Mab vocor
atque iocor: nigris me linquere corvis
Gaudeo; subque
dio teneros insector amores.
Mentre ai gelidi passaggi
Del crepuscolo s’abbruna
La foresta, e si richiudono
Nelle siepi i tenui fior;
E fan tresca in cima ai faggi
Gli scoiattoli alla luna,
E i mastini intorno latrano
Nello stabbio del pastor’;
Mab, la piccola reina
Delle fate, in veste azzurra,
Che ha per cocchio un guscio d’ebano
E due corvi per destrier’,
Sulla fonte cristallina,
Che fra l’eriche susurra,
All’ombra d’un bianco mandorlo
Va cantando i suoi pensier.
Gira gira la tua ruota,
Bella Parca;
Lancia lancia, buon
pilota,
La tua barca;
Passa lieve sul
quadrante,
Sfera errante;
Metti nido nel mio
core,
Dolce Amore;
Mentre d’astri il
ciel s’ammanta,
Noi si canta:
«Da qual madre, a qual ora,
in quali sponde
Venni alla vita, indovinar
non so.
Nè lo sanno
quest’acque e queste fronde,
Nè questa luna, che va
pellegrina
Di collina in collina,
E mai del mio natal non mi
parlò.
Mi rammento
dell’Asia, e vidi i sassi
Di Ninive e di Menfi, e udii
nitrir
Il cavallo di Ciro,
e a tardi passi
Mirai per le stellate arabe
lande
L’aspro cammello e il grande
Dromedario le armate orde
seguir.
In margine all’Egeo
vidi i misteri
D’Ecate; e nei latini antri
l’altar
D’Ilia bendata; e i
popoli guerrieri
Spâurir colle truci aquile
il mondo,
E lunge il furibondo
Odoacre l’enorme asta
agitar.
Quel dì non più
nelle romulee cene
D’allegra spuma il calice
fiorì,
E di Cinara e Cloe,
dolci sirene,
Bagnâr la chioma i molli
unguenti invano,
E sul triclinio arcano
Il gemito d’Amor più non
s’udì.
Elmi di ferro ed
orride zagaglie
Vennero: e i numi non sentîr
pietà.
E fu misto
l’incendio alle battaglie,
E dalla verde tiberina valle
Le barbare cavalle
Vidi lanciarsi sulla gran
Città.
E poi monaci e re
chiusi nell’armi
Sorsero, e in cima al mar mi
balenò
La rossa croce; e di
Sïon sui marmi
Gli emiri in pugna disperata
ho visto
Coi cavalier’ di Cristo;
E com’altro già vidi, altro
io vedrò.
Ma voi, stelle del
ciel, voi foste, o rose,
Voi, glauchi fiumi, il mio
profondo amor;
E, se patria o natal
mi si nascose,
Le verdi terre, i pampini
fiorenti
E il sibilo de’ venti
E il lume ambrosio mi fu
vita al cor.
Quaggiù secoli molti
ho numerati,
Ma corallo m’è il labbro,
ebano il crin:
E di me senza posa
innamorati
Sono i falchi dell’aria, i
tersi fonti,
Il frassino de’ monti
E il bianco silfo che mi sta
vicin.
Questo è il compagno
mio. Spirito arcano,
Sempre la notte e il dì
canta con me:
Egli sal sul mio
cocchio, e andiam lontano
Lontano a interrogar boschi
e caverne,
E delle cose eterne
Rapir qualcuna, io gentil
dama, ei re.
Ei mi dice che Febo,
il biondo e bello
Signor dell’armonia, padre a
noi fu,
E mi giura che Marte
è il mio fratello,
E gli altri Dei la mia
superba corte,
E là dopo la morte
Noi salirem per non
lasciarci più.
Anzi sarem due novi
astri al notturno
Padiglion dell’Olimpo: ed in
beltà
Forse a noi cederan
Sirio e Saturno,
I due Gemini, Urano, Espero
e l’Orse
E la gran Lira: e forse
Men superba di sè Venere
andrà.
Qui frattanto nel
mondo è nostra usanza
Chiedere l’ombra a un
mandorlo fedel,
O sui rivi
intrecciar magica danza,
O sulle fosse dei fanciulli
estinti
Falciar rute o giacinti,
Quando scintilla il
plenilunio in ciel.
È nostra usanza a
mattutino il canto
Spargere nella valle o sul
burron,
E di rosso vestita o
azzurro manto,
Sempre nel guscio d’ebano,
mi piacque
Girar le terre e l’acque,
E dare ai miei fantasmi
anima e suon.
Ed ora il guscio d’ebano
traete,
Piccoli corvi, al nostro
angusto asil;
E voi, stelle del
ciel, voi risplendete
Sopra le chiome della selva
bruna;
E tu zampilla, o luna,
Sul vestibolo mio sparso
d’april.
E tu, Silfo, mi
canta; e nel vïaggio
Salvami da procella o
masnadier’;
Sferza i cavalli, e
coll’ardor d’un paggio
Mordi del roseo pollice il
liuto;
O se non vuoi, sta muto,
Ch’io già so quel che pensi,
o mio Scudier.
Tu pensi che su
morbido guanciale
D’odorate giunchiglie io
giacerò;
E tu, acceso, qual
sei, d’aura immortale,
Colle tue braccia mi farai
catena,
E là, di gioia piena,
Come è mio l’universo, io
tua sarò.»
Così Mab cantando, vola
Co’ suoi corvi piccioletti:
Per gli arbusti il bianco Spirito
Curva l’ali e a lei fa vel;
Spuntan fiori in ogni aiuola,
Le falene e gli augelletti
Son ridesti, e sotto l’eriche
Par che canti ogni ruscel.
Oh grandezze, o maraviglie
Della candida Natura!
Quando saltan gli scoiattoli
Delle stelle allo splendor,
Ed un letto di giunchiglie
Fa obliar la sepoltura,
E gli affanni si addormentano
Nelle braccia dell’Amor!