CAPITOLO
XXIII.
Il 15
Maggio 1848.
Il
giorno seguente all'ora in cui soleva far la sua visita mattutina nell'osteria,
il dottor Antonio presentossi nella sala di Lucy. Non dimentichiamo dire che
allora sapeva il matrimonio e la vedovanza di Lucy; - e lo aveva saputo dalla
lettera di sir John, che lady Cleverton, esatta alla parola, gli aveva spedito
la mattina di buon'ora. Egli salutò la sua bella amica colla solita cordialità;
e colla libertà del tempo di prima, cominciò a notare la mala scelta
dell'abitazione di lei. - <Un seguito di camere magnifiche e grandiose,
osserva il Dottore, ma sconvenienti per voi. Avete bisogno di aria fresca da
respirare, e di qualcosa di meglio da vedere nella bella Napoli, che non siano
delle belle case. C'è un albergo non molto distante da qui, a Santa Lucia, che
vi converrà perfettamente. Certamente non tanto di moda, aggiunge con malizia
il Dottore, come Toledo o Chiaja, ma meno rumoroso: nè questo è piccolo
vantaggio. Conosco il padrone dell'albergo, che vi raccomando. È persona molto
servizievole e rispettabile.» Lucy era pronta a quella mutazione. - «Venite e
giudicatene da voi stessa,» le disse il Dottore; e andarono insieme. Piacque
alla signora il sito che dominava sopra una veduta della baja e del Vesuvio; e
andò fuor di sè dal contento per una loggia di marmo ampiamente sporgente, su
cui mettevano le stanze. - «Così ci parrà di nuovo di essere in Bordighera,»
disse ella arrossendo e guardando Antonio. - «Certamente,» risponde egli.
«Adesso, mentre la vostra gente porta qui le vostre robe, che vi parrebbe se
andassimo a fare una provvista di piante e di fiori per farvi un po' di
giardinetto?» - E usciti, la carrozza fu ripiena in modo di rose, di magnolie e
di aranci nani, che il nostro eroe e la eroina non sapevano ove mettere i
piedi. Questo impiccio fece ridere Lucy, come non aveva più riso da molto
tempo. Antonio, per lei provvido come prima, propose di andare a comprar carta,
pennelli e colori - che ella avrebbe presto desiderio di far bozzetti dalla sua
finestra. - «E il pianoforte?» domanda egli, mentre la carrozza passava innanzi
a una bottega in cui ce n'erano alcuni. - «Ah! davvero,» fu la pronta risposta,
«che voi dovete insegnarmi altre canzoni siciliane.» - E ordinato il pianoforte
e gli oggetti per disegnare, se ne tornarono al nuovo albergo.
Or qui
c'era lavoro in abbondanza per l'attivo Dottore: le piante e i fiori da
disporre sulla loggia nel miglior modo; la cassetta dei colori e i pennelli da
preparare, affinchè ella trovasse ogni cosa occorrente alla mano, - la miglior
luce e il miglior posto da scegliere per il cavalletto; - e il miglior sito per
il pianoforte giunto in quel momento: - e tutto questo fece con quella calma, e
con quel metodo e gusto, che ricordava a Lucy il suo arrivo all'osteria. E
mentre la si poneva al pianoforte seguendo cogli occhi ogni movimento di lui, e
lasciava scorrer le dita sui tasti, quanto vivamente le tornavano in pensiero
que' primi giorni - ; e con quanta vivacità la memoria le dipingeva quella
prima serata in cui egli mise alla finestra le cortine, e attaccò, con grande orror
di suo padre, la carta alle fessure della porta. Oh! il suo cuore era
strabocchevolmente pieno di gratitudine! E fu per il misterioso potere della
reminiscenza, che le sue dita sbadate trovarono le note dell'aria siciliana,
cantata la prima volta da lui, e mai più suonata dal giorno del suo sposalizio.
Ritornano
di nuovo i bei giorni di Bordighera. Gli stessi fiori, lo stesso cielo, la
stessa natura maravigliosa, fino il soave profumo dell'aria - tutto quello che
aveva già ammirato e goduto, tornava suo ancora una volta. Era anche migliore e
più caro il ritorno a quella salubre alternativa di occupazione e di riposo; a
quella medesima conversazione, a quelle istesse serate tranquille sulla loggia;
ma migliore e più di tutto cara era quella stessa cura, vigilante,
instancabile, che ella sentiva adesso quanto allora: prova, se pur ne
abbisognava, che Antonio come lei amava il passato. Pareva che la sua giovanil
floridezza e la gentile sua gioja rifiorissero di nuovo. La felicità era medico
migliore anche del dottore Antonio. Gli eventi degli otto anni passati
sparivano dalla memoria della gentile Lucy, come non avvenuti. Quasi la si
sarebbe potuto immaginare di essersi addormentata quel triste giorno in cui
lasciò Bordighera, per risvegliarsi poi in Napoli, dopo un sogno lungo e
penoso, e senza trovar nulla mutato intorno a sè.
Nulla
prescriveva Antonio alla sua malata, ma le ordinava ora per ora il modo di
vivere: tanto per la passeggiata, tanto per la corsa in legno, tanto per
leggere, per disegnare e per suonare - suonare il pianoforte ma poco, che la
stancava e riscaldava; - doveva respirare aria fresca e fare corte passeggiate,
oltre la quotidiana corsa in carrozza per la campagna; non teatri, non luoghi
di ritrovo, non sale riscaldate; e se dovesse andare a Corte, vi andasse meno
possibile. Con tutte queste restrizioni e proibizioni, pure il tempo non
correva nojoso per Lucy, nè si lamentava ella mai della monotonia del viver
suo. Ogni lettera invece diretta a suo padre, conteneva la notizia che ella era
felice e contenta; e che sir John non aveva inquietarsi, non potendo venire a
raggiungerla presto quanto ambedue avrebbero desiderato.
Antonio
invariabilmente veniva a veder Lucy due volte al giorno: una la mattina -
visita da medico, come ella soleva chiamarla ridendo, e l'altra la sera -
visita da amico. Parevano i pensieri suoi di continuo rivolti a lei, e
incessante la sua ansietà per sollevarla o poterla divertire. Le portava
vedute, stampe e abbozzi fatti da lui dei bei contorni che avevano a visitare
un qualche giorno insieme; e nuovi libri italiani e inglesi, e i romanzi più
alla moda, e gli opuscoli sugli argomenti più importanti del giorno. Nè certo
era carestia in quel tempo di soggetti atti a eccitare la curiosità e ad
attrarre l'attenzione di persona che amava tanto l'Italia, come Lucy. L'ultima
insurrezione di Milano e di Venezia, l'ingresso dell'esercito piemontese in
Lombardia, i casi della guerra, lo stato interiore del paese e dai varii
partiti, Pio IX, Carlo Alberto e altri uomini principali di quel tempo; la
Corte di Napoli, il Re e i suoi Ministri, tutto insieme, e ciascuno alla sua
volta davano argomento alle rapide osservazioni, alle idee ingegnose e alle
facoltà descrittive di Antonio. Lucy, prima d'ora aveva imparato ad apprezzare
quella tranquilla effusione di animo, quei forti affetti di lui, e quella
felice combinazione di ragione, di sensibilità e di buon umore, da cui era
fatto tanto originale il conversare, e così piacevole la sua compagnia. Ora
poi, innanzi a lei, egli metteva a nudo i tesori del proprio cuore, e
iniziandola a tutti i misteri della sua anima ardente, e facendola depositaria
delle sue speranze, de' suoi timori, de' suoi disinganni.
Le
raccontava come una rottura era avvenuta nel Ministero, nel punto stesso che
immaginavasi di veder rimosse tutte le difficoltà, onde gli era impedito lo
scopo dell'intrapresa missione; e come proprio l'individuo su cui egli contava
aveva lasciato il portafogli, e come conveniva riconquistare il terreno creduto
già guadagnato. Sfiduciato, ma pur perseverante, egli rinnovava di sforzi;
quando appunto giungeva la notizia avere il Parlamento siciliano deposto il Re,
ed escluso dal trono qualunque della sua razza. Antonio allora avrebbe voluto
tornar in patria a dividerne la sorte, ma il Re stesso lo sollecitò a rimanere.
Malgrado gli attuali avvenimenti, Sua Maestà professava le più liberali e
concilianti intenzioni rispetto ai Siciliani; però proponevasi spedir loro tali
condizioni da un giorno all'altro, che ne sarebbero maravigliati; e Antonio
doveva esserne il portatore. Ma quel giorno non veniva mai. - «Credo che si
lusinghi corrompermi,» osservava Antonio. «Egli ha accennato più di una volta
al suo desiderio di avere un medico del mio merito permanente presso la
sua persona; ma non basta gittarmi la polvere negli occhi. C'è qualcosa di
contorto in lui - di bieco nella sua guardatura e ne' suoi modi; ha una certa
sua maniera sonnecchiosa, e di tratto in tratto una luce sinistra negli occhi,
che mi rammenta un gatto in atto di guatare un sorcio. M'inganno di molto, o
costui un qualche giorno ci fa impiccare tutti quanti!»
Lucy
non voleva sentire quelle predizioni, e chiuse molto efficacemente la bocca al
Dottore ponendogli la mano sopra le labbra. Trovavasi mortificata, diceva,
vedendolo dare accesso a siffatti pregiudizi. - «Bene, bene,» egli soleva
risponderle sorridendo; e più di una volta essendo Antonio tornato su questo
argomento, finiva sempre con un «vedremo.» Se liberamente bensì faceva le sue
osservazioni intorno al Re, non risparmiava Antonio il suo partito ogni volta
che ci trovava motivo di biasimo; e i liberali di Napoli paragonava qualche
volta al cane della favola, che perdette la carne per correr dietro alla
immagine. - «Per esempio,» diceva, «la Costituzione non è ancora stata messa in
atto, che di già domandano ad alta voce che sia allargata. Il Parlamento non
esiste ancora se non in carta, e gridano a più non posso contro la Camera dei
Pari. Domandano che il Re invii un esercito in Lombardia a cooperare col
Piemontese, e l'accusano nei loro giornali di essere Austriaco di cuore. E chi
ne dubita? Ma a che giova il dirlo? È egli probabile, rinfacciandogli d'essere
Austriaco, che si faccia diventare un patriota italiano?»
Il
nuovo Ministero, precisamente su questo punto, a indurre cioè Ferdinando a
prender parte attiva alla guerra di indipendenza, dirigeva i suoi sforzi: e
nella speranza di potervi contribuire in qualche modo, Antonio restava ancora
in Napoli. Questa decisione, se giovava alla causa dell'indipendenza italiana
prediletta al cuor del Dottore, essa avrebbe anche portato con sè l'altro
vantaggio - di rendere per allora impossibili le ostilità fra Napoli e Sicilia.
Il tempo, quel grande pacificatore, avrebbe sanate poi di molte ferite, calmate
molte passioni ardenti, e avrebbe spianato la via a qualche onorevole accordo
futuro. La ripugnanza del Re a cedere anche una minima parte dell'esercito era
estrema. Tuttavia era tanto forte su di ciò l'opinione della Capitale, i
Ministri confessavano tanto vivamente l'impossibilità di continuare a governare
se non vi si desse qualche soddisfazione, che il Re alla fine si decise. Fu
spedito sul campo della guerra un corpo di truppe, forte di quattordicimila
uomini; e una parte della flotta inviata nell'Adriatico, ad operare di concerto
colle forze navali sarde e veneziane.
Compiutisi
questi fatti, nulla più riteneva Antonio in Napoli, se non il dolce incanto
sotto cui trovavasi, se non - aggiungiamo noi - il destino. Vicina era
l'apertura del Parlamento napolitano. E perchè non vi assisterebbe egli a poter
giudicare da sè dello spirito in esso dominante, e di ciò che se ne aveva a
presagire per il futuro? E rimase.
Il
Corpo legislativo doveva riunirsi il 15 di maggio. Il Ministero aveva
pubblicato anticipatamente il programma della cerimonia da osservarsi in quel
giorno; e diceva un articolo di quel programma che i deputati dovevano a giurar
fedeltà al Re e alla Costituzione, ma non vi era fatta menzione di una clausola
inserita dal Ministero del 3 aprile - la dichiarazione dei principii politici
del Ministero di allora - per la quale era conferito alla Camera elettiva il
diritto di modificare e allargare la Costituzione. Questa omissione parve piena
di pericoli a molti Deputati, i quali si raccolsero nella sala municipale di
Monte Oliveto a deliberare sull'argomento. Ci spiace dover notare un'illegalità
sì flagrante, un'usurpazione di potere così grave. La Camera dei Deputati non
essendo per anche legalmente costituita, a' suoi membri non competeva il
diritto di assumere il carattere e l'autorità di Assemblea deliberativa; e
riunitisi i Deputati, fu rejetto il giuramento inserito nel programma
ufficiale, e vennero intavolate trattazioni col Ministero, affine di trovare
una formola soddisfacente per ambe le parti. Varie deputazioni seguitarono ad
andar su e giù dalla Camera al Ministero e dal Ministero alla Camera. Era il 14
maggio. Le notizie di questo conflitto divulgatesi come un incendio sopra la
città, produssero una grande commozione. Il sospetto e il timore predominavano
nelle menti popolari, e già s'avevano a lamentare alcuni tentativi di aperta
rivoluzione. Questi malaugurati segni facevano sentire ad ambe le parti la
necessità di una conciliazione e dopo molte trattazioni, d'accordo si era
convenuto che sarebbesi aperto il Parlamento senza dare o esigere alcun
giuramento.
A
passo lento, col cuore abbattuto, l'indomani, 15 maggio, di buon mattino,
Antonio recossi alla dimora di Lucy. L'aveva pregato ella a venire appena
giorno, per darle notizia dello stato delle cose. Ella nulla sapeva ancora del
felice accomodamento della contesa, fatto a notte avanzata. Le vie, a traverso
le quali doveva passare il nostro Dottore, erano gremite in modo straordinario
per quell'ora sollecita, e l'aspetto e il portamento della moltitudine era
tutt'altro che piacevole. Crocchi di persone formavansi qua e là - sintomo
infallibile d'imminenti disordini: - e osservò il Dottore, che alcuni individui
passavano di crocchio in crocchio, parlandosi all'orecchio. Evidentemente erano
agitatori (da chi istigati?) affaccendati al lavoro. Malgrado le tristi
previsioni, Antonio avvicinossi a Lucy coll'usata compostezza serena; e in
risposta alle sollecite inchieste di lei, l'assicurava essere sparita ogni
causa di timore, e tutto andare a seconda dei desiderii.
- «E
adesso,» dice Antonio sorridendo, «mettiamo da parte la politica, che ne sono
proprio stanco. Discorriamo de' tempi andati - della nostra pacifica e
verdeggiante Bordighera. Vorrei poterci tornare anche ora; ci stavo tanto
contento.»
- «E
io pure,» risponde Lucy arrossendo vivamente. E prosegue dopo una breve
esitazione: «Devo dirvi che non ho mai rinunciato all'idea di costruirmi un bel
casino in uno de' suoi quieti cantucci, e di andarvi a passare la vita. La
donna può ora realizzare la fantasia della fanciulla. Che dite del mio
progetto?»
- «È
una bellissima idea,» dice Antonio. «Ma siete sicura di non stancarvi di quella
vita di ritiro, un giorno o l'altro di non desiderare le vostre belle
relazioni, i vantaggi del ceto e della ricchezza, le attrattive di Londra, la
Corte...»
- «Non
m'importa nè di ceto, nè di Corte,» interruppe Lucy, «finchè papà e... voi
starete con me.» Antonio cominciò a strofinarsi la barba che non aveva più; e
subitaneamente alzandosi, passeggiò alcune volte su e giù per la stanza.
- «Ne
parleremo poi,» disse egli tornando al suo posto e rimettendosi con calma a
sedere vicino a lei. «Vi ricordate di questo stesso giorno otto anni sono?»
-
«Come no? Me ne ricordo come fosse jeri. Potrei farvi anche il ritratto nella
posizione in cui mi dicevate: «Ora, miss Davenne, vedete un po' di provarvi a
camminare;» e rifece il modo di parlare di lui. «Mi risuona ancor nell'orecchio
il tono della vostra voce.»
-
«Cara, nobile amica!» esclama Antonio. «Giammai - no, giammai, la minima
gentilezza andò perduta con voi. Confesso che io aveva in quel punto
terribilmente paura; e mi rallegrai quindi in proporzione.»
- «Sì,
avevate paura che restassi zoppa,» disse Lucy, «e vi rallegraste che io non lo
fossi.»
Antonio
la guardò come stupito.
-
«Dite ora che non era vero, se ne avete cuore,» insiste Lucy scherzando.
«Non
lo negherò davvero; - devo anzi render giustizia alla vostra penetrazione.
- «Le
signorine,» prosegue Lucy nello stesso tono di scherzo, «non sono sempre nè
tanto cieche, nè tanto semplici come voglion parere. Non ho creduto mai a quel
vostro: «Non è altro che una slogatura di caviglia;» papà, sì, ma non la figlia
sua. Sapevo fin da principio che la mia gamba era rotta.»
Antonio
aprì tanto d'occhi.
-
«Quale profondità di simulazione scopro ora in voi,» disse alla fine ridendo.
«Veggo che mi ci prendeste. Sapevate che la vostra gamba era rotta, e
non ne diceste nulla neppur a me!»
-
«No,» replica Lucy, «aveva risoluto di lasciarvi godere pienamente il successo
del vostro gentile inganno. E vi diedi anzi agio di illudermi quanto vi
piacque.»
Antonio
non rispose, ma prese la bianca manina abbandonata sopra uno de' bracci della
sedia di lei; la prese nella sua, e lentamente e deliberatamente la portò alle
sue labbra.
La
penetrante e distinta ripercussione di una scarica di moschetteria risuonò
nell'aria quieta, facendo crepitare le porte e le finestre.
Antonio
balzò in piedi, pallido come se ciascuno di quei colpi gli avesse passato il
cuore.
- «Che
sarà?» domanda Lucy mortalmente agitata.
-
«Nulla d'importanza,» dice Antonio facendo un grande sforzo per mostrarsi
indifferente. Probabilmente un po' di polvere dal Governo bruciata per salutare
l'apertura del Parlamento; A proposito, bisogna ch'io vada subito.»
Mentre
prendeva il cappello, sentesi un'altra scarica seguita quasi immediatamente da
una viva serie di colpi.
- «Si
combatte, si combatte, ne sono sicura!» grida Lucy atterrita e tutta tremante.
«Non ci andate per amor di Dio! A che serve che voi ci andiate? Che può fare un
uomo, e un uomo solo?»
-
«Soddisfare la propria coscienza, con fare quanto è in poter suo per impedire
la guerra civile,» replica Antonio con tranquilla risolutezza. «Lasciatemi
andare, ve ne prego.»
- «Voi
non andrete!» esclama Lucy fuori di sè dalla paura, frapponendosi fra lui e la
porta. Antonio la guarda.
- «Io
debbo andare,» dic'egli. Era come avesse parlato il Destino. Lucy si sentì
tosto incapace di combattere quella ferrea volontà. Piegò le mani come un
fanciullo che prega, sollevò gli occhi alla faccia di lui, e disse: - «O
Antonio!» C'era un mondo di cose in questa sola parola.
L'Italiano
la trasse a sè, se la strinse fortemente al seno; e - «Lucy,» disse in tono
solenne, «questo non è momento da far molte parole (il fuoco non rallentava
punto mentre parlava), Lucy, io ti amo - ti ho amata ardentemente per tutti
questi otto anni - ti amerò sino alla tomba. Ma la mia patria ha su di me
diritti anteriori a' tuoi. Questi diritti ho giurato di rispettarli più
solennemente quel giorno, in cui il pregiudizio armato di ragioni genealogiche
si frappose fra me e voi. In quel giorno mi dedicai di nuovo alla mia patria.
Lasciatemi mantenere il voto - lasciate che faccia il mio dovere. - Aiutatemi a
farlo, o Lucy. Lucy, mia nobile amica, aiutatemi a riuscir degno di voi e di
me. In nome di quanto c'è di più santo, lasciatemi partire senza una lotta
penosa.»
Lo
spirito d'eroismo che imponevagli quel sagrificio nel più dolce momento della
sua vita, gli splendeva nella faccia e risuonava nella voce. Parve trasfigurato
in modo sovrumano agli occhi di Lucy. La debole natura di lei si sollevò in
questo supremo istante all'altezza che fa possibile ogni sacrificio di sè:
-
«Nobil cuore!» dice in un impeto d'entusiasmo. «Andate! E Dio sia con voi e vi
preservi. Io cercherò di esser degna di voi.» E cessò di ritenerlo.
- «E
Dio vi benedica per queste parole!» esclama Antonio quasi trasumanato,
prendendole le mani e stringendosele al cuore. «Dio vi benedica! - Il vostro
amore sarà il mio scudo!» Così dicendo, la pose sopra il sofà, e in tono
dimesso le disse: «Presto mi rivedrete, o avrete notizie di me.» Fermossi un
istante guardando quella forma distesa quasi esanime innanzi a lui, si coprì
colla mano gli occhi, e uscì senza dir parola.
Nell'anticamera
trovò la Hutchins al suo solito posto; le chiese carta e calamajo; e scritte
alcune poche righe, gliele porse. - «Ora andate subito dalla vostra padrona;
ella non si sente bene. Se peggiora, mandate a prendere il medico di cui vi ho
qui dato il nome e l'indirizzo.»
-
«Che! partite, signore?» domanda la Hutchins, indovinando subito il perchè
della malattia della padrona.
- «No,
non parto propriamente; ma può darsi che non possa tornar qui per qualche
tempo. Abbiate cura di lady Cleverton. Addio, Hutchins.» E Antonio porse la
mano alla buona cameriera. Il volto della Hutchins cominciò a contrarsi
nervosamente; ma obbedendo agli ordini, andò dalla padrona. Allora Antonio,
sedutosi alla tavola di lavoro dalla Hutchins, scrisse in fretta una corta
lettera, la sigillò, fece l'indirizzo, e, senza arrischiarsi a guardare alla
porta chiusa, si mise il cappello e uscì.
Una
gran quantità di gente correva forsennata per le vie; distaccamenti di soldati
marciavano per ogni verso; la città si copriva, quasi per incanto, di barricate,
e già si combatteva in molte di esse: insomma, la guerra civile in tutto
l'orrore infuriava nella bella Napoli. Quale mano sacrilega aveva acceso la
fiaccola della discordia? Da qual parte era stato tirato il primo colpo? Dai
repubblicani ostinatamente impegnati a distruggere la monarchia, come affermò
dippoi il partito della Corte, o dal partito della Corte, come asserirono i
liberali, il quale aveva a mente fredda preparato la miccia, affidando al caso
l'incarico di accenderla, e di sperdere ai quattro venti le libertà poco prima
strappate alla mano ferrea del dispotismo? Nessuno il seppe allora, ed è un
mistero anche al giorno d'oggi.
A mala
pena si possono rintracciare le sorgenti dei fatti contemporanei, oscurati da
contemporanee passioni. Che i repubblicani abbiano deliberatamente sfidato il
Governo, sembra appena credibile a fronte di un fatto ammesso da tutti
gl'imparziali scrittori, e comprovato da testimoni oculari: la pochezza del
partito repubblicano, seppur alcun partito di tal fatta poteva ritrovarsi in
Napoli nel 1848. Il grido di «Repubblica» non uscì mai di bocca ai combattenti;
e nessuna persona nota di principii repubblicani figurò tra i molti prigionieri
tratti poi innanzi ai Tribunali per accuse politiche. Se il proverbio: cui
bono fuerit, riuscisse sempre vero, servirebbe a sostenere contro il Potere
esecutivo l'accusa di aver egli procurata una collisione, da cui trasse tanto
vantaggio, e che riuscì a lui tanto profittevole. Ma non intendiamo addurre
argomenti congetturali; e vogliamo lasciare al Potere esecutivo il vantaggio
della mancanza di prove dirette, sostanziali, irrefutabili. Vorremmo esser
giusti anche verso il re Ferdinando II di Napoli. Ci erano ragioni sufficienti
a provocar quella catastrofe del 15 di maggio; nè occorre asserire che fosse
preparata, o premeditata, da alcuna delle due parti.
Un
giornale politico di quel tempo, la chiamò con frase giusta e intelligibile: squilibrio
di due paure; ed era letteralmente vero. Fin dal 29 gennajo, i sostenitori
del diritto divino e i partigiani della libertà costituzionale, si erano
riguardati scambievolmente con sensi di odio e di diffidenza mal dissimulata.
Il popolo ricordava che più di una volta le fucilate e i colpi di bajonetta
avevano risposto alle grida di Viva Pio IX! Viva la Riforma! Il Re si
ricordava del pari che la Costituzione era stata strappata per forza da lui;
pertanto egli stava perpetuamente sul qui vive! per le sue prerogative
minacciate; e i liberali parimente all'erta per le loro libertà pericolanti.
L'inopportuna Enciclica del 29 di aprile, l'atto fatale con cui Pio IX inaugurò
la sua separazione dal movimento nazionale, fu valido mezzo per allargar quella
breccia. Un partito la salutò con lieto animo e rinnovate speranze; l'altro
manifestò aperto il suo risentimento, e per la lettera, e per le speranze da
essa incoraggiate. Così stavan le cose, quando accadde il disgraziato malinteso
fra il Potere esecutivo e i Deputati circa la formula di giuramento. Fu la
scintilla caduta su materie combustibili da tanto tempo accumulate.
L'attitudine presa dai Deputati parve al Potere esecutivo foriera di
rivoluzioni; il contegno del Potere esecutivo parve ai Deputati denotare un
imminente Colpo di Stato. Senza tener conto delle passioni sfrenate
sovrabbondanti nelle grandi città, che in tempi di discordia vengono a galla;
non c'era scarsità di spiriti ardenti da ambi i lati per tramutare in fiamma
viva il fuoco latente. L'incendio si sparse largo e ampiamente, e tutta la
città ne fu ravvolta.
- «Che
cos'è?» domanda Antonio, giunto in istrada, ad un prete che passava via
frettoloso.
- «È
arrestato il Re - e il Principe ereditario chiuso in un convento; - la Camera
dei Deputati si è dichiarata in permanenza.»
Passa
poi un giovanotto correndo e gesticolando come un frenetico. Antonio lo ferma
colla stessa domanda.
-
«Tutti i Deputati riuniti sono stati assassinati; - e a quelli che si recavano
alla Camera, si da la caccia come a bestie feroci. Oh! se potessi trovare un
fucile!» grida il giovane fuor di sè.
Il
Dottore non credette a nessuna delle due asserzioni, ma augurò il peggio da
entrambe. Traversò la Piazza Reale, ove una forza imponente di fanteria,
artiglieria e cavalleria era spiegata in fronte del Palazzo. Affrettandosi
verso la parte donde si sentiva il fuoco, non aveva ancora fatto un centinajo
di passi in via Toledo che fu impedito di procedere da una barricata che si
stava costruendo. Non si trattenne a far domande, ma si aprì a forza la strada
sopra a quegli ingombri, e corse più presto che potè a un'altra barricata in
distanza, e da dove venivano continue scariche di fucili. Il maggior numero di
quei che la difendevano apparteneva evidentemente alla classe educata. Essi
erano la maggior parte uomini giovanissimi, molti appena fuori dalla
fanciullezza, e tutti insieme non più di quaranta. Gli assalitori, a causa
della altezza della barricata, non potevano esser veduti dal luogo ove stava
Antonio; ma il fuoco di fila ben nutrito mostrava provenisse da un grosso corpo
di truppe regolari.
Antonio
in un istante vide che non era possibile far ascoltare alcuna parola, e che era
inutile ogni tentativo di conciliazione. Allora guardò all'intorno in cerca di
un fucile. Ma la vista di un uomo giacente a' suoi piedi seriamente ferito
cangiò tosto la direzione da' suoi pensieri. C'erano altri e più sacri doveri
per lui da compiere che non l'uccidere o l'essere ucciso. Inginocchiatosi al
lato di quel ferito, che era tuttavia un ragazzo, tirò fuori il suo astuccio di
strumenti, e si mise a esaminare e a fasciar la ferita. Un altro e poi un
altro, e altri de' combattenti rotolarono a terra, e alcuni fuori di ogni ajuto
umano. Antonio si trovava nel suo vero elemento. Stracciatosi l'abito, ne fece
delle bende; e assorto interamente nella cura de' feriti e de' morenti,
dimenticò persino che intorno a lui fischiavano le palle. Un alto grido dei
difensori della barricata alla fine gli fece volgere lo sguardo, e li vide che
stavano in faccia a lui agitando le mani e gesticolando. Girò il capo per
vedere cosa indicassero. E un colpo di bajonetta lo gittò a terra immerso nel
proprio sangue.
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