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Olindo Guerrini Rime di Argia Sbolenfi IntraText CT - Lettura del testo |
Al Signore
Non più anelanti a i pascoli latini
le barbare cavalle Attila caccia;
rivisse il fior de gl'itali giardini
su la sua traccia.
Tacque indarno il deserto e crebbe l'erba
dove l'alta Aquilea fumando giacque;
Il Danubio lavò le curve spade
grondanti di gentil sangue romano,
ma di quel sangue mai goccia non cade
e con le stille che tingevan l'onde
de 'l pescoso Tibisco e de la Drava
di Roma il fato a fecondar le sponde
e di messi la steppa e di vitigni
rise, ed a 'l sol che civiltà conduce
i biechi de i mongoli occhi sanguigni
nè più l'Europa giudicò minaccia
ma baluardo de' magiari il petto,
quando il Corvino alzò la spada in faccia
a Maometto;
nè più imprecò il latino in val di Pado
a i varchi onde calò di Dio il flagello,
ma l'unno che morì sotto Belgrado
Oh, benedetto il suol che trepidava
sotto il galoppo de la santa schiera
se l'unnìade Giovanni alto levava
la sua bandiera!
Oh, benedetto il suol che de la buona
ausonia civiltà reca le impronte
se de l'unnìade in nome a noi sprigiona
a 'l cui salso licor cedon le avare
viscere umane il faticoso pondo,
cantando inni sonanti a 'l salutare
E poi che il fato reo l'opera vieta
de le viscere tarde invan spremute,
a l'ungarica possa anch'io, poeta,
Non il regal Tokay, ma l'acqua umile
che Buda ci mandò mi fia sollievo.
Tendimi il nappo Igea. Buda civile,
a te lo bevo!