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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • DISTRAZIONE
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DISTRAZIONE

Quand’ardo intento e fisso

Nel vagheggiato arcano,

E i lucidi fantasimi

Sorgono a mano a mano

Dal ben tentato abisso

Dell’alma e del pensier,

Se mi spïasse il mondo

Sfallir la giubba, i cheti

Libri scompor, la cabala

Segnar sulle pareti,

D’un risolin giocondo

Mi schernirebbe in ver.

Distratto, a un dio di gesso

Or la ceffata accocco,

Or dell’inverso zigaro

La viva brace imbocco,

Spesso il cappel, più spesso

La testa obblìo così,

Che se le tempia rotte

Non vanno al muro è un caso.

Quindi il sedil mi sdrucciola,

O mi s’inchiostra il naso,

O aspetto il sol di notte.

O accendo i lumi il .

Se varco in tra la gente

Col capo nelle stelle

Urto l’incauto gomito

All’anca delle belle,

O pesto irriverente

D’un senator sul pié.

Con petulanza rea

Non bado a chi mi bada,

Fo soste, e girigogoli

Serpeggio per la strada;

Così l’intenta idea

Domina i sensi in me.

Come di fuor son degno

Del cittadino scherno!

Però, sepolti fervono

L’opra e l’affetto interno,

E nella mente io regno

Come in mio proprio ostel;

E a sentir meglio imparo

L’ore felici e corte,

Gli arcani amor, le lacrime,

La verità, la morte,

Quanto ha d’immenso e caro

La breve terra , e il ciel.

Così son nati i canti

Da quella strana incuria,

Che par demenza all’anime

Da fondaco e da curia;

E ai glorïosi amanti

Di poca polve d’òr.

Deh! segui il tuo viaggio,

O mente pellegrina.

Meglio che un cor da feretro

E un senso da fucina,

Lo schietto ardir selvaggio

Il canto ed il dolor.

Siam nati in cima ai monti,

Casti e sereni alberghi,

Dov’è costume incognito

Tanto piegar di terghi,

E umilïar di fronti,

E cupido mentir.

Non è di noi, distratti,

Il mondo e la sua gioia,

Ma neppur l’ansie e il fracido

Riso, e il cader di noia,

Cadaveri disfatti

Avanti di morir.

Noi per le nostre selve

Fieri squillando il corno,

Sotto gli acuti crepiti

Del pino a mezzogiorno

Per rompere alle belve

L’audace corsa, o il vol,

Noi liberi, e raminghi

Su per la frana ombrosa

Colà scontrando i balsami

Della montana rosa,

O agli atrii casalinghi

Il veltro e il rosignol,

Noi non attrae la viva

Gemmata aurqa de’ balli,

il petulante strepito

Di cocchi e di cavalli,

Noi per deserta riva

Pensosi viator;

Ma ben ci allegra e pasce

L’interïor mistero,

E in quella sacra, tenebra

Muti adorando il vero,

L’agile carme nasce,

Come da sterpo il fior.

Torino, 1851.

 




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