PRIMAVERA
Isis, vere novo,
cunas thalamosque tuetur,
Magna parens.
Primavera non vien
fuor che una volta
A fiorir l’anno: e
quando
Dal canestro versò
l’ultima rosa,
La bella giovinetta
in sè raccolta
Parte da noi,
lasciando
Un soave ricordo in
ogni cosa.
Delle rugiade il
pianto
Resta all’alba: alla
siepe un fil d’odore:
A qualche gelso un
canto
Di solingo
augelletto:
E resta all’uman
petto
Una malinconia che
sembra amore.
Poi s’imbionda la
spica
Al povero colono:
Sotto i cocenti
lampi
Di Febo s’affatica
Il falciator pe’
campi:
Di plaustri le
callaie
Stridono: e,
misurato alle promesse,
Ne’ portici e per
l’aie
Splende l’ôr della
messe.
E tutto questo è
dono
Dell’olimpica
Figlia,
Che va pellegrinando
Sotto le terre; e
non so come o quando,
Dolcemente
scompiglia
I piccioletti germi
e li conduce
Fuor nella rosea
luce.
Indi s’avanza il dio
Che aggioga al carro
i pardi:
E fiamme dagli
sguardi
Lancian Polinnia e
Clio,
Mentre il sacro
licor ferve e s’affina
Nell’anfora divina,
E coi corimbi in
testa
Menan le madri sul
Pangèo la festa.
Poi gialliscon le
foglie
E cadono; s’accampa
Di fuor la buffa; e
nelle interne soglie,
Mentre luce la vampa
Sui vasti focolari,
Novellando si va di
cose arcane.
Ha già varcato i
mari
La rondinella: senza
vol rimane
Il pecchietto alle
siepi, e senza grido
La cingallegra al
nido:
Con suo mugolo roco
S’aggomitola al foco
Il can sull’ora
bruna
O all’uscio, per
entrar, raspa e si lagna,
Fiori di gel sui
vetri
Ricama il verno; e
gli alberi alla luna
Paiono bianchi
spetri
Per l’immensa
campagna.
Ohimè! dagli occhi
miei
Per clivo o per
riviera
Ove fuggita sei,
Fanciulla Primavera?
Come attesi
l’amante, al tempo verde
Attendo io te: nè
perde,
Benchè tu mi sia
tolta,
La sua speranza il
cor. Più d’una volta,
È ver, tu,
giovinetta
Primavera, non vieni
a fiorir l’anno.
Ma quando se ne
vanno
L’ultime nevi e
spunta
La prima violetta
Cantan tutte le
terre: «È giunta, è giunta
La fanciulla
gioconda!»
E il riso e il canto
abbonda
Per l’acque immense
e per gl’immensi cieli,
E in radïosi veli
Sovra il Saturnio
altare
Sin la tacita e
grande Iside appare.
O Primavera, eterna
Per l’arcana natura
E sì breve per noi,
chi ti governa
Il virgineo pensier?
chi prende in cura
Le tue sembianze
belle?
Da qual poter tu
mossa
Vieni beata e vai?
Forse tu vivi
Al di là delle
stelle,
Al di là della fossa
E in quel campo
fiorito
A te ci attendi
privi
Di fastidio e dolor
schiatta immortale?
Chè in verità non
vale
La poca ora di qua
tanto infinito
Delirar di dottrine
e di speranze.
E queste ambigue
stanze
Che per antico danno
Abitiam colla Morte,
un dì saranno
Trasfigurate in una
Primavera senz’ombra
e mutamento,
Ove nè sol, nè luna
Nè mar d’acque, nè
vento
Nè nulla agiterà
nostro intelletto,
Tranne il proprio
diletto
D’amar senza
confine.
Primavere divine,
Io vi sogno sovente:
e il sognar mio
Fa che talor nè
invano
Son primavera
anch’io:
E con gorgheggio
arcano
Qui nella mente il
rosignol mi geme,
Qui nella mente mi
tremola il fiore,
E una fresc’onda
preme
E una fresc’aura il
core;
E a quanto ascolto e
miro
Di grande e di
gentile
Con infinita voluttà
sospiro
Come a un eterno
Aprile.