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Olindo Guerrini Rime di Argia Sbolenfi IntraText CT - Lettura del testo |
Crudo ed avaro, nel suo castello
Viveva il Conte del Meloncello,34
Quindi nessuno ci volea ben.
Trattava i figli come serpenti,
E, dice un libro, che ai suoi serventi
Il pane e l'acqua ci dava appen.
Il primogenito di nome Augusto
Era un bel giovine, svelto e robusto,
Che l'ammiravano per la città.
Membro dei Reduci dalle Crociate,
Molte godevasi maccaronate
Coi Soci, e andavano di qua e di là.
Lo seppe il padre che, all'olmo andato,35
A sè un sicario tosto chiamato,
Mettere il figlio fece in prigion.
Cavar gli fece l'elmo e lo scudo
Ed era, ahi vista! senza i calzon!
Ma il padre barbaro che una mattina
Privo di lampada stava in cantina
E, come al solito, tirava il vin,
(Ah, proteggeteci Angeli e Santi!)
Fetente e squallida si vide avanti
L'ombra terribile d'un cappuccin.
E l'ombra disse: "Non hai vergogna
Di quel che hai fatto, brutta carogna?
Libera il figlio; dà mente a me!"
Al padre infame, pel terror grande,
Cambiar colore fin le mutande,
Tal che ammorbava da capo a piè.
Con mano tremula aprì il portone
E disse: "Vattene dai piedi fuor!"
Augusto, libero, ratto andò via,
Indi, impiegatosi, sposò l'Argia36
E lunghi vissero giorni d'amor.