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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • IL CALUNNIATORE
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IL CALUNNIATORE

Sai tu chi sei, che livido

Per tenebrosi studi,

Nel ferraiuol di Satana

Le brutte membra chiudi,

E con lo sguardo d’aspide

Metti ribrezzo al sol?

O dalla bella immagine

Così di Dio scaduto,

Tra i più codardi spiriti

Che placan l’ire a Pluto,

Va. Con la bava e gli aliti

L’aure avvelena e il suol.

Va. Nella dubbia tenebra

La rea caldaia accendi.

Gittavi l’erbe, adunale,

Spremine i sughi orrendi;

E l’infernal tuo farmaco

Distilla, o traditor.

Indi col ghigno e il facile

Motto e l’ambiguo riso,

Spruzza le turpi gocciole

All’innocente in viso,

Che passeran dall’intimo

Sangue mortali al cor.

Giuda! Co’ tuoi satelliti

Tu al fatal orto ascendi,

E accenni; l’incolpabile

Sangue d’un giusto vendi.

Giuda tre volte!… Accelera

Via per la selva il piè;

Cerca tremando un albero,

Poiché perduta hai l’alma,

E da quel tronco spenzoli

La disperata salma,

E la bufera e il turbine

Fremano intorno a te.

E i fiori e gli astri e i placidi

Rivi tramutin tempre

E come trombe squillino

Per maledirti sempre,

Giuda, che avesti i perfidi

Occhi gelati in don,

Non a mirar la florida

Beltà de’ campi, e il velo

Ampio de’ mari, e i liberi

Monti, e l’immenso cielo;

Ma a tossicar le vergini

Gioie, che tue non son.

Giuda! che non a sciogliere

Detti giocondi o mesti,

Non a cantar di gloria

La infame lingua avesti,

Ma tenebrosi e memori

Menzogne a modular;

Che rechi il piè di demone

Pel calle obliquo e muto

Nell’aure sacre a compiere

Opre, ch’io dir rifiuto,

Perchè la terra e l’aere

Non s’abbia a macular.

Senti! Se pena in carcere

Un ladro, un omicida,

So che la fame o l’impeto

Cieco al fallir fu guida,

E un’indulgente lacrima

Forse dal cor, mi vien.

Quando una trista femmina

Dalle native glebe

Reca l’infamia e transita

Fra la ghignante plebe

Che la fa rea del tenero

Bimbo che chiude in sen;

Io chino il capo e medito

Che donna ella pur nacque,

Come colei che in Magdalo

Troppo fu bella e piacque;

E pentimento e venia

Spero all’infausto error.

Qualunque fallo un gemito

Risveglia nel cor mio,

Sento il dolor dei miseri,

Perchè lo impose il Dio

Che visse in mansuetudine,

E comandò l’amor.

Ma te ribaldo e livido

Per tenebrosi studi,

Che nel mantel di Satana

Le brutte membra chiudi,

E con lo sguardo d’aspide

Metti ribrezzo al ,

Te maledetto artefice

Di filtri all’aer cieco,

Te solamente abbomino,

Te veramente impreco:

E Dio perdoni al cantico

Che nel dolor m’usci.

 




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