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Olindo Guerrini
Rime di Argia Sbolenfi

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L'IDILLIO DI ORLANDO

 

Che non può far d'un cor ch'abbia soggetto

Questo crudele e traditore Amore,

Poichè ad Orlando può levar dal petto

La tanta che debbe al suo Signore!

 

ARIOSTO, Orl. Fur. C. IX, I.

 

Apparia tremolando all'orizzonte

La tenue luce della nuova aurora

E la vaghezza delle rosee impronte

Crescea più viva coll'andar dell'ora,

Quando, sul fido Brigliadoro, il Conte

Uscì pensoso di Baldacco fuora

E d'ignoti sentier sull'erba molle

Lentamente discese il verde colle.

 

Come giovine sposa, allor che il sole

Fra le cortine del balcon s'affaccia

Lascia lenta le coltri e volger suole

Al conscio letto con desìo la faccia,

Ma, rivestita poi, non più si duole

Rimemorando i baci e il sonno scaccia,

Indi lieta intrecciando il crin disciolto

Canta allo specchio e amor le ride in volto.

 

La natura così malvolentieri

Dai notturni riposi uscir parea

Semivelata dai vapor leggeri

Che lenta l'aura del mattin movea,

Ma poi ridesta e de' color primieri

Rifiorendo col , tutta fremea

In un gaudio fecondo, in una ebbrezza

Di gioventù, d'amore e di bellezza.

 

Non sgomentati del cavallo ai passi

L'inno di gioia ripetean gli augelli,

Pareano susurrar tra l'erbe e i sassi

Giocondi epitalami anche i ruscelli.

E i caprifogli penduti dai massi,

Scotendo i rami a guisa di capelli,

Gocciavan perle di sottil rugiada

Sulle nozze de' fior lungo la strada.

 

Nel tripudio d'amor ringiovanita

La pianura parea tutta un giardino

Che vaporasse tepida e squisita

La fragranza de' fiori al ciel turchino,

Sì che pien di desìo, gonfio di vita,

S'apriva il chiuso cor del Paladino

E conquisa cedea l'anima fiera

Alle lusinghe della primavera.

 

Dimenticò Re Carlo e i suoi baroni

E il santo gonfalon del fiordaliso,

I giganti, le fate e gli stregoni,

Gano schernito ed Agramante ucciso.

Dimenticò gli assalti e le tenzoni

Tra lo stuol battezzato e il circonciso

E vide col pensier mille rosate

Imagini di donne innamorate.

 

Rivide Olimpia, offerta all'esecrando

Mostro, chieder mercè nuda e tremante

E passar sorridendo e sospirando

Fiordispina, Isabella e Bradamante.

Vide Marfisa non curar pugnando

Le salde nudità del petto ansante

E d'Angelica sua gli occhi procaci

Languir di gaudio di Medoro ai baci.

 

Allor si sentì solo e in cor gli scese

Gelida un'onda di malinconia,

Tal che a se stesso dubitando chiese

Se la gloria non fosse una pazzia;

Ed una voce in fondo al core intese

Dirgli: "che val la tua cavalleria

Che valgon le tue gesta e il tuo valore

Senza un bacio di donna e senza amore?"

 

Discendeva così fantasticando

Intorno a questa sua doglia novella,

E sospirava fieramente, quando

Vide dal bosco uscire una donzella

Che raccogliendo fior venìa cantando

Soavemente e la persona bella

Di tal vivo desìo lo prese e punse

Che spronò Brigliadoro e la raggiunse.

 

Si trasse l'elmo, dall'arcion si sporse

E con voce tremante amor le chiese.

Lentamente a mirarlo il viso torse

La giovinetta ed a sorrider prese.

L'occhio le scintillò, ma quando scorse

La croce sull'usbergo e sul palvese,

La scintilla si spense ed il sorriso

Subitamente le sparì dal viso.

 

E disse: "Cavalier, tu porti in petto

Del Dio che adori il segno e la dottrina

Tu segui Gesù Cristo, io Maometto;

Tu sei di stirpe Franca, io Saracina;

Io cingo fiori al capo e tu l'elmetto,

Tu sei nato possente ed io tapina;

Vanne e ti basti sol ch'io ti confessi

Che t'amerei se tu a Macon credessi."

 

Eh, come lieti tra le verdi fronde

Cantavano gli augelli i novi amori,

Come all'aura d'april le rubiconde

Corolle aprivan tripudiando i fiori,

Come splendeano al sol le chiome bionde,

Come ridevan gli occhi incantatori,

Allor che il Paladin vinto si diede

E per un bacio rinnegò la fede!

 

 




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