La cingallegra canta
Sul ramuscel natio,
Che april di verde
ammanta.
Con dolce susurrio,
Come un’argentea
zona,
Brilla fra l’erbe il
rio.
La sua natal canzona
L’errante savoiardo
Sulla gironda suona.
Esce un acuto dardo
Tinto d’ebbrezza
arcana
Da ogni virgineo
sguardo.
Qual cervo alla fontana,
S’abbevera d’amore
Tutta la stirpe
umana.
Sol io, sol io nel core
D’ogni terrestre
gioia
Ho disseccato il
fiore.
La solitaria noia
M’assalta, come
fiera,
E la sua preda
ingoia.
Oh, allegra primavera,
Come oramai mi sento
Altro da quel ch’io
m’era!
All’occhio infermo e lento
Si semina di stelle
Indarno il
firmamento.
Son dissipate ancelle
Dalla nativa casa
Le mie canzon più
belle.
L’alma di tedio invasa,
Vinta a nefande
lotte,
È come selva rasa,
Sulle cui piante rotte
Riposa il ladro, e
rugge
Il vento della
notte.
La mia ragion si strugge
In campo d’ombre; e
il senso
Fin del dolor mi
fugge.
Or che son io? che penso
A questo mondo in
faccia
E a questo cielo
immenso?
Ferrea catena allaccia
Lo spirito infinito
E le impotenti
braccia.
E son nocchier smarrito
In barca, che si
spezza
Per mar che non ha
lito.
Dell’onde sull’altezza
Il Tempo mi deride
E a disperar
m’avvezza.
Perché, perché mi stride
La livida tempesta
Sul capo e non
m’uccide?
Ahi, la mercede è questa
Del vagheggiato
sole,
Che m’è sepolto in
testa!
Sulle innocenti aiuole
Io seminai sospiri,
E non mietei che
fole,
Ah, nei suoi vasti giri
Altro non è la terra
Che un astro di
martìri,
Dove si piange ed erra,
Sin che una zolla
breve
O un sasso vil ci
serra!
Nè la cadente neve,
Nè la nascente rosa,
Nè l’aura fresca e
lieve,
Nè fama gloriosa,
Nè dei rimasti i
lai,
Nè ogni creata cosa,
Nè il vasto ciel co’ rai,
Nè il mar colla sua
voce
Ci sveglierà più
mai.
Questo è il pensier che
coce,
Questo è il calvario
orrendo,
Questa è l’orrenda
croce.
Io già su lei mi stendo,
E nell’iniqua fossa
Pria di morir
discendo.
E queste polpe ed ossa
Si disfaran, siccome
Fronda dal ramo
scossa.
Or che mi giova un nome
E un maledetto
alloro
Sulle tradite
chiome?
Sogni e fantasmi d’oro
Il mio guanciale han
cinto,
Dovrò sparir con
loro.
E sul caduto estinto
Sorriderà la morte,
Come al cader d’un
vinto.
Oh, mie superbie corte,
Un’ombra inerme io
sono,
E mi credeste un
forte?
Oh, mente mia, che in trono
Un dì seder ti
parve,
Sei vanità di suono!
Oh, mie celesti larve
Dell’anima
fanciulla,
Quando da voi
disparve
La luce della culla,
Voi mi lasciaste
adulto
Col mio saper che è
nulla!
Studii del mondo occulto,
Baldanze del
pensiero,
Io vi beffeggio e
insulto.
Trista rugiada è il vero:
Altro non nutre e
pasce
Che il fior del
cimitero.
Beato è chi non nasce,
O generato appena,
Muor nelle bianche
fasce!
Ah, su quest’empia arena
D’esilio e di
peccato,
Sola una larva è
piena
Dei raggi del creato:
La larva che matura
Sotto uno sguardo
amato!
Larva che poco dura,
Ma che di fior
coperti
Ci mena in
sepoltura,
Della sua mano i serti
Trasformano in
altari
I funebri deserti.
Ella gli spasmi amari
Del tormentato
ingegno
Rende soavi e cari.
Ella di Dio dà segno
In questa buia
chiostra
Dove ha Satàno il
regno,
Deh, se il mio cor si
prostra
A’ cenni tuoi, gran
Dio,
Deh, per pietà mi
mostra,
Scossa dal lieve oblio,
La dolce larva
ancora
Del paradiso mio!
Dai vesperi all’aurora
Ben io la sogno, e
l’alma
Come il pensier
l’adora.
Simile a nivea salma,
Ella talor mi brilla
Per notte azzurra e
calma.
Talor la sua pupilla
Il solitario foco
Dal cor mi
dissigilla.
E allor celeste è il loco
Dond’io la guardo e
tremo,
Divino è il tempo e
poco.
Allor l’inerte e scemo
Vigor mi torna, e
sento
Tutto il mio ben
supremo.
E in mute ebbrezze intento,
Fuor che il pensier,
che l’ama,
Di me tutt’altro è
spento.
Nulla il mio cor più brama,
Perché rapito in lei
Altri che lei non
chiama,
Nè ben narrar potrei
Se sien di morte o
vita
I rapimenti miei.
Ma so ch’è una romita
Gioia profonda e
strana,
Ch’io non ho mai
sentita.
E forse ancor l’insana
Mente delira, e
crede
A una fredd’ombra e
vana,
Ombra che vola e riede,
Ombra che inutil
vive,
O ad altri amor dà
fede.
Cocenti e fuggitive
Ore del nostro
sogno,
Perché si piange e
scrive?
Penna, che invan rampogno,
Perché non ti
rifiuti
A questo reo bisogno
Lampa, che guizzi e muti
Gli ermi chiarori
tuoi,
Perché non mi
saluti,
Perché morir non vuoi?
Segni d’inchiostro
informi,
Perché vivete or
voi?
Mente, perché non sciormi
Dalle malíe fallaci?
Pensier, perché non
dormi?
Cor mio, perché non giaci?
Taci, indignata
musa:
China la testa e
taci.
La fantasia confusa
Cinta è d’angoscia e
d’ira,
Come caverna chiusa,
Dove il lion s’aggira,
O dove, occulta a
tutti,
Crepita ardente
pira.
Ah! del pensiero i lutti
Lo rodono e lo
sfanno,
Come la nave i
flutti!
E l’uom, vivente inganno,
Altro non sente
alfine
Che il suo pensier
tiranno.
E voi, nelle divine
Aure del ciel, che
fate,
Perpetue pellegrine
Prima dell’uom create,
Stelle d’arcane
tempre?…
Ah! voi di là
ruotate
Sull’uom che sogna sempre!…