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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • AL MIO PICCOLO ORIUOLO
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AL MIO PICCOLO ORIUOLO

Macchinetta gentile,

Che la vita e la morte

In tuo tacito stile

Misuri all’uom, qual sorte

Nel tuo breve abitacolo

Oggi tornar ti fe’?

Smarrito, o in man del ladro

Già ti credei , mio vago

Orivolin leggiadro.

Reminiscenza e immago

Di lieti dì, che l’indice

Tuo numerò per me.

Quando m’accorsi appena

Del maladetto evento

L’alma di cruccio piena

Stetti; e poi dissi al vento

Le male voci; e il vedovo

Frugai nicchietto invan.

Dagli iracondi sfoghi

Pur non traendo frutto,

Rifeci in mente i luoghi,

Mi ripalpai per tutto.

Ma sol pilucchi e collera

Strinse la vacua man.

Pensai che sull’aurora

T’armai le corde, e presi

Per te commento all’ora

Meridiana, e scesi

Teco a rifar la tessera.

Del tempo che volò.

Pensai che su me chiusa

La giubba e il ferraiuolo,

Colla selvaggia musa

Uscii romito e solo,

E che non piè, nè gombito

Di ladroncel m’urtò.

Dov’eri or dunque? L’ale

Forse tu avresti messo

Però che sai da quale

Tristezza io giaccia oppresso

Quando ti guardo, e rapida

Veggo passar l’età?

Lieve fuggendo, teco

Forse avrai detto; «Or resti

L’amico nostro al cieco

Tempo indiviso; i mesti

Occhi a un quadrante io dubito

Che più non volgerà.

Così gli erranti sogni,

Le fantasie canore,

Coi rigidi bisogni

Delle fuggevoli ore

Non urteranno; e al mobile

Cocchio de’ suoi pensier

Dato in balia, men negre

Vedrà passar le cose,

E forse con allegre

Man fia che spanda rose

Sulle milliarie lapidi

Del suo mortal sentier.»

Grazie ti rendo, amico,.

Se ciò pensasti. Intanto

Riedi al tuo nido antico,

Tu mio compagno al canto,

All’ira, al tedio, al giubilo,

All’opra ed al dolor.

Tu m’aspettavi, o mio

Fedel, nella soletta

Stanza, posto in oblio.

Or dunque in premio accetta

Del tuo cortese attendermi

Questo fermaglio d’òr.

Perdona, se la bella

Tua libertà tu perdi

Nella stagion novella;

Ma è cauto, ai dì men verdi,

Quando ogni laccio allentasi,

Gli amici incatenar.

Così più forte nodo

Avessi a Erina ordito!

Che in miserevol modo

Tu non m’avresti udito

Lungo le insonni tenebre,

Frequente sospirar.

Sta meco sempre. E poi

Che di perpetui affanni

Vittime ree siam noi,

Per tanti miseri anni.

Tre sole ore, ti supplico,

Consentimi gioir.

Dammi, coll’ora prima,

L’amor d’una cortese;

Coll’altra, i ferri lima

Del mio gentil paese.

E da quest’ombre insegnami,

Coll’ultima, a partir.

Torino 1851.

 




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