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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • PACHITA
    • II
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II

Sul terzo vespro Pachita invero

Della bizzarra celia stupia,

Pur sull’intrigo del caballero

Le galoppava la fantasia,

Nulla aspettando. Ma in questo mentre

Dati alla porta tre colpi udì;

Quindi una voce: «Da mortal ventre

Il non concètto cavallo è qui».

Ell’apre e vede di marmo bianco

Come scolpito fosse in Corinto

Nè certo sceso da mortal fianco

Il bel cavallo di Carlo Quinto:

Fosse comunque, l’ardito ingegno

Ella del ladro molto lodò,

E il caballero, d’ossequio in segno,

Curvo un ginocchio, si congedò.

Dopo tre giorni facea gran vento,

Facea gran pioggia: ma irrigidita

Senza pur anco dare un lamento

Al suo balcone sedea Pachita:

E già tremava sul dubbio arrivo,

Ma udì tre colpi, corse ad aprir….

E alla Pachita d’un foco vivo

Le belle guance si ricoprir.

«Dolce mia dama, poco or mi resta

Per ch’io consegua la vostra mano,

Ecco la spiga che mi fu chiesta

Non tolta ai campi ma all’oceàno.»

Ed ei di perle straniere al mondo

Trasse una spiga che la stupì,

Poi con un riso lieto e profondo

Il caballero se ne partì.

D’amor frattanto Pachita accesa

Nei dì seguenti non ha più pace:

«Ahimè alla terza nefanda impresa

Perché ho tentato l’anima audace?

Cavallo e spiga certo ei mi diede,

Ma il Re in catene come il potrà?

E se ciò manca, m’è indizio e fede

Che queste nozze Dio non vorrà».

Così dicendo venia la sera

Ultima; e in cielo sorgea la luna:

E di Pachita per la costiera

La insofferente pupilla bruna

Giva spïando se mai vedesse

O poca o molta gente arrivar,

O almen due soli; ma dalle spesse

Macchie sol uno vede spuntar.

Quest’un conosce che incerto e lasso

Alla sua porta sosta e non batte:

Ella raddoppia, poi frena il passo

E una gran pugna fra sé combatte:

Vado?… non vado?… Ma poi… che temo?

Tra noi, dirassi, celiato fu;

E dopo alquanto che riso avremo

Chiusa la porta nol vedrò più.

Scese ed aperse: «Chè non picchiasti,

Bel caballero?» «C’era un imbroglio;

Le mani ho avvinte.» «La celia basti;

Cavallo e spiga render vi voglio».

Dolce mia dama, l’istante vola,

Io le tre prove compiute ho già;

Don Pedro è in ceppi: tien la parola

Il Re Don Pedro quando la dà».

Qui ginocchiossi. l’aria dei viso,

Degli occhi il lampo, l’augusta voce

Ruppe il mistero: con un sorriso

Ella da terra lo alzò veloce

Poi tutto tacque. Don Pedro a Corte

Per quella notte non ospitò,

E dopo un mese, cangiando sorte,

Di Spagna al trono Pachita andò.

 




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