CARLO, che sotto ai
liberi
Venti dell’Alpe
antica,
Le arcane sorti
armarono
Di scettro e di
lorica,
Pei crismi e per le
vivide
Fontane della fede
Fatto di Cristo
erede,
Figlio d’Italia e
re;
Quando cavalchi
intrepido
Per le tue file
ardenti,
Dimmi: l’assalto
all’anima
D’un gran desio non
senti?
E il breve suol che
scalpiti,
L’aura natal che
spiri,
L’arco di ciel che
miri
Non è minor di te?
Oltre il Ticin, due
popoli
Posti a fatal
tributo,
Che s’han, nell’ozio,
il calice
D’ogni dolor bevuto,
Ei, che una volta
spinsero
Fra suon di tube e
lampi
Uno i destrieri ai
campi,
L’altro le tolde al
mar:
A ogni romor che
elevisi
Sulla regal tua via,
L’avide orecchie
intendono
Per ascoltar che
sia:
«Fossero mai le vindici
Ugne de’ suoi
cavalli?
Fosser le tende e i
valli,
L’aste e i percossi
acciar?»
Poi se nell’aura
immobile
Quel suon si perde e
muore,
Non sa ristarsi il
pungolo
Del generoso errore;
Speran che s’oggi un
facile
Varco è al desio
mancato,
Saprà domani il fato
Un altro varco
aprir.
Côlti così due
profughi
Per boschi incerti e
neri
Dalla crescente
tenebra,
Fanno e rifan
sentieri;
Chè un’acre
infaticabile
Speranza li conduce,
Sin che vedran la
luce
Dai patrii tetti
uscir.
Ah! se a costor che il
chieggono
D’un tuo pensier fai
dono,
CARLO, mio re, due
splendide
Gemme tu innesti al
trono:
Dio degli eventi è
l’arbitro,
Ma sul regal tuo
fiume
Tu le frementi piume
Tien preparate al
vol.
Odi a quell’Alpe! Il
barbaro
Eco de’ brandi e i
passi
Suonano ancor sul
vertice
Di quegli eterni
sassi:
Di là son giunte, o
principi,
Le avare torme
estrane
Per assaggiar che
pane
Fioria sul vostro
suol.
E l’assaggiaro! e
dissero:
«Prenci, la terra è
nostra:
Bene avrà scettro e
porpora
Ognun che a noi si prostra;
Ma saran nostri i
codici,
Nostre le messi e i
brandi,
Farvi tapini o
grandi
In nostra forza è
già!»
E voi taceste. E
despota
Sin dalla trista
aurora
V’è la fatal
progenie
Sulla cervice
ancora.
Ma ognun di voi
consolasi
Almen, tenendo un regno;
E il vecchio giogo
indegno
Su noi gementi sta.
CARLO, se è ver che
l’itale
Ire nel cor tu covi,
Se con l’antica
ingiuria
Senti gl’insulti
nuovi,
Se quel desio, che
t’agita
Fiero e gentil, non
langue,
Se de’ tuoi padri al
sangue
Degna ragion vuoi
far;
Co’ mille tuoi
presentati
Alle lombarde prode;
Vieni a snidar
quest’aquila
Che il senno e il
cor ci rode;
E non temer che al
folgore
Della regal tua
spada
S’abbia d’ostil
rugiada
Italia a imporporar.
Spaventa i
consapevoli
De’ brandi tuoi la
possa:
San la occupata
Ausonia
Per qual bandiera è
mossa;
Pende la spada a
tedio
Dai femori alemanni,
La ruggine degli
anni
Il fil ne consumò.
Pria che pugnar, da
un provido
Alto terror
disfatti,
Ei scenderanno a
chiederti
La pia ragion dei
patti;
Allor tu sai,
magnanimo,
Alla sant’opra
accinto,
Quali abbia dritti
il vinto
Che al vincitor
pregò.
Sai che un’illustre
vergine
Del sangue lorenese
Con umil gioia al
talamo
D’un de’ tuoi figli
ascese:
Da una gentil
vittoria
Il grande augurio
prendi,
Tu ch’ogni altezza
intendi
Di prence e di
guerrier:
Alza la mano al
Brennero
Che qua tant’odii ha
scarchi,
Grave intimando
all’ospite,
Che in pace lo
rivarchi;
Indi a sperar
confortalo,
Che Dio, cui toglie
un trono,
Forse più largo dono
Serba nel suo
pensier.
E se nel cor gli
penetra
Quel facil detto
umano,
Onora il vinto e
stringigli,
Qual debbe un pio,
la mano;
Ma s’ei ti porta
indocili
Ire e querele
intorno,
Digli che questo il
giorno
Del lamentar non è:
Digli ch’ei tolse un
inclito
Serto alla sacra
chioma
D’Italia, e in
cambio barbaro
Le diè catena e
soma;
Digli che a lui
toccarono
Le gioie, ad essa i
lutti;
E che il Signor di
tutti
Due leggi all’uom
non fe’.
Tenacemente memori
Dei lieti e persi
luoghi,
Rivarcheran le
teutone
Schiere torrenti e
gioghi;
Pur affrettando i
torbidi
Passi dell’ira oh
quanto!
Per non udir quel
canto,
Che a CARLO
echeggerà.
Sarà canzon di
vergini,
Inni di pii soldati,
Fragor di trombe e
d’organi,
Sacra armonia di
vati:
Vedrà l’Italia
assurgere
Dopo la gran vittoria
Un nuovo sol di
gloria
Sopra le sue città.
Rinati i cor, gli
spiriti,
Liberi i campi e i
mari,
Stretti in amor coi
nobili
Troni saran gli
altari;
E questa umil
Penisola
Posta dei mali in
fondo,
Farà temuta al mondo
La sua bandiera
ancor.
Di conculcato
palmite
Resa mirabil pianta,
Braccio de’ suoi
pontefici,
Sarà guerriera e
santa.
CARLO! per te dai
secoli
Fatta è la via che
vedi;
Credi una volta, oh
credi
Nel tuo possente
cor!