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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • A UN ROSIGNOLO
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A UN ROSIGNOLO

Covato nel materno

Nido, spuntasti al dì. La molle piuma

Ti crebbe al mite april. Modesto e solo

Nella selvetta canti,

Fantastico usignuolo,

Canti all’alba, alla luna, al mezzogiorno,

Or lieto, ora dolente,

Se è ver che la natura,

Come t’ha dato la canzon d’amore,

Ti desse il cor che sente:

Così, simile al fiore,

Alla notturna luccioletta e al vento,

Vita gentil, tu nasci,

E vai cantando. Vai

Via della terra; e forse

Nulla comprendi, o sai.

Quanta del nostro seme

Parte che pensa e geme,

Rosignol fortunato,

Vorrebbe al par di te, cedere al fato!

Vorrebbe, e non l’è dato,

Chè ’l pensier l’affatica e il duol la scarna,

E ’l tempo immane e morte la spaventa,

Però che la comprende;

Anzi par che la senta

Prima ancor del suo dì. Tu sulla verde

Tua frasca mattineggi;

E non vedi che ’l ciel, le ripe intorno

E il pastor colla mandra, a cui non badi;

Chè te possiede il canto,

Tua legge antica. Intanto

Battagliano i mortali

Sopra ogni plaga. In ciel qualche pianeta

Consumando si va. Simili a foglie

Cadon le umane vite. E indifferente

Le insepolcra l’obblio.

E la speme e l’error diversamente

Mena le turbe. Addio,

Addio cantor soave.

Forse diman morrai privo d’affanno,

E di sgomento. E il breve

Loco de’ tuoi riposi

Ignoreran le genti.

Di te chi mai s’avvede?

Nè il bosco rimarrà senza tuoi pari,

Nè l’alba, nè la luna

Senza i gorgheggi usati.

Ahi! perché v’ami alcuna

Alma gentil v’è d’uopo,

Augelletti dell’aria,

Perder la libertà: dal colorato

Carcere alzar la voce, e a chi vi pasce,

Il tedio consolar del dì che fugge.

Allor carezze e baci

Di bimbi e verginelle

Vi piovon sopra. Chè l’avara schiatta

Nulla dà mai per nulla.

Nè forse il duol vi preme

D’essere in ceppi! Ignoto

V’è dunque il lutto della terra nostra?

Veracemente? Io ’l credo,

Perchè le melodie voi neghereste

All’uom che v’imprigiona.

O forse a voi natura

Più che a noi, generosa indole dona?

Ah! no. Non è la prole

Dell’uom cui pianga o rida

Il vostro canto. È quest’arcana immensa

Beltà dell’universo.

Oh rosignol, divino

Flauto de’ boschi, avessi

I tuoi notturni carmi,

Come ho l’aura immortal del mio destino.

Chi per selva, o cittade

Disamar mi potría? chi somigliarmi?

Ma desïar che vale?

Io non ho le vostr’ale,

Nè voi le mie. Cantiamo,

Augelletti, cantiam, finchè la scura

Notte chiuda su noi l’ultima porta,

E Dio trasformi questa poca e morta

In immortal natura.

Allora, allor soltanto

Volo perpetuo e canto

Avremo e libertà. D’ira e di frode

Troppo ci mette in gara

Quest’aiuoletta avara,

Che dalle savie lingue ha poca lode.

 




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