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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • ZULIA
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ZULIA

       Sull’incantato Bosforo,

Passeggiava Zulìa, la rosellana,

Rapita in mesto fantasie d’amor.

       Un dì la vide il giovane

Sir di Bisanzio, e la creò sultana;

Ma pria di tutto aver voleane il cor.

       Ambre, alabastri e porpore

Sparse dovunque; e agli occhi di Zulìa

Mostrò d’ori e di gemme ampio tesor,

       E dalla intenta vergine

Il bellissimo re della Turchia

Ottenne gli occhi, ma non n’ebbe il cor.

       Volò in battaglia; e i perfidi

Vinse fratelli di Zulìa: ma festa

Non menò de’ caduti il vincitor:

       Tolti alla morte e liberi

Anzi li volle: e dalla vergin mesta

Ottenne i baci, ma non n’ebbe il cor.

       Dimenticò le vigili

Cure del regno; e in erma navicella

Errò con lei degli astri allo splendor;

       Pianse alle sue ginocchia,

E dalla frale giovinetta bella

Ebbe gli amplessi, ma non n’ebbe il cor!

            Ecco, una sera i portici

Dell’assopito Arème

Suonar di grida, e un turbine

Di spade, e cento fiaccole

Per le agitate tenebre

Confusamente errar;

            E il regnator che freme

Cieco, e l’orrenda sciabola

Sfonda de’ suoi giannizzeri

Nel petto; e quasi l’angelo

Dello sterminio appar!,

            Che fu?… Zulìa, la tenera

Zulìa deluso ha tutti.

E quella notte naviga

Dell’Ellesponto i flutti,

Fuggendo alle inamabili

Cortine e ai minareti

Lieti — di luce e fior,

            Per ricercar men cerule

Onde, men dolci venti,

Ma più serene e libere

Gioie, e più santi gemiti,

E non spïati accenti

E non temuti amor!

            E questi amori arrisero

Alla fuggente?… E il roseo

Labbro di lei s’aperse

Più molle vita a suggere

Da meno ardente ciel?…

            No. Sue parole agli alberi

Selvaggi, alle stellate

Tenebre, al mar proferse,

Ma sempre inascoltate.

E un bruno e mesto viso,

E un core e un intelletto,

Che indovinasse i subiti

Misterii delle lacrime

E i lampi del sorriso

Con delicato affetto

D’amante e di fratel

            Mai più non ebbe. Oh povera

Zulìa, tu passi e canti

Lunghesso le fantastiche

Riviere di Granata:

E le fanciulle amanti

Ti credono la fata,

Che giunge a vol dai floridi

Paesi delle Urì

            Per rivelare ai forti

Le pugne e le vittorie,

E sulle aperte e timide

Palme spïar le sorti,

E solvere i segreti

Dal calice dei fiori,

E derivar gli oroscopi

Dal raggio dei pianeti,

E a quïetar gli ardori

Notturni delle vergini,

Vaticinarne i talami

Allo spuntar del dì.

       Così tu passi; e il crine hai sempre in fiore.

Ma il povero tuo core

Vuoto è d’amore!

E vai pregando. che il dolor ti porti

Giù nell’anguste e forti

Case dei morti!

       Pur ti credon felice allor che suoni,

O meni danze, o doni

Filtri e canzoni;

       Ma nessuno, del mondo a esplorar viene

Di che rea febbre piene

T’ardon le vene.

       Nessun vede, cogli occhi, il miserando

Stral che ti piaga, quando

Passi cantando,

       E miri un giovincel, che l’orme affretta

Sull’orme alla diletta

Sua giovinetta,

       E tra le siepi e le solinghe aiuole,

Al tramontar del sole,

Cerca vïole,

       Per poi deporle dolcemente nelle

Mani odorose e belle;

Due gigli anch’elle.

«T’amo,» ella disse al venticel segreto,

«T’amo,» al lucente e lieto

Fior del roseto:

       Ma un triste grido il venticel rispose,

E curve e dolorose

Pianser le rose.

       Allor con quella brama intima acuta

Del cor che risaluta

L’età perduta,

       Pensò la mesta al suo golfo lontano.

E sospirò, che in vano

Piacque al sultano.

       Dell’incantato Bosforo

Ai palmeti tornò la rosellana.

Ma non più accesa in fantasie d’amor.

Ben la rivide il giovine

Sir di Turchia. Ma un’altra era sultana,

Che insiem cogli occhi gli avea dato il cor.

Ambre, alabastri e porpore

I sogni della povera Zulìa

Turbano adesso, e i drappi assiri e l’ôr:

Ma gli ebbe un’altra vergine

Dal bellissimo re della Turchia,

Che insiem coi baci gli avea dato il cor:

Mesta Zulìa rivisita

I noti calli, e va soletta a sera,

Or sospirando al roseo color

D’una fuggente nuvola,

Ora al vol d’una rondine leggiera,

Ora alle foglie pallide d’un fior.

Oh fiorellino! oh rondine

Cara! oh rosata nuvola fuggente!

Fate un canto di morte e di dolor:

Poi lo cantate al gelido

Origlier della vergine, che sente

L’amaro tedio della vita, e muor.

 




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