CANTO D’IGEA
(Dall’Armando)
A chi la zolla avita
Ara co’ propri
armenti,
E le vigne fiorenti
Al fresco olmo
marita,
E i casalinghi dèi
Bene invocando, al
sole
Mette gagliarda
prole
Da’ vegeti imenei:
A chi le capre snelle
Sparge sul pingue
clivo,
O pota il sacro
olivo
Sotto clementi
stelle:
A chi, le braccia
ignude,
Nel ciclopeo travaglio,
Picchia il paterno
maglio
Sulla fiammante
incude;
A questi Igea dispensa
Giocondi operatori,
I candidi tesori
Del sonno e della
mensa:
Le poderose spalle
E i validi toraci
Io formo a questi
audaci
Del monte e della
valle.
Nè men chi si periglia
Coi flutti e le
tempeste
Del nostro fior si
veste,
Se il mar non se lo
piglia:
Nè men chi suda in
guerra
Porta le mie corone,
Se, innanzi il dì,
nol pone
Lancia nemica in
terra.
Ma guai chi tenta il volo
Per vie senza
ritorni!
Languono i rosei
giorni
Al vagabondo e solo.
Perché, mal cauti,
il varco
Dare alla mente
accesa?…
Corda che troppo è
tesa
Spezza sè stessa e
l’arco.
Dal dì che il mondo nacque,
Io, ch’ogni ben
discerno,
Scherzo col riso
eterno
Degli árbori e
dell’acque;
E dalla bocca mia
Spargo, volenti i
numi,
Aure di vita e fiumi
Di forza e
d’allegria.
Sul tramite beato
Però più d’uno è
vinto
Per doloroso istinto
O iniquità del Fato:
Ma può levarsi pieno
Di gagliardía
divina,
S’ei la sua testa
china
Nel mio potente
seno.
Dal sol che spunta e cade
A voi nella pupilla,
Dall’aria che vi
stilla
Il ben delle
rugiade;
Dai rivi erranti e
lieti,
Dal rude fior dei
vepri,
Dal fumo dei
ginepri,
Dal pianto degli
abeti;
Da ogni virtù che il sangue
E il corpo vi
compose,
Rispunteran le rose
Sul cespite che langue;
E i liberi bisogni,
Che risentir si
fanno,
Nell’ombra
uccideranno
Le amare veglie e i
sogni.
Salvate, oimè! le membra
Dal tarlo del
pensiero!
A voi daccanto è il
vero
Più che talor non
sembra.
L’uom che lo chiese
altrove
Dannato è sul
macigno,
E lo sparvier
maligno
Fa le vendette a
Giove.
In voi, terrestri, mesce
Vario vigor Natura;
Ma chi non tien
misura,
Alla gran madre
incresce.
Destrier che l’ira
invade,
Fatto demente al
corso,
Sui piè barcolla, il
morso
Bagna di sangue… e
cade.
Perchè affrettar l’arrivo
Della giornata
negra?
Ne’ baci miei
t’allegra,
O brevemente vivo!
Progenie impoverita,
Che cerchi un ben
lontano,
Nella mia rosea mano
È il nappo della
vita.