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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • UNA CENA D’ALBOINO RE
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UNA CENA D’ALBOINO RE

Fervean di canti, fervean di suoni

Di re Alboino l’ampie magioni;

E, in mezzo ai duchi giunti al convegno

Dal vasto regno,

Sparsa di gemme, lucente d’oro,

Di quelle mense fregio e decoro,

Più dell’usato bella e gioconda,

Sedea Rosmonda.

Gli orli spumanti di vino eletto,

Volan le tazze per il banchetto;

Fumosa ai capi l’ebrezza ascende;

E trema e splende

Di fosca luce l’occhio regale

Come la punta del suo pugnale;

Scoppian le risa, lunghe e feroci

Stridon le voci.

Disser di queste belle contrade

Oppresse e vinte dalle lor spade;

Plausero a questi colli vestiti

Di tante viti.

Fragili fiori più che colonne

Chiamâr, codardi! le nostre donne;

Le disser liete, superbe e belle,

Ma tutte ancelle!

E al vil susurro dell’orgia rea

Rosmunda bella forse gemea,

Per colpe orrende non ancor fatta

Di quella schiatta.

Prenci e baroni, paggi e scudieri,

Ecco il più bello de’ miei pensieri. —

(Così, nell’ebro furor del vino,

Parla Alboino).

Vedete questa, che ho qui d’accanto,

Lieta, superba? che mi ama tanto?

La vera gemma quest’è, per Dio,

Del serto mio.

Vuoi tu trapunta d’oro ogni veste?

Trecento all’anno banchetti e feste?

Ricca è l’Italia, ma ricca assai:

Chiedi, ed avrai.

Ma, poichè denno questi miei prodi

Nei lor castelli dir le tue lodi,

E notte e giorno render gelose

Fanciulle e spose;

Sien dunque istrutti d’ogni tuo merto.

Che tu sei buona, frate Roberto

L’ha predicato. Che tu sei casta,

Io ’l dico, e basta!

Agil di forme, sottil di piede,

Che tu sei bella, ciascun lo vede.

Or via, Rosmunda, loro un saggio

Del tuo coraggio. —

E a lei porgendo con un sorriso

Il nudo teschio del padre ucciso:

— Or via, Rosmunda, forte esser devi:

Rosmunda, bevi!

Per me il suo sangue, per te il mio vino;

Bella Rosmunda, questo è destino:

Tu l’hai baciato prima ch’ei mora;

Bacialo ancora.

E tu, spolpato re Cunimondo,

Addio. Tu vieni dall’altro mondo.

Ecco la stella di mia famiglia:

Bacia tua figlia. —

Del re briaco piacque lo scherno,

E un lungo eruppe plauso d’inferno.

Re Cunimondo, bene arrivato!

Dove sei stato?

Perchè la mano più non ci tocchi?

Per Dio, che avvenne? Tu hai perso gli occhi!

Oh sconsacrato figliuol di Roma,

Dove hai la chioma?…

Real cugino, lancia smarrita,

Dammi novelle dell’altra vita.

Poi di due cose rendimi istrutto,

Tu che sai tutto.

Pingui di cibo, scarsi di guerre,

Starem moltanni su queste terre?

E a quali patti Dio ce la dona

Questa corona?

Ospite bianco mutolo e cieco,

Bacia la rosa ch’io tengo meco,

Ve’ che i tuoi baci pallida aspetta

La poveretta. —

E il re briaco, così dicendo,

Giocherellava col teschio orrendo;

E a lei, che gli occhi fremendo torse,

Ratto lo porse.

Ferma, Alboino, da’ labbri miei

La prova infame voler non dèi.

Bevi, Rosmunda; non più parole!

Così si vuole. —

Bevea Rosmunda. Ma con lo sguardo

Parea dicesse: — Re longobardo,

Se la vendetta qui non mi langue,

Berrò il tuo sangue! —

E dopo un anno da quel convito,

Dormiva solo l’ebro marito.

Aprì una notte l’erma sua cella

Rosmunda bella

E con un forte vago soldato

Il regicidio fu patteggiato

Ed ecco all’alba sommessamente

Picchiar si sente.

— Sei tu, Almachilde? — Son io. — Che porti? —

— Che un lungo sonno dormono i morti! —

Ond’ella, tratto l’aspro cimiero:

Dal suo guerriero:

— Questa corona, dolce mio bene,

Questa corona più ti conviene.

Ella era turpe; rendila degna;

Baciami, e regna. —

Se iniqua storia vi raccontai,

Quello ch’è storia non cangia mai.

Nel torbidevo, quando l’Italia

Fu data a balia,

Di casi atroci ne avvenner molti:

Ma ai nostri tempi, civili e colti,

Spose e mariti, popoli e troni

Son tutti buoni.

 




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