O ramuscel di mandorlo,
Quando su te si posa
Il cardellino, e ai limpidi
Rigagni e al ciel di rosa
Sparge la fresca e lieta
Anima di fanciullo e di poeta;
O ramuscel, per magica
Arte io vorrei mutarmi
Nell’augellin che dondola
Su te, trillando carmi;
Su te, che spargi al vento
La molle nebbia de’ tuoi fior d’argento.
E là, cantando il giovane
Mio tempo e i dolci inganni,
Le ingrate nevi e il cumulo
Non sentirei degli anni,
Ma ognun la sua fatale
Stella ha sul capo; ed accusarla è male.
Dunque, augellin, sul candido
Ramo tu resta e trilla;
Nella consunta lampada
Io sveglio una favilla
E seguo, al tenue raggio,
Sonnambulo nell’ombra, il mio vïaggio.
E ad una pietra celtica,
A un ipogeo latino,
O sotto un dorio portico,
O un arco bizantino,
Sogno; e domando al fiore
Ciò che resta nel mondo e ciò che muore.
Sogno; e domando ai zefiri
Se, al dì della procella,
Io seguirò la bussola
D’Amalfi o la mia stella;
E se il funereo altare
Troverò sulla tolda o in fondo al mare.
Se in fondo al mar le Naiadi,
Dopo il virgineo ballo,
Non mi daran sarcofago
Di perla o di corallo,
Ma, pari a mia fortuna,
Un letticiuol di poca aliga bruna;
Grato alle Dee, dal povero
Sepolcro, a quando a quando
Mi leverò, l’erratico
Poseïdòn guardando;
E mi parrà la vita
Sentir nella sonante onda infinita.
Onda, del tutto origine,
Madre ed amante ignota,
Al cui tripudio il mistico
Gange e il divino Eurota
E l’ilice dircea
E il ramuscel di mandorlo si crea;
Onda, che sorgi ai palpiti
Di Febo innamorato,
E al cardellino e all’aquila
I nascimenti hai dato;
Onda nettunia, è pieno
Di sogni eterni chi ti dorme in seno.