Ut tibi dat
crepìdam, mihi Pallas condere versus
Si dederit!
Alfin trovato ho un paio
Di scarpe così prode,
Che non c’è premio o lode
Ch’io neghi al calzolaio.
Fango pestando e ciottoli
Di queste vie romane,
Or le caviglie ho sane
E a sghembo il piè non va.
Salgono molti in fama
Con men perizia e merto
Di questo fabbro esperto
Che Maëstron si chiama:
Che con ispago e lesina
S’impanca in via Ripetta
E non fa l’arte in fretta
Ma da par suo la fa.
Leggicchia, ad ora brulla,
Il Conte della Mancia,
Guerino, I Re di Francia,
La Voce od il Fanfulla.
Non so s’ei va col secolo
E mutar vesti sogna,
O nel suo nicchio agogna
Di rimaner così.
Non so se uscì da balia
Fior d’anice o di rapa,
Non so se sta col Papa
Oppur col Re d’Italia:
So che da onesto artefice
La tassa egli non nega,
E spunta alla bottega
Allo spuntar del dì.
Al numero Quaranta,
Ei fiuta il suo tabacco;
Ama l’altar di Bacco
E di Noè la pianta:
A sera gli s’imporpora
Il peperon del naso,
Gli ridon gli occhi. È il caso
D’offrirlo ad un pittor.
Corta ha la chioma: è secco
Di Lomellina il figlio:
Nodato ha sul cintiglio
Il suo zinnal di becco:
Mozza la turpe gocciola
Che dalle nari è in corso,
E delle mani al dorso
Commesso è questo onor.
Ma con che forza ei cuce,
Ma con che garbo ei mette
Le stringhe e le bullette
E in sodo il piè riduce!
Or coi due forti sandali
Posso lanciarmi al ballo
Senza che un’unghia o un callo
Mi faccia delirar.
È rude un po’ la forma,
Ma punto i’ non mi sdegno;
Se un calcio altrui consegno
So che ci lascio l’orma.
Con tali schermi transito
Lungo le vie contento
Più che uccelletto al vento
O più che triglia al mar.
Un giorno anch’io portai
Scarpe lucenti e snelle,
Ma i muscoli e la pelle
Eran più freschi assai:
E Amor mi dava a prestito
I suoi lucenti vanni,
Gloria de’ miei verd’anni
Che non mi tenta più.
Com’era allegro il piede
Sotto le ambrosie lune,
Molli le chiome e brune
E giovenil la fede!
Ma queste dolci favole
Lasciar degg’io da parte,
Oggi le lodi all’arte
Meglio ascoltar puoi tu.
Di scarpa angusta e fina
Tu non m’hai fatto schiavo;
Bravo, tre volte bravo,
Figliuol di Lomellina.
Più ferma sul suo zoccolo
Non è del corpo mio
Statua di greco iddio
O di latino re.
Di sette ormai calende
Oggi suonata è l’ora
E fan servigio ancora
Le scarpe tue stupende.
Grazie, o maestro. Un’orrida
Scogliera è il calle umano
E scarpe da Titano
Tu fabbricasti a me.