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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • A CARLO ALBERTO
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A CARLO ALBERTO

CARLO, che sotto ai liberi

Venti dell’Alpe antica,

Le arcane sorti armarono

Di scettro e di lorica,

Pei crismi e per le vivide

Fontane della fede

Fatto di Cristo erede,

Figlio d’Italia e re;

Quando cavalchi intrepido

Per le tue file ardenti,

Dimmi: l’assalto all’anima

D’un gran desio non senti?

E il breve suol che scalpiti,

L’aura natal che spiri,

L’arco di ciel che miri

Non è minor di te?

Oltre il Ticin, due popoli

Posti a fatal tributo,

Che s’han, nell’ozio, il calice

D’ogni dolor bevuto,

Ei, che una volta spinsero

Fra suon di tube e lampi

Uno i destrieri ai campi,

L’altro le tolde al mar:

A ogni romor che elevisi

Sulla regal tua via,

L’avide orecchie intendono

Per ascoltar che sia:

«Fossero mai le vindici

Ugne de’ suoi cavalli?

Fosser le tende e i valli,

L’aste e i percossi acciar

Poi se nell’aura immobile

Quel suon si perde e muore,

Non sa ristarsi il pungolo

Del generoso errore;

Speran che s’oggi un facile

Varco è al desio mancato,

Saprà domani il fato

Un altro varco aprir.

Côlti così due profughi

Per boschi incerti e neri

Dalla crescente tenebra,

Fanno e rifan sentieri;

Chè un’acre infaticabile

Speranza li conduce,

Sin che vedran la luce

Dai patrii tetti uscir.

Ah! se a costor che il chieggono

D’un tuo pensier fai dono,

CARLO, mio re, due splendide

Gemme tu innesti al trono:

Dio degli eventi è l’arbitro,

Ma sul regal tuo fiume

Tu le frementi piume

Tien preparate al vol.

Odi a quell’Alpe! Il barbaro

Eco de’ brandi e i passi

Suonano ancor sul vertice

Di quegli eterni sassi:

Di son giunte, o principi,

Le avare torme estrane

Per assaggiar che pane

Fioria sul vostro suol.

E l’assaggiaro! e dissero:

«Prenci, la terra è nostra:

Bene avrà scettro e porpora

Ognun che a noi si prostra;

Ma saran nostri i codici,

Nostre le messi e i brandi,

Farvi tapini o grandi

In nostra forza è già!»

E voi taceste. E despota

Sin dalla trista aurora

V’è la fatal progenie

Sulla cervice ancora.

Ma ognun di voi consolasi

Almen, tenendo un regno;

E il vecchio giogo indegno

Su noi gementi sta.

CARLO, se è ver che l’itale

Ire nel cor tu covi,

Se con l’antica ingiuria

Senti gl’insulti nuovi,

Se quel desio, che t’agita

Fiero e gentil, non langue,

Se de’ tuoi padri al sangue

Degna ragion vuoi far;

Co’ mille tuoi presentati

Alle lombarde prode;

Vieni a snidar quest’aquila

Che il senno e il cor ci rode;

E non temer che al folgore

Della regal tua spada

S’abbia d’ostil rugiada

Italia a imporporar.

Spaventa i consapevoli

De’ brandi tuoi la possa:

San la occupata Ausonia

Per qual bandiera è mossa;

Pende la spada a tedio

Dai femori alemanni,

La ruggine degli anni

Il fil ne consumò.

Pria che pugnar, da un provido

Alto terror disfatti,

Ei scenderanno a chiederti

La pia ragion dei patti;

Allor tu sai, magnanimo,

Alla sant’opra accinto,

Quali abbia dritti il vinto

Che al vincitor pregò.

Sai che un’illustre vergine

Del sangue lorenese

Con umil gioia al talamo

D’un de’ tuoi figli ascese:

Da una gentil vittoria

Il grande augurio prendi,

Tu ch’ogni altezza intendi

Di prence e di guerrier:

Alza la mano al Brennero

Che qua tant’odii ha scarchi,

Grave intimando all’ospite,

Che in pace lo rivarchi;

Indi a sperar confortalo,

Che Dio, cui toglie un trono,

Forse più largo dono

Serba nel suo pensier.

E se nel cor gli penetra

Quel facil detto umano,

Onora il vinto e stringigli,

Qual debbe un pio, la mano;

Ma s’ei ti porta indocili

Ire e querele intorno,

Digli che questo il giorno

Del lamentar non è:

Digli ch’ei tolse un inclito

Serto alla sacra chioma

D’Italia, e in cambio barbaro

Le diè catena e soma;

Digli che a lui toccarono

Le gioie, ad essa i lutti;

E che il Signor di tutti

Due leggi all’uom non fe’.

Tenacemente memori

Dei lieti e persi luoghi,

Rivarcheran le teutone

Schiere torrenti e gioghi;

Pur affrettando i torbidi

Passi dell’ira oh quanto!

Per non udir quel canto,

Che a CARLO echeggerà.

Sarà canzon di vergini,

Inni di pii soldati,

Fragor di trombe e d’organi,

Sacra armonia di vati:

Vedrà l’Italia assurgere

Dopo la gran vittoria

Un nuovo sol di gloria

Sopra le sue città.

Rinati i cor, gli spiriti,

Liberi i campi e i mari,

Stretti in amor coi nobili

Troni saran gli altari;

E questa umil Penisola

Posta dei mali in fondo,

Farà temuta al mondo

La sua bandiera ancor.

Di conculcato palmite

Resa mirabil pianta,

Braccio de’ suoi pontefici,

Sarà guerriera e santa.

CARLO! per te dai secoli

Fatta è la via che vedi;

Credi una volta, oh credi

Nel tuo possente cor!

 




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