Quand’ardo intento e
fisso
Nel vagheggiato
arcano,
E i lucidi fantasimi
Sorgono a mano a
mano
Dal ben tentato
abisso
Dell’alma e del
pensier,
Se mi spïasse il
mondo
Sfallir la giubba, i
cheti
Libri scompor, la
cabala
Segnar sulle pareti,
D’un risolin
giocondo
Mi schernirebbe in
ver.
Distratto, a un dio
di gesso
Or la ceffata
accocco,
Or dell’inverso
zigaro
La viva brace
imbocco,
Spesso il cappel,
più spesso
La testa obblìo
così,
Che se le tempia
rotte
Non vanno al muro è
un caso.
Quindi il sedil mi
sdrucciola,
O mi s’inchiostra il
naso,
O aspetto il sol di
notte.
O accendo i lumi il
dì.
Se varco in tra la
gente
Col capo nelle
stelle
Urto l’incauto
gomito
All’anca delle
belle,
O pesto irriverente
D’un senator sul pié.
Con petulanza rea
Non bado a chi mi
bada,
Fo soste, e
girigogoli
Serpeggio per la
strada;
Così l’intenta idea
Domina i sensi in
me.
Come di fuor son
degno
Del cittadino
scherno!
Però, sepolti
fervono
L’opra e l’affetto
interno,
E nella mente io regno
Come in mio proprio
ostel;
E a sentir meglio
imparo
L’ore felici e
corte,
Gli arcani amor, le
lacrime,
La verità, la morte,
Quanto ha d’immenso
e caro
La breve terra , e
il ciel.
Così son nati i
canti
Da quella strana
incuria,
Che par demenza
all’anime
Da fondaco e da
curia;
E ai glorïosi amanti
Di poca polve d’òr.
Deh! segui il tuo
viaggio,
O mente pellegrina.
Meglio che un cor da
feretro
E un senso da
fucina,
Lo schietto ardir
selvaggio
Il canto ed il
dolor.
Siam nati in cima ai
monti,
Casti e sereni
alberghi,
Dov’è costume
incognito
Tanto piegar di
terghi,
E umilïar di fronti,
E cupido mentir.
Non è di noi,
distratti,
Il mondo e la sua
gioia,
Ma neppur l’ansie e
il fracido
Riso, e il cader di
noia,
Cadaveri disfatti
Avanti di morir.
Noi per le nostre
selve
Fieri squillando il
corno,
Sotto gli acuti
crepiti
Del pino a
mezzogiorno
Per rompere alle
belve
L’audace corsa, o il
vol,
Noi liberi, e
raminghi
Su per la frana
ombrosa
Colà scontrando i
balsami
Della montana rosa,
O agli atrii casalinghi
Il veltro e il
rosignol,
Noi non attrae la
viva
Gemmata aurqa de’
balli,
Nè il petulante
strepito
Di cocchi e di
cavalli,
Noi per deserta riva
Pensosi viator;
Ma ben ci allegra e
pasce
L’interïor mistero,
E in quella sacra,
tenebra
Muti adorando il
vero,
L’agile carme nasce,
Come da sterpo il
fior.