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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • A LUIGIA ABBADIA
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A LUIGIA ABBADIA

Cara e gentil penisola

Nel riso dei pianeti,

Nel bacio delle vergini,

Nel canto dei poeti;

Cara e gentil, siccome

Il musical tuo nome

Proferto in ogni barbara

Lingua con dolce suon;

Ama costei, che ogn’intima

Aura di tua favella

Sente, e la fa dall’agili

Corde vibrar più bella;

Ama costei, che tanto

Coglie sorriso e pianto,

Quant’è dall’Etna al Vèsulo,

E te lo reca in don.

Ella vagì tra i liguri

Fior, sotto l’ombre care

De’ cedri. E i malinconici

Venti, le stelle, il mare,

Il turbine, la calma,

Tutto sonò in quell’alma;

E una spontanea musica

Furono i suoi pensier.

Si fe’ narrar le istorie

D’Imelda e di Giulietta.

E, in voluttà fantastiche

Chiusa la giovinetta,

Il doloroso arcano

Pensò del pianto umano,

E in quella facil estasi

Pianse, e conobbe il ver.

Con tutti allora il parvolo

Suo cor tremò diviso.

Ebbe pei mesti un gemito,

Pei fortunati un riso,

E da quel vario moto

Agile, ardente, ignoto,

Come da sacra tenebra,

L’arte, raggiando, uscì.

Così questa ineffabile

Forza, che sente e crea,

Chiude in eterne immagini

La fuggitiva idea;

Ed è vittoria e regno

Dell’ispirato ingegno

Quella parola artefice,

Che al mondo e al ciel rapì.

Ed è parola il gelido

Marmo, la pinta tela;

Questo color, quest’impeto,

Che il mio pensier rivela,

E la canzon d’amore,

Che pria ti nasce in core,

Poi sulle ardenti porpore

Delle tue labbra vien.

Canta, sì, canta; e provoca

Col musical tesoro

Le rigid’alme. Immemore

Di chi l’invôlga, onoro

L’arte del canto unita

Con un pensier di vita,

Come fremea sugli attici

Campi a Tirtèo nel sen.

Italia mia, di martiri

Divino asil, bagnato

Dalle immortali lacrime

Di Dante e di Torquato,

Misera e sacra terra

Piena d’orrenda guerra,

Che die’ retaggio ai popoli

D’ignavia e di dolor.

Su te si volve un secolo

Lieto di molta speme.

Ma nel tuo sen combattono

Avverse forze insieme.

Voleri accesi e lenti,

Coraggi e pentimenti,

Pie le parole, e indomito

L’acre desío dell’or.

Forse un immenso palpito

In questo dubbio mondo

Desterà Dio. Dell’inclite

Acque eridanie in fondo

Fors’è la gemma ascosa,

Che all’indolente sposa

Più glorïosi talami

Desiderar farà.

E tu, fanciulla, indocile

Degli evirati accenti,

Cantar tu possa il cantico

Che aspettano le genti!

E in quell’eccelso agone

Raccoglierai, corone,

Quai non fioriro al libero

Sol della greca età.

 




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