Fervean di canti,
fervean di suoni
Di re Alboino
l’ampie magioni;
E, in mezzo ai duchi
giunti al convegno
Dal vasto regno,
Sparsa di gemme, lucente
d’oro,
Di quelle mense
fregio e decoro,
Più dell’usato bella
e gioconda,
Sedea Rosmonda.
Gli orli spumanti di vino
eletto,
Volan le tazze per
il banchetto;
Fumosa ai capi
l’ebrezza ascende;
E trema e splende
Di fosca luce l’occhio
regale
Come la punta del
suo pugnale;
Scoppian le risa,
lunghe e feroci
Stridon le voci.
Disser di queste belle
contrade
Oppresse e vinte
dalle lor spade;
Plausero a questi
colli vestiti
Di tante viti.
Fragili fiori più che
colonne
Chiamâr, codardi! le
nostre donne;
Le disser liete,
superbe e belle,
Ma tutte ancelle!
E al vil susurro dell’orgia
rea
Rosmunda bella forse
gemea,
Per colpe orrende
non ancor fatta
Di quella schiatta.
— Prenci e baroni, paggi e
scudieri,
Ecco il più bello
de’ miei pensieri. —
(Così, nell’ebro
furor del vino,
Parla Alboino).
— Vedete questa, che ho qui
d’accanto,
Lieta, superba? che
mi ama tanto?
La vera gemma
quest’è, per Dio,
Del serto mio.
Vuoi tu trapunta d’oro ogni
veste?
Trecento all’anno
banchetti e feste?
Ricca è l’Italia, ma
ricca assai:
Chiedi, ed avrai.
Ma, poichè denno
questi miei prodi
Nei lor castelli dir
le tue lodi,
E notte e giorno
render gelose
Fanciulle e spose;
Sien dunque istrutti d’ogni
tuo merto.
Che tu sei buona,
frate Roberto
L’ha predicato. Che
tu sei casta,
Io ’l dico, e basta!
Agil di forme, sottil di
piede,
Che tu sei bella,
ciascun lo vede.
Or via, Rosmunda, dà loro un saggio
Del tuo coraggio. —
E a lei porgendo con un
sorriso
Il nudo teschio del
padre ucciso:
— Or via, Rosmunda,
forte esser devi:
Rosmunda, bevi!
Per me il suo sangue, per te
il mio vino;
Bella Rosmunda,
questo è destino:
Tu l’hai baciato
prima ch’ei mora;
Bacialo ancora.
E tu, spolpato re Cunimondo,
Addio. Tu vieni
dall’altro mondo.
Ecco la stella di
mia famiglia:
Bacia tua figlia. —
Del re briaco piacque lo
scherno,
E un lungo eruppe
plauso d’inferno.
— Re Cunimondo, bene
arrivato!
Dove sei stato?
Perchè la mano più non ci
tocchi?
Per Dio, che avvenne?
Tu hai perso gli occhi!
Oh sconsacrato
figliuol di Roma,
Dove hai la chioma?…
Real cugino, lancia
smarrita,
Dammi novelle
dell’altra vita.
Poi di due cose
rendimi istrutto,
Tu che sai tutto.
Pingui di cibo, scarsi di
guerre,
Starem molt’anni su queste
terre?
E a quali patti Dio
ce la dona
Questa corona?
Bacia la rosa ch’io
tengo meco,
Ve’ che i tuoi baci
pallida aspetta
La poveretta. —
E il re briaco, così
dicendo,
Giocherellava col
teschio orrendo;
E a lei, che gli
occhi fremendo torse,
Ratto lo porse.
— Ferma, Alboino, da’ labbri
miei
La prova infame
voler non dèi.
— Bevi, Rosmunda;
non più parole!
Così si vuole. —
Bevea Rosmunda. Ma
con lo sguardo
Parea dicesse: — Re
longobardo,
Se la vendetta qui
non mi langue,
Berrò il tuo sangue!
—
E dopo un anno da quel
convito,
Dormiva solo l’ebro
marito.
Aprì una notte
l’erma sua cella
Rosmunda bella…
E con un forte vago soldato
Il regicidio fu
patteggiato…
Ed ecco all’alba
sommessamente
Picchiar si sente.
— Sei tu, Almachilde? — Son
io. — Che porti? —
— Che un lungo sonno
dormono i morti! —
Ond’ella, tratto
l’aspro cimiero:
Dal suo guerriero:
— Questa corona, dolce mio
bene,
Questa corona più ti
conviene.
Ella era turpe;
rendila degna;
Baciami, e regna. —
Se iniqua storia vi
raccontai,
Quello ch’è storia
non cangia mai.
Nel torbid’evo,
quando l’Italia
Fu data a balia,
Di casi atroci ne avvenner
molti:
Ma ai nostri tempi,
civili e colti,
Spose e mariti,
popoli e troni
Son tutti buoni.