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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • ASPASIA
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ASPASIA

Nec demum potoris famulae committere cynthum

Purpureum et debitas Veneri laudare calendas.

Quando la prima ruga

Ti manda il riso in fuga,

Quando la prima brina

Le chiome d’ôr ti tocca,

E nella rosea bocca

La prima perla fina

Comincia a vacillar;

Chieder che giova, Aspasia,

Gomme ed unguenti all’Asia?

il musico di Teo

Co’ suoi giocondi fiori,

co’ suo’ dotti amori

Il vecchio del Pireo

Ti può ricompensar.

Fioristi rugiadosa,

Ed or non sei più rosa;

Non più, lentato il freno

Al lin che ti circonda,

Or viene or va, com’onda,

Il giovinetto seno

Che Fidia innamorò.

Le due ridenti stelle,

Vago sospir d’Apelle,

Sotto le ciglia brune

Han perso anch’elle il foco

E con nefando gioco

Te delle ambrosie lune

Sin l’aura abbandonò.

Se per allegri calli

Mena Polinnia i balli,

Tu più non lanci, a modo

Di fresco fior, le membra;

Che più obbedir non sembra

L’agil caviglia e il nodo

Del giovinetto piè.

E se Talìa s’aggira

A suon di tibia o lira,

E tentatrice intorno

L’altrui canzon ti vola;

Entro la rosea gola,

D’usignoletto un giorno,

Langue la voce a te.

Cedi corona e trono,

O Aspasia, a quante or sono

Sul florido Cefiso

Schiave d’amor leggiadre.

Tu sai che d’Ega il Padre

La gioventù del viso

Due volte a noi non .

Depon’ sull’ara in pace

La moribonda face:

Lieta, se pria che il vento

In cenere la mandi,

I raggi ultimi e blandi

Dal tripode d’argento

L’Olimpo accoglierà.

 




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