AL MIO PICCOLO ORIUOLO
Macchinetta gentile,
Che la vita e la
morte
In tuo tacito stile
Misuri all’uom, qual
sorte
Nel tuo breve
abitacolo
Oggi tornar ti fe’?
Smarrito, o in man
del ladro
Già ti credei , mio
vago
Orivolin leggiadro.
Reminiscenza e
immago
Di lieti dì, che
l’indice
Tuo numerò per me.
Quando m’accorsi
appena
Del maladetto evento
L’alma di cruccio
piena
Stetti; e poi dissi
al vento
Le male voci; e il
vedovo
Frugai nicchietto
invan.
Dagli iracondi
sfoghi
Pur non traendo
frutto,
Rifeci in mente i
luoghi,
Mi ripalpai per
tutto.
Ma sol pilucchi e
collera
Strinse la vacua
man.
Pensai che
sull’aurora
T’armai le corde, e
presi
Per te commento
all’ora
Meridiana, e scesi
Teco a rifar la
tessera.
Del tempo che volò.
Pensai che su me
chiusa
La giubba e il
ferraiuolo,
Colla selvaggia musa
Uscii romito e solo,
E che non piè, nè
gombito
Di ladroncel m’urtò.
Dov’eri or dunque?
L’ale
Forse tu avresti
messo
Però che sai da
quale
Tristezza io giaccia
oppresso
Quando ti guardo, e
rapida
Veggo passar l’età?
Lieve fuggendo, teco
Forse avrai detto;
«Or resti
L’amico nostro al
cieco
Tempo indiviso; i
mesti
Occhi a un quadrante
io dubito
Che più non volgerà.
Così gli erranti
sogni,
Le fantasie canore,
Coi rigidi bisogni
Delle fuggevoli ore
Non urteranno; e al
mobile
Cocchio de’ suoi
pensier
Dato in balia, men
negre
Vedrà passar le
cose,
E forse con allegre
Man fia che spanda
rose
Sulle milliarie
lapidi
Del suo mortal
sentier.»
Grazie ti rendo,
amico,.
Se ciò pensasti.
Intanto
Riedi al tuo nido
antico,
Tu mio compagno al
canto,
All’ira, al tedio,
al giubilo,
All’opra ed al
dolor.
Tu m’aspettavi, o
mio
Fedel, nella soletta
Stanza, posto in
oblio.
Or dunque in premio
accetta
Del tuo cortese
attendermi
Questo fermaglio
d’òr.
Perdona, se la bella
Tua libertà tu perdi
Nella stagion
novella;
Ma è cauto, ai dì
men verdi,
Quando ogni laccio
allentasi,
Gli amici incatenar.
Così più forte nodo
Avessi a Erina
ordito!
Che in miserevol
modo
Tu non m’avresti
udito
Lungo le insonni
tenebre,
Frequente sospirar.
Sta meco sempre. E
poi
Che di perpetui
affanni
Vittime ree siam
noi,
Per tanti miseri
anni.
Tre sole ore, ti
supplico,
Consentimi gioir.
Dammi, coll’ora
prima,
L’amor d’una
cortese;
Coll’altra, i ferri
lima
Del mio gentil
paese.
E da quest’ombre
insegnami,
Coll’ultima, a
partir.
Torino 1851.