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Canto 5. —
Venuto era il Ministro innanzi a cui
Genuflessa ogni suora umilemente
Tutti svelar doveva i falli sui
E render mondo il cor, pura la mente,
Per farsi degna di pigliar da lui
L'eucaristico pane al dì vegnente;
Ond'altro per le stanze non si udia
Che un gemer fioco, una lettura pia.
E bello era mirarle, ire e redire
Chiuse dei loro veli entro il candore
Ad una ad una, e senza nulla dire
Incontrarsi pel lungo corridore,
Di cui
nel fondo i lor peccati a udire
Giudice, e insieme medico, e dottore
Quegli, poiché la grata il nascondea,
Come Nume invisibile sedea.
E tu tra l’altre, Eugenia, anche gli vai
Innanzi tutta timida e raccolta.
Ah! il pensier che diman prender dovrai
L'ostia immortale per la prima volta
Ti versa attorno una pioggia di rai,
Dall'essere mortal ti fa disciolta,
E t'inoltri pel lungo corridore,
Come colomba, che non fa rumore.
Così si accosta, e giá le batte il petto
Nella speranza, che ora inteso avria
L'innamorato suo proprio angioletto,
Od altri che di lui le parleria.
O di fanciulla vergine intelletto!
O non corrotta purità natia!
Un angelo é per lei quel sacerdote,
Che chiude in corpo uman sembianze ignote.
Pone giù le ginocchia, e: — Padre, dice,
Di' prima il nome tuo; sei tu Gabriello?
E se tal sei, mostrarmiti ti lice? —
E quei: — No, mia figliuola, io non son
quello —
E l'altra: — La badessa men ridice
l'alte virtudi, e sempre io lo rappello;
E a che non viene? Non sai tu qualmente
Io l'ami? ed ei me pure ama egualmente.
Mi ama egualmente, e se tu nol sai,
Dirò che dalla prossima collina
La luna colma non si leva mai,
Che io
non veggia la sua faccia divina:
Perchè mi slancia sì ridenti rai?
Perchè assieme con me fugge e cammina,
E mi segue, e repente in sulla testa
Mi si arresta, se il mio passo si arresta? —
Ma quegli l'interrompe, e: — Il luogo chiede
Altri discorsi, le risponde, o figlia,
Chè non ravvivi in te tutta la fede
A creder la piú grande meraviglia?
Domani un Dio dalla superna sede
Scenderà con l'angelica famiglia
Per la primiera volta entro il tuo core:
Non vorrai tu aspettarlo, e fargli onore?—
Ed ella: — Tremar tutta, o padre mio,
Tutta la vita a tal pensier mi sento,
Il giorno di domani io lo desio,
Ma nel medesmo tempo io lo pavento.
E come entrar potrà sí grande Dio
Nel mio piccolo core? Io mi sgomento!
Ma dimmi: E quando accolto avrollo in petto.
È ver che sentiró grande diletto?
E dimmi ancora s'egli è ver che muore
Nell'atto chi il riceve e non n'è degno.
Io molto temo, e però nudo il cuore
Dentro le mani, o Padre, a pôr ti vegno.
Io sono una superba, io delle suore
Sono il tormento, e per nulla mi sdegno.
E queste colpe, o Padre, è ver che sono
Gravi ed indegne di ottener perdono?
Mi accuso pur di aver dormito in Coro
Al canto dell'Uffizio mattutino
D'aver messo in non cale il mio lavoro,
Rotta una lampa, e l'orciolin del vino;
Di aver con vanità, poi ch'esso è d'oro,
Camminando, agitato l'orecchino,
E nello specchio, ma una sola fiata,
Di essermi compiaciuta ed ammirata.
Ed or sui seggi, ed or nel letto infissa
Qualche spilla di avere anche mi accuso,
Perchè in sedervi su suor Crocifissa,
Ne fosse punta, e si levasse suso;
Di aver la veste a suor Matilde scisso,
Furato un ago, ed occultato il fuso.
E mentre suor Sofia s'iva a sedere
Tratto lo scanno, e fattala cadere. —
— Ma perché, l'altro le risponde, un cuore
Così maligno, se non eri offesa?
— Padre che dici mai? quelle due suore
Avean dapprima mossa aspra contesa.
— E con chi? forse teco? — Ah! no Signore;
Ma con l'amica mia... Non sai? Teresa!
Teresa è la più bella, e tu non puoi
Pensarti quanto ben ci vogliam noi.
A proposito, o Padre; or ora udrai
Le colpe più secrete anche di lei.
Odila; al suo dolor tu sol potrai
Porger conforto, perché un Angel sei.
Ricorda una canzone, e oh quanti lai
Sparge allorché la canta, e quanti omei!
Di che si duole, o Padre? io l'amo tanto,
E pur non posso ristagnarle il pianto —
Come uom cresciuto in valle, dove scola
L'acqua febbrile di corrotti stagni,
Se sale ai monti, e incontra una viola
Tutta soletta all'ombra dei castagni,
Giubila a quella vista e si consola
Più che avaro per subiti guadagni,
E la contempla, e le si posa allato
Per tutto attrarne l'odoroso fiato;
Quel Ministro di Dio non altrimenti,
Animi vili nella melma fitti
Uso a veder nella città frequenti,
Viver con solo trafficar delitti,
Ed avari, oppressori, fraudolenti
Il decoro e l'onesto aver prescritti,
Tra quelle suore di trovarsi or gode,
E sente, in ascoltarle, una melode.
Crede di respirare aria più pura,
Un odore sentir, che sa di Cielo,
Quando ciascuna con gentil paura
Della casta alma sua solleva il velo;
Ma soprattutto con Eugenia ha cura
Di starsi a lungo, chè in udir l'anelo
Seno di lei, cui scuote un timor pio,
A un angel crede favellar di Dio.
Alfin la benedice ed Ella, presta,
Sfavillando dagli occhi un lume arcano,
Levasi in piedi, scuotesi la vesta,
E alla sua stanza si ritrae pian piano.
Scontra Teresa, che vien muta e mesta,
Le si appressa all'orecchio, e con la mano
Parando i detti: — Oh qual, dice, terrore
Che io scordata mi sia di qualche errore! —
Sorride la dolente, e genuflessa
Ai piedi dell'ignoto sacerdote,
Ripete, come fece alla badessa,
Della sua storia le pietose note.
L'ode in silenzio il confessore; ond'essa
Soggiunge: — Ah! veggio ben che non riscuote,
Pietà il mio cor, che con affetto rio
Un uomo amar potea piú assai di Dio —
E tace di bel nuovo, e aspetta intanto,
Ma indarno; chè colui non le risponde.
Ode ben ella un singhiozzare, un pianto
Oltre la grata, che ai suoi rai l'asconde.
Le parla alfine, e così grave e santo
Suona l'accento suo, che al cor le infonde
Un palpito, un sussulto, ed una tema,
Onde trema, nè sa perchè ella trema.
—Figlia! egli dice: i casi tuoi mi fanno
Ricordare lo stolto pellegrino,
Che or segue le farfalle, or del nov'anno
Coglie i nascenti fior sul suo cammino;
Nè guarda innanzi, nè pensa all'affanno,
Che gli minaccia il turbine vicino,
Nè la notte seguace, che secreta
Cade a celargli la difficil meta.
Di tua vita non sei forse nel mezzo?
Non t’incalza alle spalle il tempo ingordo?
E perchè ancora d'un puerile vezzo
D'un passaggiero amor serbi ricordo?
Ha sue cure ogni dì; resti da sezzo
Quel tempo che il tuo core a Dio fu sordo.
Vaneggiasti fanciulla, ed ora, o figlia,
A più savi pensier l'età consiglia.
E a che membrare un già passato amore?
Sai tu se quel tuo amante ora ti obblia
In seno ad altra donna, a cui l'amore
Incorrotto serbar pare follia?
Sai tu se, sopraggiunto all'ultime ore,
Scheletro informe, e feda polve ei sia?
E si dolga di te, che con insani
Impuri voti il cener suo profani?
E sai tu finalmente se, pentito
Del menzognero amor, dal golfo immondo
Siasi ritratto a più sicuro lito
Indifferente spettator del mondo?
E se l'esempio tuo gagliardo invito
Pôrto gli avesse a trarsene dal fondo,
E or per te preghi, ed unica dolcezza
Gli sia la fede nella tua salvezza?
Fa core, o figlia, e vive grazie dona
A Dio, che dalla terra traditrice
Ti svelse, e pel mio labbro or ti perdona,
E come sposa sua ti benedice,
E con gli stessi accenti ti ragiona,
Che un dì con Maddalena peccatrice
Adoperò: «Qualunque tuo peccato
Ti si rimette, perché hai troppo amato» —
Così disse il Ministro, e 'l suo solenne
Parlar stampossi di Teresa in mente,
Che rizzandosi a pena se ne venne
Alla sua cella pensierosamente.
Vi entró, ma la fanciulla non rinvenne,
E invan chiamolla replicatamente,
Ché colei del Convento era all'opposta
Parte, né le potea render risposta.
In quell'opposta parte in ampia stanza
La Madre e tre delle piú vecchie suore
Intendevano a porre in ordinanza
Della mistica mensa il vario onore;
E qual la palla insalda, rimembranza
Del sasso che coprí nostro Signore;
E quale il simulacro di quel lino,
Che ravvolse il di lui corpo divino.
Videro la fanciulla in sulle soglie
D'oltrepassarle incerta, e una di loro:
— Guarda, gridó, quale stamane accoglie
Eugenia nostra in sè nuovo decoro!
Non par che quinci e quindi le germoglie
Su dagli omeri bianchi un'ala di oro?
Entra, Angiol mio, perchè lo pié ritieni? —
E soggiunsero l'altre: — Eugenia, vieni! —
E tosto Eugenia declinando gli occhi
Sen corre difilata alla Badessa,
E di quant'ansia l'alma le trabocchi
Il subito pallor ben le confessa.
Prostrasi; tra le mani ambi i ginocchi
Le stringe a lungo, e poi levando in essa
La faccia sfavillante, e tutta bella,
Dice: — Madre, io vó farmi monacella —
— Oh! oh! —
gridano tutte; ma le mani
Ella alza al ciel, e: — Deh! solo un momento,
Ripiglia a dir, mi udite; egli é domani
La prima volta che io mi sacramento.
E vi par bene ch'io con questi vani
Abiti Iddio riceva in quel momento?
Che potró far perché io gli sembri bella?
O Madre, io voglio farmi monacella —
— L'età non tel consente, cara figlia,
La badessa risponde; aspetta ancora —
— Io non aspetto nulla, Ella ripiglia,
Bisogna che mi diate il velo or ora.
Sono piccina, ma chi vi sconsiglia
Che io faccia i voti come vera suora?
Di farmi grande aspetterò, ma intanto
Or mi si dia di monacella il manto —
Le quattro vecchie si guardaro in faccia
Intenerite, e poscia ad una voce
Dissero: — O figlia, quel che vuoi, si
faccia,
Ch'ei ti chiama Gesù dalla sua croce.
Oggi come avverrà che il canto taccia
Del vespro, (di aspettarlo a te non nuoce)
Sentirai sulle spalle, auspice il cielo,
Tremarti in mille pieghe il sacro velo —
Una subita luce a tal parola
Della fanciulla scaturì dal viso,
Levasi in piè, nè corre, no; ma vola
Da cella a cella a darne a tutti avviso;
Ne fan feste le suore, ed esser sola
Vuol ciascuna a goderne il guardo e 'l riso;
L'una all'altra la ruba, e tutte a gara
Chi il velo, e chi 'l soggòlo a lei prepara.
Quand'alfin ne fu tempo, ecco che suona
La squilla, e di sonare allor sol cessa
Che in capo al corridore una corona
Di vecchie suore appar con la badessa;
Pronte a intonar la nuzial canzona
Stan le giovani ai lati in riga spessa,
E tra loro di Eugenia il viso splende,
Che il grande istante palpitando attende.
Nè attese a lungo, chè qual bianca agnella
Che udito della madre abbia il belato,
Le corre incontro, attorno le saltella,
E or sotto il destro, or sotto il manco lato
Le caccia il corpo inerme, e la mammella
Pigliando ne la spinge, e 'l desiato
Nettare mentre che ne spreme e sugge,
Tutta per lo piacer trema e si strugge;
La fanciulla così, com'ebbe udito
Chiamarsi a nome, alla badessa accorre,
E tosto che comincia il sacro rito
Piglian le suore un canto alterno a sciorre.
Svegliasi l'eco del loco romito
E 'l Ministro di Dio lo può raccorre
Che ivi all'abside in fondo una celletta
Per la stanza notturna eragli addetta.
Come a Novembre in un buio mattino
Di là dai nuvoloni, ond'è il ciel chiuso,
Ode subiti canti il contadino
Sonar fuggendo, e leva il capo in suso,
Nè vedendo lo stuolo pellegrino
Chiede a sè stesso attonito e confuso:
Oh! come volano alto quegli uccelli,
Chi sa dirmi ove vanno, e chi son elli?
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