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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • CONVEGNO DEGLI SPIRITI
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CONVEGNO DEGLI SPIRITI

Ecco sotto di quel tiglio verde

Compajon le due anime affannate,

Chiuse in eterno son le labbra lor.

Spiriti, o voi, per cui goccia non perde

Di sue rugiade il fior che nol sappiate,

Ditemi voi di quell’ignoto amor.

— Se da noi saper tu aneli

Di quei due che muti stanno,

Quel che fêr, non quel che fanno,

Sarà pago il tuo desir.

Hanno amato quando i cieli

Biancheggiarono all’aurora;

Hanno amato, amato ancora

Delle stelle al comparir.

Seppelliti in antri cupi

Hanno amato, allor che nera

S’ascoltava la bufera

Per le selve imperversar.

Sulla punta delle rupi

Han compiuti i loro amori,

Li han compiuti in grembo ai fiori,

Li han compiuti in mezzo al mar.

Sia che l’arso o la moria

Disertasse e case e colti,

O i mortali avari e stolti

Fosser tratti alla tenzon;

Legò sempre un’armonia

Le due vite oscure e sole;

Parlâr basso…; e fur parole

Che ancor note a voi non son.

E talvolta nell’ebbrezza

Del baciarsi e viso e chiome,

Sui lor labbri il dolce nome

Dell’Italia risuonò;

Ma per dir che la bellezza

De’ suoi cieli e de’ suoi mari

A un lor bacio non è pari:

Tanto forte amar si può!

I color vivaci e schietti

Si tramutano alle fronde,

Si tramuta il letto all’onde,

Si tramuta all’uomo il cor.

Cangia il tempo a mille oggetti

Usi e forme e nomi e tempre;

Ma i lor baci eguai fur sempre,

Sempre eguale il loro amor.

Quando il mal li ha sopraggiunti,

Si guardaro e pianser tanto:

Ma ogni stilla di quel pianto

Dai lor baci astersa fu.

Cadder pallidi e consunti:

Lor dimora è tra gli spirti;

Noi di più non possiam dirti,

Tu non puoi saper di più. —

E intanto giù nel basso a un romorìo

Di foglie e delle stelle al lume incerto,

Ecco tremar la compagnia fedel;

Poi surge un suon di disperato addio;

Ei s’inabissa giù nel suolo aperto,

Ella gemendo si dilegua in ciel.

« O fate vergini,

Voi che abitate

Gli astri e le tenebre,

L’aure ed i fior;

Voi rivelatemi,

Vergini fate,

Questa recondita

Storia d’amor.

E un roseo nuvolo

Sulle veloci

Piume dei zefiri

Ecco venir;

Ecco un insolito

Rumor di voci,

Poi queste limpide

Note n’uscir:

Vissero insiem; ma la fanciulla amante

Volea prostrarsi sulle verdi zolle

A supplicar per le sue colpe tante…

Ed ei non volle.

Molto l’amò; ma la fanciulla, senza

Pace vivendo, volea far satolle

Dei miseri le fami, in penitenza

Ed ei non volle.

Spuntava l’alba; e la fanciulla oppressa

Giù in quell’erma chiesetta, a piè del colle

Scender volea per ascoltar la messa

Ed ei non volle.

Fuggiro un dopo contrasti e guerre;

E la madre di lei diventò folle:

Chieder volea novella alle sue terre

Ed ei non volle.

E molto i suoi voleri eran tenaci,

Ma in lei sola fu lieto, in lei si piacque;

E i suoi voleri confondea cobaci

Ed ella tacque!

Piangeva un con disperato affetto

Un fanciullin, che per morir le nacque:

Ei se la strinse lungamente al petto

Ed ella tacque!

Pensava un tratto alle natie riviere

Nei lunghi quando malata giacque;

Ei la vegliò per cento notti intere

Ed ella tacque!

E i più bei fiori ell’ebbe, i più bei frutti;

L’amò sui monti, l’adorò sull’acque.

Ei fu tutto per lei, nulla per tutti…

Ed ella tacque!

Moriro, e in premio dell’amor profondo,

Posson trovarsi nel giardin natìo;

Se due morti ritornano nel mondo,

Così vuol Dio.

Ma il pensiero di lui fu travïato;

Ella versò d’amari pianti un rio,

E in ciel fu tolta; ed egli è condannato;

Così vuol Dio.

Che se aveva egli pur, siccome ell’ebbe,

E terrori e rimorsi e sentir pio,

Anche forse per lui stato sarebbe

Pieghevol Dio.

E invece di venir sulla tacente

Ora a scambiarsi il tormentoso addio,

Vivrebbero abbracciati eternamente

Lassù con Dio. —

Via per le tremule

Volte stellate

Più malinconica

La luna errò,

E il lieve e lucido

Stuol delle fate

Nel mar dell’aere

Si dileguò.

Solo uno spirito

Sotto quel tiglio

Dov’ei posavano

S’udia cantar:

— « Ahi! tra le lagrime

« Di questo esiglio,

« Che importa vivere,

« Che giova amar? » —

 




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