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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • CONTRASTO
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CONTRASTO

(Canto di Rodolfo)

Io di due femmine

Schiavo son fatto,

D’occhi fantastiche,

Brune di crin:

In così misera

Forma è distratto

Questo dell’anima

Senso divin.

Ma in me la candida

Fede non langue,

Chè ad esse io prodigo

Diverso amor:

Ad una i fremiti

Del caldo sangue,

All’altra i palpiti

Del mesto cor.

Se una, com’edera,

A me s’implica,

Sull’altra un nuvolo

Veggio cader;

Se rido e lacrimo

Coll’altra amica,

La prima involasi

Dal mio pensier.

Io così m’agito

Fra due diviso,

Or piuma all’aëre,

Or pietra al suol:

Una mi provoca

L’ore del riso,

L’altra mi genera

Quelle del duol.

Quando una candida

Nuvola lieve

Sfiora le cerule

Vôlte del ciel,

Penso a quell’angelo,

Che un vel di neve

Porta sull’agile

Suo corpicel.

Ma quando un subito

Baglior celeste

Di fiamme il vespero

Tingendo va,

Penso alla fervida

Fata, che veste

Di fosche porpore

La sua beltà.

D’una mi parlano

Gli astri lucenti,

Le aurette celeri

Men del suo piè;

Dell’altra il lugubre

Fischio dei venti,

Le selve e i turbini

Parlano a me.

Così quest’anime

D’opposte tempre

Di gaudio o collera

Muse a me son;

E in me coll’italo

Canto pur sempre

Suona la nordica

Buia canzon.

Ma quando spasimi,

Con varia vice,

Nelle delizie

Del doppio amor,

Su via, rispondimi:

Sei tu felice,

Felice, o povero

Svïato cor?

Dio! che terribile

Smania ti frange,

Se il grido elevasi

De’ tuoi pensier!

Dio! di che lacrime

Fra noi si piange

Nella inamabile

Ora del ver!

Ma non ti parvero,

Con rossor molto,

Di ferro i vincoli

Più che di fior?

E perchè, improvido,

Non dare ascolto

Ai fieri gemiti

Del tuo rossor?

Spesso da torbida

Malinconia

Mi sento rodere

L’intimo sen;

E allora il calice,

dolce pria,

Di amari aconiti

Mi sembra pien.

Ah! il solitario

Ben degli affetti

Sparge di balsamo

Questi egri ;

Perchè col tossico

Di rei diletti

La mente e l’anima

Tradir così!

Ma quelle d’ebano

Funeste chiome

Mi stan com’aspide

Rattorte al piè;

E invan le misere

Potenze dome

Gridano al suddito

Che torni re.

Oh caccie! oh vertici

Montani! oh clivi!

Oh ingenuo vivere

Che dileguò!

Oh selve! oh memori

Campi nativi,

Quando quest’anima

Voi soli amò!

Dai tetri fascini

Per liberarmi

Stendo alla docile

Arte la man;

E come un profugo,

Cantando carmi,

Dai patri margini

Mi svio lontan.

E il mio fulmineo

Corsier galoppa,

Nuove mostrandomi

Ville e città;

Ma dell’inutile

Corsiero in groppa

Sempre il mio demone

Seduto sta.

Talor negl’impeti,

Rotta la briglia,

Le membra insanguino

Sul duro suol;

Ma il bieco spirito

Di mi piglia,

E per la tenebra

Mi porta a vol.

Pari a quel nomade

Giudeo fuggente,

Che sol coi secoli

S’arresterà,

Forse il mio demone,

Forza inclemente,

Vuol ch’io precipiti

D’età in età.

Signor, che debole

Così m’hai fatto,

Di me sovvengati,

Dolce Signor;

Pensa alla gloria

Del tuo riscatto,

La mente solvimi

Da tanti error.

Per sabbie inospiti

Cieco e malvivo,

Lunga mi stempera

Sete crudel.

Deh! scopri il murmure

D’un picciol rivo

A questo esanime

Novo Ismael.

Signor, le nebule

Da me disgombra,

E col tuo cantico

Ti canterò,

Sinchè dei salici

Paterni all’ombra,

Tranquillo e libero

Morir potrò.

 




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