i suoi notturni
amori
Gemer, pensando a
te?
Odilo: ei canta. Un esule
Dal ciel son io.
Nessuna
Gioia m’allegra. Ai
pallidi
Riflessi della luna
Erro solingo; e
memore
Che il mio destino è
questo,
Vo modulando il
mesto
Canto che Dio mi
diè.
Oh, potess’io d’un zeffiro
Lene vestir le
tempre!
Il molle crin
baciandoti,
Con te vivrei pur
sempre.
E per terror
d’intendere
Qualche crudel
richiamo,
Non ti direi che
t’amo.
Ma gemerei d’amor.
Fossi una rosa, un umile
Bruno giacinto
almeno!
E si affrettasse a
portelo
Anche un amante in
seno,
Purché suggessi gli
atomi
Dei mio romito
incenso,
Lieto del dono
immenso
Ti languirei sul
cor.
Nel dì d’un’agil rondine
Mutassi i giorni
miei!
Sempre dall’alba al
vespero
Sul tuo balcon
sarei,
E respirando l’aere
Della tua dolce
stanza,
Di pena e di
speranza
Là bramerei morir.
Ma tutto indarno. Un esule
Spinto dal ciel son
io,
Che di dolenti
musiche
Rivesto il pensier
mio.
La ingrata
solitudine,
L’ira, il dolor
sostenni:
Come nel mondo venni
Dovrò dal mondo
uscir.
Ah! se nel grembo a un’isola,
O in un remoto speco
Chi die’ la vita
agli angeli
Ti facea nascer
meco!
Stati sarien
partecipi,
In quelle verdi
chiostre,
Delle allegrezze
nostre
Il mare immenso e il
ciel.
Noi passeggiando il pelago
Lunghesso i fior del
lito,
Ebri di gioie
insolite
Avremmo sempre udito
Tutto d’amor
sorriderci,
D’amor parlarci
tutto,
La luna errante, il
flutto,
La barca e il
venticel.
Quando alle dubbie tenebre
Chiuso tu avessi gli
occhi,
T’avrei raccolto,
angelica
Donna, su’ miei
ginocchi,
Rasciutto avrei le
roride
Stille dei tuo
sudore,
T’avria battuto il
core
Sotto una conscia
man.
T’avrei chiamata in lacrime;
E tu, gentil, da
tanto
Sonno d’amor
svegliandoti,
Terso m’avresti il
pianto.
E le tue labbra,
indocili
E per pudor tenaci,
Dai prorompenti baci
Sarian fuggite
invan.
Terribil Dio, rispondimi;
Perchè a crearmi
questi
Vani fantasmi un
lucido
Strano poter mi
desti?
Ah, le gioconde
imagini
Hanno un balen di
vita,
E l’anima assopita
Ritorna a lacrimar.
Addio, fanciulla. In tramiti
Contrari il ciel ne
pose.
Spine sul mio
germoglino:
Sul tuo fioriscan
rose.
La gondoletta i
placidi
Seni attraversi
ancora,
La fulminata prora
Nuoti in balìa del
mar.
Addio, fanciulla. Un intimo
Di me pensier ti
resti.
Lontani ancor
ricordati
Che son fratelli i
mesti.
Altri pur sua ti
nomini
«Ne’ tuoi felici
giorni,
«Purché tu mia
ritorni,
Quando il dolor
verrà.
Oh! se dispersi fossimo
Anche alle plaghe
estreme,
L’orme affrettiamo e
i palpiti,
Per ricercarci
insieme.
Questa, tremando, è
l’ultima
Ch’io t’oso dir
parola,
Questo pensier
consola
La mia raminga età.