BACIO DI GIOVE
… sunt laeva
Tonantis
Oscula.
Frammento antico
Corcossi Giove sulla madre
Terra,
Che di bellezza giovanil
vestita,
Dormia sommersa
nell’ambrosia luce.
Sotto l’insania del divino
amplesso,
Ella fu pregna e partorì la
schiatta
Dei futuri giganti. Eran
dapprima
Pargoli in grembo di petrose
cune,
Nutriti ai fochi dell’Olimpo
e ai venti
Della rigida selva. Orma di
riso
Però non apparia su quelle
fronti,
Non luceva in quegli occhi
orma di pianto;
E il dì che uscîr col
giovinetto piede
Tentando i passi, trepidâr
d’intorno
A quelli strani e nomadi
fanciulli
La montagna e la valle. E
quando il giro
Di più lune fu vôlto, essi
in altezza
Superaron le querce, e il
minaccioso
Tauro in possanza, e nelle
tetre fauci
La lupa e il tigre ne’
fulminei sdegni.
Quindi tesero gli archi; e
il primo sangue
Stillante fuor dalla portata
preda
Scaldò del fiero cacciator
le spalle;
Fumâr nelle caverne e sulle
rupi,
Coronate di falchi e di
bufere,
Le mense enormi; e sui
villosi petti
De’ coloni le figlie e de’
pastori
Imparâro il connubio. Indi
risolta
Tra i frassini del Pelio e
dell’Olimpo
Fu la perfidia, e cominciò la
pugna
Dei fulminati. E Prometèo
sull’Ida
La grifagna tormenta, e nel
macigno
Urla Encelado sempre, e
Flegra tutta
De’ combusti cadaveri
nereggia.
Questo fruttò dalle
incestate nozze
E dai baci di Giove. E non
per tanto
Ridon nell’aria le gioconde
stelle,
Ornano a’ fior le giovinette
il crine,
E ai vivi e ai morti le
materne braccia,
Mentre cantan le Parche,
apre la Terra.
Figli siam noi di questi
padri! e pace
A noi l’avara carità de’
Numi
Consente appena in quello
stesso grembo
Che produsse il misfatto. O
bella emersa
Dalle spume del mar, bella
Afrodite,
Fior di Cipro e di Milo, i
dì son brevi:
Tu ce li allegra: della vita
il nappo
Sente d’amaro; e tu ce lo
incorona
Di molle ambrosia: a noi
l’ultima luce
Spunta imprevisa; non
lasciar che il nembo,
Del suo tristo color ce la
dipinga
Sul cristal della stanza ove
domani
Più non saremo. Benedetti i
pochi
Che s’alzaron nell’armi, e
al ferreo squillo
Delle trombe guerriere han
dato in campo
L’anima e il sangue. Nel
felice Eliso
Già raccolti son essi; e se
non mènte
La parola de’ tempi, al capo
in giro
Recan la fronda che i più
degni eterna.