Tuque, tenace
pater, nunc adsis: ter pede terram
Tundite nunc,
pueri: fugiunt super aequora Persae.
D’Ismara quando
L’oro, sprillando,
Sotto la spuma
Si torce e fuma
Nel mio bicchier;
Col sole in fronte
D’Anacreonte,
Doventa allegro
Fino il più negro
De’ miei pensier.
Nel dorio nappo
Mi sprema il grappo
La tua di rosa
Man rugiadosa,
Fanciullo Amor;
E questo crine,
Sparso di brine,
Nel dolce rito
Vedrai vestito
D’idalio fior.
E nell’arcano
Simposio, in mano
La sacra conca
Dove si cionca
Per la beltà;
Nonchè i volanti
Felici istanti
Quei della pira
La lesbia lira
Mi tarderà.
Sento alla chioma
L’aura di Roma;
Ma i rosei carmi
Di Milo ai marmi
Sempre io darò.
Me il doppio ha vinto
Mar di Corinto;
E Tespi e l’onda
D’Imetto bionda
Scordar non so.
D’ognun sul labro
Suona il Velabro,
Suona Laurento,
Suonan le cento
Vestali e i re;
Ma più le belle
Driadi sorelle
Danzanti in giro
Pel verde Epiro
Piacciono a me.
Nei pepli chiuse,
Salvete, o muse;
Salvete, o fiumi,
Di ninfe e numi
Cuna ed altar;
D’Antella in vetta,
Salve, o diletta
Lacena prole,
Gloria del sole,
Festa del mar.
Baia divina
Di Salamina,
Quand’io son teco
L’aura d’un Greco
Parmi vestir:
Vivo giocondo
Nel greco mondo,
E con un riso
Del greco Eliso
Vorrei morir.