Popoli! La speranza anco ci splende
Con allato il trionfo e l’avvenir,
Armi in subita furia, or che le tende
Scellerate atterrò l’ungaro ardir.
Armi! Chè in sen della lombarda terra
Torna il cupo vulcano a rimugghiar
Principi, a voi. La benedetta guerra
Riscota l’Alpe e risollevi il mar.
Su le bandiere. Chi un’Italia brama
Scordi il dissidio delle sue città.
Intento è il mondo sulla nostra fama.
Quest’è un’ora di gloria o di viltà.
Svegliati, Alberto. Alzatevi, per Dio,
Popoli tutti della nostra fè.
So dal sonno ti desti. alma di Pio,
La cattolica Italia è ancor con te!
Di Goito e Curtaton sacri soldati,
Ricingete la spada. Eccovi il dì.
Sento i destrier della battaglia. Irati
Tuonano i venti. La vittoria è qui.
Volve il Danubio furibondi i flutti,
Scintillano per voi l’Adige e il Po;
Voi questo giorno l’attendeste tutti,
E per tutti il Signor ve lo creò.
Nella città, del maledetto impero
Il Tumulto e la Morte ospiti stan:
Chi non torna a gridar: Via lo Straniero,
Stringe nell’ombra allo stranier la man.
Siepe feroce di fraterne spade
Chiuda la spaventata oste infedel.
E l’orbe madri delle pie contrade,
Svestan la chioma del funereo vel.
Qua convengano i vecchi e i sacerdoti
I drappelli furenti a benedir,
E sui vessilli caramente noti
Scrivan le donne: Vincere o morir!
Vincere. È questa la parola, o forti,
Che v’è tuonata dall’ausonio suol,
Perchè sott’esso è una legion di morti.
Che invendicata riposar non vuol.
Armi! V’è chiesta una battaglia ancora.
Armi freman le piazze, armi gli altar.
Chi crede a un brando, chi una croce adora,
Chi una patria desia, scenda a pugnar.
Mandi ogni monte un fremito. Ogni villa
Faccia il suo bronzo all’altre ville udir.
Popoli, in arme, dal Cenisio a Scilla!
Non lasciam la seconda ora svanir.
È infido il tempo, o Principi. Nè possa
D’uom lo ripiglia quando in fuga egli è.
Principi! Italia che di sangue è rossa,
Può chieder conto a chi versar gliel fe’.
E guai se indarno e’ fu versato. Ahi, tetra
Veggio un’imago dei futuri dì,
Se il vostro passo, o paürosi, indietra
Dai sacri campi che li Signor v’aprì.
Regie fughe, man ladre, anime oscene
Veggio, orrendi fantasimi. Non più
Viver civil; non queta ora di bene:
E, ultim’ira di Dio, la servitù.
Quindi tolta la fè; spento l’amore;
Velati a bruno la giustizia e il ver.
Notte rea di spavento e di furore…
Questo, questo mi varca entro al pensier.
Come a mendichi mal sofferti, il pane
Ci fia gittato; poi l’insulto vil;
Poi la verga; l’esilio; e le lontane
Carceri; e il palco, per mondar l’ovil.
E dirà il mondo: «Neghittosi e ignavi!
Non han saputo esser concordi un dì.
Ponghiam le spade; e non curiam gli schiavi!»
T’allegra, Italia. Parleran così.
Deh! non sia ver che la terribil voce,
Come foco di Dio, piombi su te:
Tu che aduni nel brando e nella croce
Sofi, vati, guerrier, popoli, e re.
Armi, o prenci d’Italia, anco una volta,
Armi, o leoni del sabaudo sir.
O Italia grande, o parricida e stolta.
Eleggere v’è d’uopo. Armi, o perir.
Maladetto colui che non oblia
Torti patiti, o chi li torna a far.
Maladetto chi vanta, o chi per via
Mena il sospetto e il cicalio volgar.
Tra l’aule e i fôri, tra i sepolcri e l’are
Tuoni un sol grido italico e guerrier;
«NOSTRA È LA TERRA DALLE REZIE AL MARE!
VIA LO STRANIER, PERDIO, VIA LO STRANIER!»
Armi!! E la stirpe che’ verrà. da noi
Possa aver detto a chi da lei verrà:
Giacque l’Italia per tre giorni; e poi,
Come Cristo, è risorta a libertà.