I
Su un pilastro deposto il sonoro
Tamburino, e le bende sue d’oro
Alla chioma intrecciando, sentì
La leggiadra Pachita assai cose
Da un gentil caballero: e rispose
Finalmente l’arguta così:
«Caballero dell’alta Aragona,
Se aver brami la nostra persona,
Tre fatiche tu devi compir.»
«Bruna fìglia dei cantabri lidi,
Parla sempre e parlando sorridi;
Le fatiche noi stiamo ad udir ».
«Caballero, se il braccio ti vale,
Non concètto da grembo mortale
Qua tu devi condurci un destrier».
«È l’inchiesta terribile e nova,
Ma l’hai detto e siam pronti alla prova
Per far pago il bizzarro pensier».
«Caballero, c’è un’altra fatica:
Qui recarci tu devi una spica,
Non sui campi, ma nata nel mar».
«Strana molto è l’inchiesta seconda,
Che niun semina o miete nell’onda,
Pur la spica giuriam di recar».
«Caballero, se ciò ti conviene,
Qui condurci tu devi in catene
Quel superbo Don Pedro tuo Re».
«Questa è poi la più rea delle imprese,
Ma chi t’ama è tremendo e cortese;
Noi trarremo Don Pedro al tuo piè».
«Do tre giorni a ogni prova e t’aspetto;
Batti a notte tre volte al mio tetto,
Io la porta ad aprir ti verrò;
E nell’ultimo di senza fallo
Le mie nozze otterrai, se il cavallo
E la spiga e Don Pedro vedrò».
Col piè breve stellato d’argento
Detto questo, girossi nel vento
La Pachita dei cembali al suon.
E per selve, per borghi e cartelli
Ascoltavan le aurette e i ruscelli
Di Pachita la gaia canzon.
E il gentil caballero frattanto,
Fosse mesto o pentito del vanto,
Nè sapesse a che termine uscir,
Gìa pensoso all’aperta campagna,
Nè quel vago giardin della Spagna
Dava tregua ai cocenti sospir.
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