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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • CANTO D’IGEA
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CANTO D’IGEA

(Dall’Armando)

A chi la zolla avita

Ara co’ propri armenti,

E le vigne fiorenti

Al fresco olmo marita,

E i casalinghi dèi

Bene invocando, al sole

Mette gagliarda prole

Da’ vegeti imenei:

A chi le capre snelle

Sparge sul pingue clivo,

O pota il sacro olivo

Sotto clementi stelle:

A chi, le braccia ignude,

Nel ciclopeo travaglio,

Picchia il paterno maglio

Sulla fiammante incude;

A questi Igea dispensa

Giocondi operatori,

I candidi tesori

Del sonno e della mensa:

Le poderose spalle

E i validi toraci

Io formo a questi audaci

Del monte e della valle.

Nè men chi si periglia

Coi flutti e le tempeste

Del nostro fior si veste,

Se il mar non se lo piglia:

Nè men chi suda in guerra

Porta le mie corone,

Se, innanzi il dì, nol pone

Lancia nemica in terra.

Ma guai chi tenta il volo

Per vie senza ritorni!

Languono i rosei giorni

Al vagabondo e solo.

Perché, mal cauti, il varco

Dare alla mente accesa?…

Corda che troppo è tesa

Spezza sè stessa e l’arco.

Dal dì che il mondo nacque,

Io, ch’ogni ben discerno,

Scherzo col riso eterno

Degli árbori e dell’acque;

E dalla bocca mia

Spargo, volenti i numi,

Aure di vita e fiumi

Di forza e d’allegria.

Sul tramite beato

Però più d’uno è vinto

Per doloroso istinto

O iniquità del Fato:

Ma può levarsi pieno

Di gagliardía divina,

S’ei la sua testa china

Nel mio potente seno.

Dal sol che spunta e cade

A voi nella pupilla,

Dall’aria che vi stilla

Il ben delle rugiade;

Dai rivi erranti e lieti,

Dal rude fior dei vepri,

Dal fumo dei ginepri,

Dal pianto degli abeti;

Da ogni virtù che il sangue

E il corpo vi compose,

Rispunteran le rose

Sul cespite che langue;

E i liberi bisogni,

Che risentir si fanno,

Nell’ombra uccideranno

Le amare veglie e i sogni.

Salvate, oimè! le membra

Dal tarlo del pensiero!

A voi daccanto è il vero

Più che talor non sembra.

L’uom che lo chiese altrove

Dannato è sul macigno,

E lo sparvier maligno

Fa le vendette a Giove.

In voi, terrestri, mesce

Vario vigor Natura;

Ma chi non tien misura,

Alla gran madre incresce.

Destrier che l’ira invade,

Fatto demente al corso,

Sui piè barcolla, il morso

Bagna di sangue… e cade.

Perchè affrettar l’arrivo

Della giornata negra?

Ne’ baci miei t’allegra,

O brevemente vivo!

Progenie impoverita,

Che cerchi un ben lontano,

Nella mia rosea mano

È il nappo della vita.

 




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