IL POETA E LA SOCIETA’
Terra, crudel, se in vincoli
Possenti a te mi lega
Pensier, che abbraccia e
lacrima,
Cor che indovina e prega,
Tranne gli ardenti cantici,
Altro da me che aspetti?
Tranne i pietosi affetti,
Altro che vuoi da me?
Le tue speranze io mormoro,
E tu mi nieghi ascolto:
Io modulo i tuoi gemiti,
E tu mi chiami stolto:
S’io vo solingo e torbido
E chiudo ai canti il core,
Un riso acerbo è il fiore
Che tu mi getti al piè.
Ahi troppo duro e valido
Sento de’ tristi il regno
Per säettar le folgori
Del concitato ingegno:
È troppo rea sui deboli
Questa ragion del forte
Che fa sentir la morte
Necessità del cor.
Dimmi, che cerchi, o perfida
Noverca, ond’io ti piaccia,
E tu mi possa stendere
Le perdonanti braccia?
Vuoi ch’io mi curvi ad opere
Cui Dio non mi compose,
E che all’eccelse cose
Si tolga il mio sudor?
Terra! se tu sei giudice,
Pesa la mia parola;
Ella, se il ver la suscita,
T’è sacerdozio e scola;
In questa fiamma io m’agito,
Di questa vita io vivo,
Per onorarti scrivo,
Altro operar non so.
Cruda! tu senti il debito
Del pane all’operaio
Che ti racconcia i sandali,
Che ti rattoppa il saio,
E a questo forte povero
Che per te pensa e suda,
Sempre rispondi, o cruda:
«Pan da gittar non ho».
Non hai tu pane? E al facile
Mutar d’una carola
Profondi l’oro, e al limpido
Trillo d’un’agil gola;
Stolti! e tra voi la divite
Turba d’onor s’ammanta,
E l’anima che canta
Nuda di gloria va.
E sia così! Quest’esule
Va dove pensa e vuole,
Selvaggia come l’aquila,
Ardente come il sole.
Ma pur, divisa, un nobile,
Secreto amor nutrica.
E la respinta amica
Voi maledir non sa.
Datele almen che vergine
Possa serbar la lira,
Ch’ella non mesca gli aliti
Santi ove l’odio spira,
Che un non curar sacrilego,
Che un guerreggiar codardo,
Non le contristi il guardo
Non le recida il vol.
Voi la ponete in tenebre,
Ella vi dona il giorno;
Voi la dannate a piangere,
Ella vi canta intorno.
E nel fiammante nuvolo
De’ suoi divini incensi
Ella vi leva i sensi
Là dove regna il sol.
Ah, potess’io far cognito
Quanto in lei vive e siede:
Gli odii, gli amor, le torbide
Gioie, la dubbia fede,
E i rapimenti e gl’impeti
Soltanto a lei concessi,
E i suoi potenti amplessi
Dati a la terra e al ciel.
Oh a me compagni ed emuli
Nel carme e nel dolore,
Tutti in un solo uniamoci
Nodo d’eccelso amore:
Oda la Terra unanime
Quest’armonia di canti
E a’ suoi celesti erranti
Apra il materno ostel.
Così quest’arpe italiche,
Queste fraterne voci
Espïeran l’obbrobrio
Dei roghi e delle croci,
Quando di sé fu martire
Ogni intelletto sacro,
Ed ebbero lavacro
Di sangue i turpi dì.
Espïeran gli stolidi
Ozi e la boria vile,
E l’arroganza barbara
E l’adular servile;
E sarà duce ai popoli
Quest’armonia scettrata,
Che coll’Italia nata
Dal cor di Dante uscì.