A LUIGIA ABBADIA
Cara e gentil
penisola
Nel riso dei
pianeti,
Nel bacio delle
vergini,
Nel canto dei poeti;
Cara e gentil,
siccome
Il musical tuo nome
Proferto in ogni
barbara
Lingua con dolce
suon;
Ama costei, che
ogn’intima
Aura di tua favella
Sente, e la fa
dall’agili
Corde vibrar più
bella;
Ama costei, che
tanto
Coglie sorriso e
pianto,
Quant’è dall’Etna al
Vèsulo,
E te lo reca in don.
Ella vagì tra i
liguri
Fior, sotto l’ombre
care
De’ cedri. E i
malinconici
Venti, le stelle, il
mare,
Il turbine, la
calma,
Tutto sonò in
quell’alma;
E una spontanea
musica
Furono i suoi
pensier.
Si fe’ narrar le
istorie
D’Imelda e di
Giulietta.
E, in voluttà
fantastiche
Chiusa la
giovinetta,
Il doloroso arcano
Pensò del pianto
umano,
E in quella facil
estasi
Pianse, e conobbe il
ver.
Con tutti allora il
parvolo
Suo cor tremò
diviso.
Ebbe pei mesti un
gemito,
Pei fortunati un
riso,
E da quel vario moto
Agile, ardente,
ignoto,
Come da sacra
tenebra,
L’arte, raggiando,
uscì.
Così questa
ineffabile
Forza, che sente e
crea,
Chiude in eterne
immagini
La fuggitiva idea;
Ed è vittoria e
regno
Dell’ispirato
ingegno
Quella parola
artefice,
Che al mondo e al
ciel rapì.
Ed è parola il
gelido
Marmo, la pinta
tela;
Questo color,
quest’impeto,
Che il mio pensier
rivela,
E la canzon d’amore,
Che pria ti nasce in
core,
Poi sulle ardenti
porpore
Delle tue labbra
vien.
Canta, sì, canta; e
provoca
Col musical tesoro
Le rigid’alme.
Immemore
Di chi l’invôlga,
onoro
L’arte del canto
unita
Con un pensier di
vita,
Come fremea sugli
attici
Campi a Tirtèo nel
sen.
Italia mia, di
martiri
Divino asil, bagnato
Dalle immortali
lacrime
Di Dante e di
Torquato,
Misera e sacra terra
Piena d’orrenda
guerra,
Che die’ retaggio ai
popoli
D’ignavia e di
dolor.
Su te si volve un
secolo
Lieto di molta
speme.
Ma nel tuo sen
combattono
Avverse forze
insieme.
Voleri accesi e
lenti,
Coraggi e
pentimenti,
Pie le parole, e
indomito
L’acre desío
dell’or.
Forse un immenso
palpito
In questo dubbio
mondo
Desterà Dio.
Dell’inclite
Acque eridanie in
fondo
Fors’è la gemma
ascosa,
Che all’indolente
sposa
Più glorïosi talami
Desiderar farà.
E tu, fanciulla,
indocile
Degli evirati
accenti,
Cantar tu possa il
cantico
Che aspettano le
genti!
E in quell’eccelso
agone
Raccoglierai,
corone,
Quai non fioriro al
libero
Sol della greca età.