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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • IDEALE
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IDEALE

Ingenii custos, si vis tu nata Deorum,

Si vis, non moriar.

Io con te parlo, tu il sai, nell’ora

Che il fatuo foco dentro la valle

La tenue cima de’ giunchi sfiora

E al pellegrino contrasta il calle:

Al pellegrino che, bianco in volto,

Dentro quel foco mira un sepolto.

Io parlo teco, fanciulla, quando

L’alba è vermiglia sulla montagna,

E alla ginestra rileva il blando

Capo e di fresche perle la bagna,

Mentre negli orti la capinera

Canta l’idillio di primavera.

Io con te parlo quando la greve

Aura le foglie semina al piano,

O a larghe falde casca la neve

Sovra il tugurio del mandrïano:

Non spunta giorno, sereno o bieco,

In ch’io, fanciulla, non parli teco.

Parlo negli atrii, lungo la via,

Parlo fra i campi, sotto le stelle;

Geme col vento la voce mia,

Scoppia sonora colle procelle;

Nel santüario, prosteso all’ara,

Sempre a te parlo, fanciulla cara.

Dal grembo d’Eva tu non sei nata,

Nè il crin ti veste rosa mortale;

Tu non hai bruna verga di fata;

Dea dell’Olimpo, non t’armi d’ale:

Dolce, segreto, libero, intero

S’apre il tuo mondo nel mio pensiero.

Tu meco piangi, meco sorridi

Di queste nostre favole oscure:

Le tue speranze tu mi confidi,

Io ti confido le mie paure;

L’ora del tempo del par ci preme,

Cara fanciulla, sognando insieme.

Nel fresco raggio del tuo sembiante

Innamorarmi non mi vergogno;

Coi crin già bianchi, tacito amante,

Io notte e giorno seguo il mio sogno;

Sinché la Parca, forse domani,

Non ne recida gli stami arcani.

Questa parola d’un vel d’affanno

Deh, non t’oscuri l’amabil viso!

In tristi giorni vivere è danno,

Pur consolati dal tuo sorriso;

Eppoi, la gloria d’un grande amore

Meglio si sente quando si muore.

So ben che sopra defunta spoglia

Brevi dell’uomo durano i lai,

Come su pioppo di morta foglia

Canto d’augello non dura assai;

Chè chi dell’oggi segue le larve

Raro sospira su ciò che sparve.

Ma i’ credo e spero che, chiuse l’ossa

In pochi palmi d’aiuola verde,

Tu qualche giglio sulla mia fossa

Darai piangendo; se non si perde

Nell’infinito mar dell’oblio

La navicella del canto mio.

Però, in quel giorno, come tu stessa,

Prenderò il volo per altri mondi;

Tu me n’hai fatto la gran promessa,

E tu, fanciulla, me ne rispondi,

Alto levando la nivea mano

Verso un pianeta lontan lontano.

Dunque, o fanciulla, voghiam sull’acque,

Voghiam cercando quel dolce porto;

S’io t’ho seguita, come a te piacque,

E tu mi guida, felice o morto,

Verso la piaga dove tu dèi

Stringerti meco d’altri imenei.

Bella nocchiera, su questa barca

La tua canzone cantami intanto:

Oh come, oh come lievi si varca

Dietro la nota del dolce canto!

Oh come, oh come tutta s’infiora

Di rose eterne la nostra prora!

China il soave capo tuo biondo,

Angiolo stanco, sovra il mio seno:

Mentre alle mura di Faramondo

Arminio i carri lancia dal Reno,

Dormi, o fanciulla. Meglio è sognare

Sulla stellata conca del mare.

Viareggio, 1870.

 




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