Lungo i platani, in cui vive
Ogni fronda
innamorata,
Sotto l’aure
fuggitive
Della sera e del
mattin,
Su una sponda infrequentata,
Fuor del volgo, che
mi accora,
Col tramonto e
coll’aurora
Fo soletto il mio
cammin.
Miro i fior; la volta
azzurra,
Guardo all’acque;
ascolto il vento;
E dal labbro, che
susurra
I fantasmi che ho
nel cor,
Vo esalando un fumo lento,
Che coi vortici
leggieri
Accompagna i miei
pensieri
Di gaiezza o di
dolor.
Fisso gli occhi ai colli
adorni
Di verdura, e vo
sclamando:
Dove siete, o rosei
giorni
Della bella
gioventù?
Che veniste carolando
Su’ miei prati in
lieta danza,
Col coraggio e la
speranza,
Colla fede e la
virtù?
Fresche aurore, oh! chi vi
ha spente
Quando sotto a’ miei
balconi
Mi destava la
fremente
Allegria dei
cacciator,
E del corno agli acri suoni
Rispondea con varia
legge
Il tumulto delle
gregge
E la tibia dei
pastor!
Oh! notturni allegri fochi
Del novembre, in
mezzo ai solchi,
Dov’io stava, ed
altri pochi
Fanciulletti ad
ascoltar
Dal più vecchio dei bifolchi
Le prodezze e il
vario marte,
Quando insiem con
Bonaparte,
Scese l’Alpi e passò
il mar!
Il mio nome, ignoto ai cupi
Tradimenti dei
mortali,
Quante volte per le
rupi
D’eco in eco udii
morir;
Nè d’incensi nè di strali
Fu mai segno il
fanciulletto,
Che con Dante e col
moschetto,
Gìa le lepri a
perseguir.
Era il meglio un nome
occulto
Serbar sempre in
mezzo ai monti,
Che recarlo nel
tumulto
Delle querule città;
Dove siede in sulle fronti
Il timor, la noia
oscura,
Dove langue la
natura,
Dove muor la
libertà.
Miglior senno arar le glebe,
O dar gli estri
all’aura molle,
Che versarli ad una
plebe
Scissa d’opre e di
pensier,
Che, ululando al par del
folle,
Gira il trivio e
sempre sogna,
E pasciuta di
menzogna,
Sfregia il bene,
esiglia il ver.
Oh mia musa! oh mia compagna
Dell’età ridente e
lieta!
Quando in cima alla
montagna
I tuoi canti aprivi
al ciel,
Tu credesti il tuo poeta
Cosa sacra infra le
cose,
Cinto l’hai delle
tue rose,
L’hai bendato del
tuo vel.
Ahi fatale, ahi tristo
inganno!
Sul destrier dei
dolci incanti
Ei s’assise; e il
negro affanno
Sul destrier gli
cavalcò.
Sfumar vide i sogni amanti,
Come nebbie della
valle,
E, spossato a mezzo
il calle,
Di morir desiderò.
Deh! ciò avvenga. A questa
guerra
Cupa, eterna, il cor
mi cade.
Letto angusto in
poca terra
Chiedo; e pace
all’ombre in sen.
Sotto il vel delle rugiade
Dormirà la creta
stanca,
E ai dolor del dì
che manca
Sarà premio il dì
che vien.
Vïator, che sotto al faggio
Pigliò sonno in
tetra selva,
E al rosato e fresco
raggio
Del mattin si
risvegliò,
Più non teme abisso o belva,
Esce all’aure, al
sol ridente,
Ed un sogno è della
mente
Ogni rischio che
passò.
Come pia sarà la mano
Che mi scavi il nido
oscuro,
Fuor degli uomini,
lontano
Da fastidio e
vanità!
Fregi e simboli non curo
Sulla povera mia
pietra,
Senza lauro e senza
cetra
Tuttavia si dormirà.
Quando solo il dì reclina,
Quando è mesto il
cielo e il core,
Sull’avel mi porti
Erina
Il giacinto del suo
crin;
Poi la rosa, allegro fiore,
Orni sempre i suoi
capelli,
E, sommersa in dì
più belli,
Pensi appena al mio
destin.
Così ognor passeggio e
canto,
E cantando il cor
lusingo.
Ride il volgo. Ed io
frattanto
Spiro vita a’ miei
pensier;
Col mio carme io vo solingo,
Del mio carme il
core ho lieto,
Alle lucciole il
ripeto,
Come al gallo
mattinier.
E, in mirar la volta
azzurra,
E, in udire il vol
del vento,
Fuor del labbro, che
sussurra
I fantasmi che ho
nel cor,
Vo esalando un fumo lento,
Che coi vortici
leggieri
Accompagna i miei
pensieri
Di gaiezza o di
dolor.