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Olindo Guerrini
Rime di Argia Sbolenfi

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ODE FARMACEUTICA

 

Ho sognato un mar di laudano

Denso, nero e sterminato,

Come un piano formidabile

Di sciroppo concentrato.

Sovra l'onde immote e brune,

Tra i vapor del zafferano,

Svolazzavano importune

Molte mosche di Milano,

 

Io, per far con meno incomodo

Di quel mar la traversata,

Mi recai sul porto prossimo

E vi presi una fregata.

Il suo nome si leggea

Scritto a lettere d'un metro,

Vale a dir FARMACOPEA,

E l'aveva per dietro.

 

Grossi e ritti erano gli alberi

Con le vele di cerotto,

Con le sartie e con le gomene

Verniciate di decotto;

E la nave fabbricata

Di campeggio e legno quassio,

Era tutta incatramata

Di ioduro di potassio.

 

Drappeggiati in negre tonache

Molti giovani assistenti

Impastavano le pillole

Lassative od astringenti,

Le supposte, i vescicanti

E gli empiastri da enfiagione

Da servire ai naviganti

A merenda e colazione.

 

Un po' il fuoco che facevano,

Un po' il caldo naturale,

In quel tanfo farmaceutico

Mi sentivo venir male;

Per cui, visto un recipiente,

Ci sedei sopra di botto

E, vedendo un assistente,

Chiamai forte --Ehi, giovinotto! -

 

Che comanda?--chiese il giovane -

Vuol di malva una infusione?

Vuol copaive in mucilaggine?

Preferisce una iniezione? -

Adirata lo ribattei:

--Non son quella che credete!

Non ho il male che avrà lei;

Ho soltanto un po' di sete. -

 

Sete?--disse --Il male è piccolo

E guarir con l'acqua suole;

Ma se l'acqua ella desidera,

Mi dirà come la vuole.

Forestiera o del paese?

Vuol Tettuccio o Castrocaro?

Vuol un po' d'acqua ungherese

O un bicchier di sale amaro? -

 

Voglio solo acqua purissima! -

Furibonda allor gli osservo.

Mi rispose:--Va benissimo,

Ma in che modo gliela servo?

Perchè buono è da sapersi

Che da noi s'usa di bere

In due modi assai diversi;

O per bocca o per clistere. -

 

Detto fatto e dalla tonaca

Con un gesto pittoresco

Tirò fuori una gran cannula,

Un affare gigantesco,

E mentr'io gridava:--Ehi, sente...

Lei m'ha preso per isbaglio! -

Quel birbone d'assistente

Lo puntava nel bersaglio.

 

Se non era che voltandomi

Torsi il fianco un poco a destra,

Quell'infame di flebotomo

Scaricava la balestra;

Ma, insistendo l'animale,

Ne successe un serra serra

E, com'era naturale,

Tutto il brodo andò per terra.

 

Io credeva d'esser libera,

Ma mi accadde un altro guaio

Ch'egli prese dietro a corrermi

Col pestello del mortaio.

Un orrore, uno spavento,

Un battaglio da museo,

Una razza di strumento

Da sfondare un mausoleo!

 

Io già stavo per soccombere

Alla orribile balista,

Ma gridai --Galeno salvami,

Da quest'empio farmacista! -

E ad un tratto, e fu un enigma,

Spirò un'aria purgativa

Che pareva un borborigma....

E sbarcai sull'altra riva.

 

 

 




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