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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • BACIO DI GIOVE
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BACIO DI GIOVE

… sunt laeva Tonantis

Oscula.

 

Frammento antico

 

Corcossi Giove sulla madre Terra,

Che di bellezza giovanil vestita,

Dormia sommersa nell’ambrosia luce.

Sotto l’insania del divino amplesso,

Ella fu pregna e partorì la schiatta

Dei futuri giganti. Eran dapprima

Pargoli in grembo di petrose cune,

Nutriti ai fochi dell’Olimpo e ai venti

Della rigida selva. Orma di riso

Però non apparia su quelle fronti,

Non luceva in quegli occhi orma di pianto;

E il dì che uscîr col giovinetto piede

Tentando i passi, trepidâr d’intorno

A quelli strani e nomadi fanciulli

La montagna e la valle. E quando il giro

Di più lune fu vôlto, essi in altezza

Superaron le querce, e il minaccioso

Tauro in possanza, e nelle tetre fauci

La lupa e il tigre ne’ fulminei sdegni.

Quindi tesero gli archi; e il primo sangue

Stillante fuor dalla portata preda

Scaldò del fiero cacciator le spalle;

Fumâr nelle caverne e sulle rupi,

Coronate di falchi e di bufere,

Le mense enormi; e sui villosi petti

De’ coloni le figlie e de’ pastori

Imparâro il connubio. Indi risolta

Tra i frassini del Pelio e dell’Olimpo

Fu la perfidia, e cominciò la pugna

Dei fulminati. E Prometèo sull’Ida

La grifagna tormenta, e nel macigno

Urla Encelado sempre, e Flegra tutta

De’ combusti cadaveri nereggia.

Questo fruttò dalle incestate nozze

E dai baci di Giove. E non per tanto

Ridon nell’aria le gioconde stelle,

Ornano a’ fior le giovinette il crine,

E ai vivi e ai morti le materne braccia,

Mentre cantan le Parche, apre la Terra.

Figli siam noi di questi padri! e pace

A noi l’avara carità de’ Numi

Consente appena in quello stesso grembo

Che produsse il misfatto. O bella emersa

Dalle spume del mar, bella Afrodite,

Fior di Cipro e di Milo, i dì son brevi:

Tu ce li allegra: della vita il nappo

Sente d’amaro; e tu ce lo incorona

Di molle ambrosia: a noi l’ultima luce

Spunta imprevisa; non lasciar che il nembo,

Del suo tristo color ce la dipinga

Sul cristal della stanza ove domani

Più non saremo. Benedetti i pochi

Che s’alzaron nell’armi, e al ferreo squillo

Delle trombe guerriere han dato in campo

L’anima e il sangue. Nel felice Eliso

Già raccolti son essi; e se non mènte

La parola de’ tempi, al capo in giro

Recan la fronda che i più degni eterna.

 




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