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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • AL MIO CALZOLAIO MAESTRONE
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AL MIO CALZOLAIO MAESTRONE

Ut tibi dat crepìdam, mihi Pallas condere versus

Si dederit!

Alfin trovato ho un paio

Di scarpe così prode,

Che non c’è premio o lode

Ch’io neghi al calzolaio.

Fango pestando e ciottoli

Di queste vie romane,

Or le caviglie ho sane

E a sghembo il piè non va.

Salgono molti in fama

Con men perizia e merto

Di questo fabbro esperto

Che Maëstron si chiama:

Che con ispago e lesina

S’impanca in via Ripetta

E non fa l’arte in fretta

Ma da par suo la fa.

Leggicchia, ad ora brulla,

Il Conte della Mancia,

Guerino, I Re di Francia,

La Voce od il Fanfulla.

Non so s’ei va col secolo

E mutar vesti sogna,

O nel suo nicchio agogna

Di rimaner così.

Non so se uscì da balia

Fior d’anice o di rapa,

Non so se sta col Papa

Oppur col Re d’Italia:

So che da onesto artefice

La tassa egli non nega,

E spunta alla bottega

Allo spuntar del dì.

Al numero Quaranta,

Ei fiuta il suo tabacco;

Ama l’altar di Bacco

E di Noè la pianta:

A sera gli s’imporpora

Il peperon del naso,

Gli ridon gli occhi. È il caso

D’offrirlo ad un pittor.

Corta ha la chioma: è secco

Di Lomellina il figlio:

Nodato ha sul cintiglio

Il suo zinnal di becco:

Mozza la turpe gocciola

Che dalle nari è in corso,

E delle mani al dorso

Commesso è questo onor.

Ma con che forza ei cuce,

Ma con che garbo ei mette

Le stringhe e le bullette

E in sodo il piè riduce!

Or coi due forti sandali

Posso lanciarmi al ballo

Senza che un’unghia o un callo

Mi faccia delirar.

È rude un po’ la forma,

Ma punto i’ non mi sdegno;

Se un calcio altrui consegno

So che ci lascio l’orma.

Con tali schermi transito

Lungo le vie contento

Più che uccelletto al vento

O più che triglia al mar.

Un giorno anch’io portai

Scarpe lucenti e snelle,

Ma i muscoli e la pelle

Eran più freschi assai:

E Amor mi dava a prestito

I suoi lucenti vanni,

Gloria de’ miei verd’anni

Che non mi tenta più.

Com’era allegro il piede

Sotto le ambrosie lune,

Molli le chiome e brune

E giovenil la fede!

Ma queste dolci favole

Lasciar degg’io da parte,

Oggi le lodi all’arte

Meglio ascoltar puoi tu.

Di scarpa angusta e fina

Tu non m’hai fatto schiavo;

Bravo, tre volte bravo,

Figliuol di Lomellina.

Più ferma sul suo zoccolo

Non è del corpo mio

Statua di greco iddio

O di latino re.

Di sette ormai calende

Oggi suonata è l’ora

E fan servigio ancora

Le scarpe tue stupende.

Grazie, o maestro. Un’orrida

Scogliera è il calle umano

E scarpe da Titano

Tu fabbricasti a me.

 




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