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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • PRIMAVERA
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PRIMAVERA

Isis, vere novo, cunas thalamosque tuetur,

Magna parens.

Primavera non vien fuor che una volta

A fiorir l’anno: e quando

Dal canestro versò l’ultima rosa,

La bella giovinetta in sè raccolta

Parte da noi, lasciando

Un soave ricordo in ogni cosa.

Delle rugiade il pianto

Resta all’alba: alla siepe un fil d’odore:

A qualche gelso un canto

Di solingo augelletto:

E resta all’uman petto

Una malinconia che sembra amore.

Poi s’imbionda la spica

Al povero colono:

Sotto i cocenti lampi

Di Febo s’affatica

Il falciator pe’ campi:

Di plaustri le callaie

Stridono: e, misurato alle promesse,

Ne’ portici e per l’aie

Splende l’ôr della messe.

E tutto questo è dono

Dell’olimpica Figlia,

Che va pellegrinando

Sotto le terre; e non so come o quando,

Dolcemente scompiglia

I piccioletti germi e li conduce

Fuor nella rosea luce.

Indi s’avanza il dio

Che aggioga al carro i pardi:

E fiamme dagli sguardi

Lancian Polinnia e Clio,

Mentre il sacro licor ferve e s’affina

Nell’anfora divina,

E coi corimbi in testa

Menan le madri sul Pangèo la festa.

Poi gialliscon le foglie

E cadono; s’accampa

Di fuor la buffa; e nelle interne soglie,

Mentre luce la vampa

Sui vasti focolari,

Novellando si va di cose arcane.

Ha già varcato i mari

La rondinella: senza vol rimane

Il pecchietto alle siepi, e senza grido

La cingallegra al nido:

Con suo mugolo roco

S’aggomitola al foco

Il can sull’ora bruna

O all’uscio, per entrar, raspa e si lagna,

Fiori di gel sui vetri

Ricama il verno; e gli alberi alla luna

Paiono bianchi spetri

Per l’immensa campagna.

Ohimè! dagli occhi miei

Per clivo o per riviera

Ove fuggita sei,

Fanciulla Primavera?

Come attesi l’amante, al tempo verde

Attendo io te: nè perde,

Benchè tu mi sia tolta,

La sua speranza il cor. Più d’una volta,

È ver, tu, giovinetta

Primavera, non vieni a fiorir l’anno.

Ma quando se ne vanno

L’ultime nevi e spunta

La prima violetta

Cantan tutte le terre: «È giunta, è giunta

La fanciulla gioconda!»

E il riso e il canto abbonda

Per l’acque immense e per gl’immensi cieli,

E in radïosi veli

Sovra il Saturnio altare

Sin la tacita e grande Iside appare.

O Primavera, eterna

Per l’arcana natura

E sì breve per noi, chi ti governa

Il virgineo pensier? chi prende in cura

Le tue sembianze belle?

Da qual poter tu mossa

Vieni beata e vai? Forse tu vivi

Al di là delle stelle,

Al di là della fossa

E in quel campo fiorito

A te ci attendi privi

Di fastidio e dolor schiatta immortale?

Chè in verità non vale

La poca ora di qua tanto infinito

Delirar di dottrine e di speranze.

E queste ambigue stanze

Che per antico danno

Abitiam colla Morte, un dì saranno

Trasfigurate in una

Primavera senz’ombra e mutamento,

Ove nè sol, nè luna

Nè mar d’acque, nè vento

Nè nulla agiterà nostro intelletto,

Tranne il proprio diletto

D’amar senza confine.

Primavere divine,

Io vi sogno sovente: e il sognar mio

Fa che talor nè invano

Son primavera anch’io:

E con gorgheggio arcano

Qui nella mente il rosignol mi geme,

Qui nella mente mi tremola il fiore,

E una fresc’onda preme

E una fresc’aura il core;

E a quanto ascolto e miro

Di grande e di gentile

Con infinita voluttà sospiro

Come a un eterno Aprile.

 




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