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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • IL POETA E LA SOCIETA’
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IL POETA E LA SOCIETA’

       Terra, crudel, se in vincoli

Possenti a te mi lega

Pensier, che abbraccia e lacrima,

Cor che indovina e prega,

Tranne gli ardenti cantici,

Altro da me che aspetti?

Tranne i pietosi affetti,

Altro che vuoi da me?

       Le tue speranze io mormoro,

E tu mi nieghi ascolto:

Io modulo i tuoi gemiti,

E tu mi chiami stolto:

S’io vo solingo e torbido

E chiudo ai canti il core,

Un riso acerbo è il fiore

Che tu mi getti al piè.

       Ahi troppo duro e valido

Sento de’ tristi il regno

Per säettar le folgori

Del concitato ingegno:

È troppo rea sui deboli

Questa ragion del forte

Che fa sentir la morte

Necessità del cor.

       Dimmi, che cerchi, o perfida

Noverca, ond’io ti piaccia,

E tu mi possa stendere

Le perdonanti braccia?

Vuoi ch’io mi curvi ad opere

Cui Dio non mi compose,

E che all’eccelse cose

Si tolga il mio sudor?

       Terra! se tu sei giudice,

Pesa la mia parola;

Ella, se il ver la suscita,

T’è sacerdozio e scola;

In questa fiamma io m’agito,

Di questa vita io vivo,

Per onorarti scrivo,

Altro operar non so.

       Cruda! tu senti il debito

Del pane all’operaio

Che ti racconcia i sandali,

Che ti rattoppa il saio,

E a questo forte povero

Che per te pensa e suda,

Sempre rispondi, o cruda:

«Pan da gittar non ho».

       Non hai tu pane? E al facile

Mutar d’una carola

Profondi l’oro, e al limpido

Trillo d’un’agil gola;

Stolti! e tra voi la divite

Turba d’onor s’ammanta,

E l’anima che canta

Nuda di gloria va.

       E sia così! Quest’esule

Va dove pensa e vuole,

Selvaggia come l’aquila,

Ardente come il sole.

Ma pur, divisa, un nobile,

Secreto amor nutrica.

E la respinta amica

Voi maledir non sa.

       Datele almen che vergine

Possa serbar la lira,

Ch’ella non mesca gli aliti

Santi ove l’odio spira,

Che un non curar sacrilego,

Che un guerreggiar codardo,

Non le contristi il guardo

Non le recida il vol.

       Voi la ponete in tenebre,

Ella vi dona il giorno;

Voi la dannate a piangere,

Ella vi canta intorno.

E nel fiammante nuvolo

De’ suoi divini incensi

Ella vi leva i sensi

dove regna il sol.

       Ah, potess’io far cognito

Quanto in lei vive e siede:

Gli odii, gli amor, le torbide

Gioie, la dubbia fede,

E i rapimenti e gl’impeti

Soltanto a lei concessi,

E i suoi potenti amplessi

Dati a la terra e al ciel.

       Oh a me compagni ed emuli

Nel carme e nel dolore,

Tutti in un solo uniamoci

Nodo d’eccelso amore:

Oda la Terra unanime

Quest’armonia di canti

E a’ suoi celesti erranti

Apra il materno ostel.

       Così quest’arpe italiche,

Queste fraterne voci

Espïeran l’obbrobrio

Dei roghi e delle croci,

Quando di sé fu martire

Ogni intelletto sacro,

Ed ebbero lavacro

Di sangue i turpi .

       Espïeran gli stolidi

Ozi e la boria vile,

E l’arroganza barbara

E l’adular servile;

E sarà duce ai popoli

Quest’armonia scettrata,

Che coll’Italia nata

Dal cor di Dante uscì.

 




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