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Olindo Guerrini
Rime di Argia Sbolenfi

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QVANDO

IL PREFETTO DEL RE

E IL SINDACO DEL COMVNE

RENDEVANO OMAGGIO

A SVA EMINENZA REVERENDISSIMA

 

DOMENICO SVAMPA

 

PRETE CARDINALE DEL TITOLO DI SANT'ONOFRIO

ED ARCIVESCOVO DI BOLOGNA

QVESTO CARME BENE AVGVRANTE

AL SVO FORMOSO PASTORE

ARGIA SBOLENFI

DEDICAVA

 

Signor, poi che ti sta supplice ai piedi

Questa Felsina tua che un sdegnosa

Bacio di prete sofferir non volle,

Costei che, infranto il trono in cui tu siedi,

Cercando libertà tinse gioiosa

Del suo sangue miglior l'itale zolle,

Absolvi or la pentita e le concedi

L'amplesso del perdono

Dimenticando dell'error l'audacia.

Sii generoso e buono

Con chi, come a Signor, la man ti bacia

E poi che piango ravveduta anch'io,

Misericorde ascolta il canto mio.

 

Un tempo, e ben lo sai, morta di fame,

Schiava del tuo stranier temprò la plebe

Ceppi a se stessa su la propria incude:

Pe' sacerdoti tuoi le turbe grame

Reser feconde le sudate glebe

E sul solco natio caddero ignude

Ai campi della Chiesa util letame;

Ma un Dio consolatore

Da' sacri templi a lor dicea: "Soffrite,

Turbe nate al dolore

E che felici nel dolor morite,

Poi che v'aspetta in ciel di Dio il sorriso

E sol de' tribolati è il paradiso".

 

Dolci tempi, o Signor, ma triste il giorno

In cui la libertà disse il suo nome

La prima volta nella rea Parigi,

Poi che le turbe allor volsero intorno

Torbido l'occhio e scossero le some

Brandendo l'armi ad operar prodigi

Di che all'anime pie duro è il ritorno.

Germogli del mal seme

Crebbe il tristo terren le idee novelle;

Compresso indarno, freme

Tra i nuovi ceppi il popolo ribelle

E poi che in cor gli agonizzò la fede

Non più la libertà, ma il pan ci chiede.

 

E grida: "Senza gioia e senza luce,

Martiri del lavoro e degli stenti

Moriamo e il pane ancor ci si rifiuta.

Aprimmo il solco e non per noi produce,

Altri ha le lane e noi guardiam gli armenti

Altri ha la messe e noi l'abbiam mietuta.

Nuovo un tiranno i servi suoi riduce

A maledir la vita

E, come bruti a litigar le ghiande;

Ci calca inferocita

La gente nuova che facemmo grande,

Ma lieto il della riscossa arriva:

Corriamo all'armi e la giustizia viva!"

 

Deh! soccorri, o Signor! Più non ci giova

Rinnovar le catene ed i tormenti

O sfrenar birri alle cercate stragi.

Troncata l'idra i capi suoi rinnova

E i pubblicani ed i giudei dolenti

Tremano su gli scrigni e nei palagi

Dove il tripudio del goder si prova.

La turba macilente

Accorre e di morir non ha paura

Poi che, soffrendo, sente

Che a lei la vita e non la morte è dura....

Deh, Signor, ci soccorri e se al desio

Mancan le Guardie, ci difenda Iddio!

 

E se il tuo Dio ci costa, a noi che importa

Quando i ribelli al timor suo riduce

E delle turbe ci ridà il governo;

Quando agli eletti suoi l'ausilio porta,

Quando tra i volghi creduli conduce

L'util minaccia ed il terror d'inferno

Ed ha il demonio pauroso a scorta?

Ben venga Iddio se reca

Fede agli umili, securtà ai possenti,

L'obbedienza cieca,

Il catechismo, i preti, i sacramenti,

De' frati tuoi la sacrosanta loia,

Il Sant'Ufficio, la mordacchia e il boia.

 

Ben vedi che timor, non cortesia,

I magistrati nostri a' piè ti caccia

Inginocchiati a far debita ammenda.

Ieri nemici ognun di lor fuggìa

Fino il pretesto di guardarti in faccia,

Ma la tema del poi gli animi emenda

Ed eccoli a gridar Gesù e Maria.

Reca dunque, o Levita,

Benedetti dal ciel giorni soavi

Alla città pentita,

Al Senator che te ne le chiavi;

Stringi la briglia nella man paterna

E questo popol tuo reggi e governa.

 

Canzon vanne alla sede

Del Pastor cui fu porto

Omaggio di paura e non di fede.

Egli è saggio ed accorto

E se ben tu lo guardi

Gli leggerai nel viso: "È troppo tardi!"

 

 

 




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