A UN ROSIGNOLO
Covato nel materno
Nido, spuntasti al
dì. La molle piuma
Ti crebbe al mite
april. Modesto e solo
Nella selvetta
canti,
Fantastico
usignuolo,
Canti all’alba, alla
luna, al mezzogiorno,
Or lieto, ora
dolente,
Se è ver che la
natura,
Come t’ha dato la
canzon d’amore,
Ti desse il cor che
sente:
Così, simile al
fiore,
Alla notturna
luccioletta e al vento,
Vita gentil, tu
nasci,
E vai cantando. Vai
Via della terra; e
forse
Nulla comprendi, o
sai.
Quanta del nostro
seme
Parte che pensa e
geme,
Rosignol fortunato,
Vorrebbe al par di
te, cedere al fato!
Vorrebbe, e non l’è
dato,
Chè ’l pensier
l’affatica e il duol la scarna,
E ’l tempo immane e
morte la spaventa,
Però che la
comprende;
Anzi par che la
senta
Prima ancor del suo
dì. Tu sulla verde
Tua frasca
mattineggi;
E non vedi che ’l
ciel, le ripe intorno
E il pastor colla
mandra, a cui non badi;
Chè te possiede il
canto,
Tua legge antica.
Intanto
Battagliano i
mortali
Sopra ogni plaga. In
ciel qualche pianeta
Consumando si va.
Simili a foglie
Cadon le umane vite.
E indifferente
Le insepolcra
l’obblio.
E la speme e l’error
diversamente
Mena le turbe.
Addio,
Addio cantor soave.
Forse diman morrai
privo d’affanno,
E di sgomento. E il
breve
Loco de’ tuoi riposi
Ignoreran le genti.
Di te chi mai
s’avvede?
Nè il bosco rimarrà
senza tuoi pari,
Nè l’alba, nè la
luna
Senza i gorgheggi
usati.
Ahi! perché v’ami
alcuna
Alma gentil v’è
d’uopo,
Augelletti
dell’aria,
Perder la libertà:
dal colorato
Carcere alzar la
voce, e a chi vi pasce,
Il tedio consolar
del dì che fugge.
Allor carezze e baci
Di bimbi e
verginelle
Vi piovon sopra. Chè
l’avara schiatta
Nulla dà mai per nulla.
Nè forse il duol vi
preme
D’essere in ceppi!
Ignoto
V’è dunque il lutto
della terra nostra?
Veracemente? Io ’l
credo,
Perchè le melodie
voi neghereste
All’uom che
v’imprigiona.
O forse a voi natura
Più che a noi,
generosa indole dona?
Ah! no. Non è la
prole
Dell’uom cui pianga
o rida
Il vostro canto. È
quest’arcana immensa
Beltà dell’universo.
Oh rosignol, divino
Flauto de’ boschi,
avessi
I tuoi notturni
carmi,
Come ho l’aura
immortal del mio destino.
Chi per selva, o
cittade
Disamar mi potría?
chi somigliarmi?
Ma desïar che vale?
Io non ho le
vostr’ale,
Nè voi le mie.
Cantiamo,
Augelletti, cantiam,
finchè la scura
Notte chiuda su noi
l’ultima porta,
E Dio trasformi
questa poca e morta
In immortal natura.
Allora, allor
soltanto
Volo perpetuo e canto
Avremo e libertà.
D’ira e di frode
Troppo ci mette in
gara
Quest’aiuoletta
avara,
Che dalle savie
lingue ha poca lode.