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Giovanni Prati
Poesie scelte

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  • LA PAROLA
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LA PAROLA

La contemplazione dell’universo insegna

All’anima la parola che lo rivela.

 

       Nell’ombra, ai malinconici

Occhi velata ancora,

Arde una sacra fiaccola

Che la mia mente adora;

Ben qualche raggio io sento

Riverberar da lunge,

Ma troppo tenue e lento

Mi penetra nel cor,

E d’una brama il punge,

Che è simile al dolor.

       Che val che in me discendano

Da non mortale altezza

Caste e possenti immagini

D’amore e di bellezza,

Se tra quel mondo arcano

Rapido il verbo gira,

Perseguitato invano

Dal cupido pensier,

Che rivelar sospira

Ne la parola il ver?

       In me dai sensi all’anima

Passa un divin linguaggio,

Che unisce il fior col turbine,

Che mesce l’ombra al raggio,

Che d’un’occidua stella

Mi ferma agli splendori,

Che un’umile acquicella

Lungo mirar mi fa,

Esca a quei forti amori

Che a tutti il ciel non dà.

       Ma la parola!… O povera,

Che speri, o tenti mai?…

L’arcano dello spirito

Tutto non s’apre, il sai.

Un vago regno ascoso

Con noi germoglia insieme,

Lo abbraccia il cor pietoso

Che col pensier lo amò,

Ma inutilmente geme,

Perchè svelar nol può.

       Dunque passate, o candidi

Visi, o leggiadre vesti,

Labbra arridenti e pallide,

Occhi sereni e mesti:

Date, o gioconde lire,

Bando all’inutil verso;

Inchinati a morire,

O benedetto sol;

Non suoni all’universo

Che un’armonia di duol.

       A me talor l’oceano

Povera stilla appare,

Talor nell’umil gocciola

Sento diffuso il mare,

E l’atomo che in calma

Lieve per l’aere vola,

Cose infinite all’alma

Comunicando vien;

Ma la fatal parola

Mi muor consunta in sen.

       Cieca e superba polvere,

Dunque m’ha Dio percosso,

Un mondo rivelandomi,

Ch’io rivelar non posso?

E questo senso, e questa

Aura del cor romita,

Libera, ardente e mesta

Un’arpa non avrà,

Che spanda un fior di vita

Per la ventura età?

       Mio Dio, quest’arpa oh datemi,

Squilla ai dormenti petti:

Non di lusinghe, armatela

Di coraggiosi affetti;

E accomunati in loro

I mal divisi amanti,

Suoni una corda d’oro,

Che ai figli del Signor

Renda animosi i canti

E valido il dolor.

       Oh mobili onde! oh libere

Aure! oh campagne aperte!

Anche nel verno vedove

D’astri e di fior deserte,

Voi la parola avrete,

Che cerca il mio pensiero,

E, a temperar la sete

Che il cor mi consumò,

Sovra l’altar del vero

Tutto svelar saprò.

       Tutto, dai gioghi inospiti

Ai sorridenti calli,

Dal campo dei cadaveri

Allo splendor dei balli,

Tutto che impera il senso

E che lo spirto insegna,

I mondi che l’immenso

Alimentando va,

L’uom che obbedisce e regna,

Dio che sorride e sta.

       Dio sentirò nel barbaro,

Che d’uman sangue ha voglia,

Ma festeggiando all’ospite,

Gli dorme su la soglia:

Nel pellegrin, che assonna

Sotto le palme assiso:

Ne la selvaggia donna,

Che insegna al suo figliuol

Di tener vôlto il viso

Là dove nasce il sol.

       Oh! nell’intatta tenebra

Saprò trovarti allora,

Misterïosa fiaccola,

Che la mia mente adora:

In quell’eccelso loco

L’arpa con Dio s’accorda;

Ben l’immortal tuo foco

Mi farà polve il cor,

Ma la morente corda

Sarà sonante ancor!

 




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