Nec demum potoris
famulae committere cynthum
Purpureum et
debitas Veneri laudare calendas.
Quando la prima ruga
Ti manda il riso in fuga,
Quando la prima brina
Le chiome d’ôr ti tocca,
E nella rosea bocca
La prima perla fina
Comincia a vacillar;
Chieder che giova, Aspasia,
Gomme ed unguenti all’Asia?
Nè il musico di Teo
Co’ suoi giocondi fiori,
Nè co’ suo’ dotti amori
Il vecchio del Pireo
Ti può ricompensar.
Fioristi rugiadosa,
Ed or non sei più rosa;
Non più, lentato il freno
Al lin che ti circonda,
Or viene or va, com’onda,
Il giovinetto seno
Che Fidia innamorò.
Le due ridenti stelle,
Vago sospir d’Apelle,
Sotto le ciglia brune
Han perso anch’elle il foco
E con nefando gioco
Te delle ambrosie lune
Sin l’aura abbandonò.
Se per allegri calli
Mena Polinnia i balli,
Tu più non lanci, a modo
Di fresco fior, le membra;
Che più obbedir non sembra
L’agil caviglia e il nodo
Del giovinetto piè.
E se Talìa s’aggira
A suon di tibia o lira,
E tentatrice intorno
L’altrui canzon ti vola;
Entro la rosea gola,
D’usignoletto un giorno,
Langue la voce a te.
Cedi corona e trono,
O Aspasia, a quante or sono
Sul florido Cefiso
Schiave d’amor leggiadre.
Tu sai che d’Ega il Padre
La gioventù del viso
Due volte a noi non dà.
Depon’ sull’ara in pace
La moribonda face:
Lieta, se pria che il vento
In cenere la mandi,
I raggi ultimi e blandi
Dal tripode d’argento
L’Olimpo accoglierà.