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Vincenzo Padula
Il Monastero di Sambucina

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  • — Canto 5. —
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— Canto 5. —

 

  Venuto era il Ministro innanzi a cui

  Genuflessa ogni suora umilemente

  Tutti svelar doveva i falli sui

  E render mondo il cor, pura la mente,

  Per farsi degna di pigliar da lui

  L'eucaristico pane al dì vegnente;

  Ond'altro per le stanze non si udia

  Che un gemer fioco, una lettura pia.

 

  E bello era mirarle, ire e redire

  Chiuse dei loro veli entro il candore

  Ad una ad una, e senza nulla dire

  Incontrarsi pel lungo corridore,

  Di cui nel fondo i lor peccati a udire

  Giudice, e insieme medico, e dottore

  Quegli, poiché la grata il nascondea,

  Come Nume invisibile sedea.

 

  E tu tra l’altre, Eugenia, anche gli vai

  Innanzi tutta timida e raccolta.

  Ah! il pensier che diman prender dovrai

  L'ostia immortale per la prima volta

  Ti versa attorno una pioggia di rai,

  Dall'essere mortal ti fa disciolta,

  E t'inoltri pel lungo corridore,

  Come colomba, che non fa rumore.

 

  Così si accosta, e giá le batte il petto

  Nella speranza, che ora inteso avria

  L'innamorato suo proprio angioletto,

  Od altri che di lui le parleria.

  O di fanciulla vergine intelletto!

  O non corrotta purità natia!

  Un angelo é per lei quel sacerdote,

  Che chiude in corpo uman sembianze ignote.

 

  Pone giù le ginocchia, e: — Padre, dice,

  Di' prima il nome tuo; sei tu Gabriello?

  E se tal sei, mostrarmiti ti lice? —

  E quei: — No, mia figliuola, io non son quello —

  E l'altra: — La badessa men ridice

  l'alte virtudi, e sempre io lo rappello;

  E a che non viene? Non sai tu qualmente

  Io l'ami? ed ei me pure ama egualmente.

 

  Mi ama egualmente, e se tu nol sai,

  Dirò che dalla prossima collina

  La luna colma non si leva mai,

  Che io non veggia la sua faccia divina:

  Perchè mi slancia sì ridenti rai?

  Perchè assieme con me fugge e cammina,

  E mi segue, e repente in sulla testa

  Mi si arresta, se il mio passo si arresta? —

 

  Ma quegli l'interrompe, e: — Il luogo chiede

  Altri discorsi, le risponde, o figlia,

  Chè non ravvivi in te tutta la fede

  A creder la piú grande meraviglia?

  Domani un Dio dalla superna sede

  Scenderà con l'angelica famiglia

  Per la primiera volta entro il tuo core:

  Non vorrai tu aspettarlo, e fargli onore?—

 

  Ed ella: — Tremar tutta, o padre mio,

  Tutta la vita a tal pensier mi sento,

  Il giorno di domani io lo desio,

  Ma nel medesmo tempo io lo pavento.

  E come entrar potrà sí grande Dio

  Nel mio piccolo core? Io mi sgomento!

  Ma dimmi: E quando accolto avrollo in petto.

  È ver che sentiró grande diletto?

 

  E dimmi ancora s'egli è ver che muore

  Nell'atto chi il riceve e non n'è degno.

  Io molto temo, e però nudo il cuore

  Dentro le mani, o Padre, a pôr ti vegno.

  Io sono una superba, io delle suore

  Sono il tormento, e per nulla mi sdegno.

  E queste colpe, o Padre, è ver che sono

  Gravi ed indegne di ottener perdono?

 

  Mi accuso pur di aver dormito in Coro

  Al canto dell'Uffizio mattutino

  D'aver messo in non cale il mio lavoro,

  Rotta una lampa, e l'orciolin del vino;

  Di aver con vanità, poi ch'esso è d'oro,

  Camminando, agitato l'orecchino,

  E nello specchio, ma una sola fiata,

  Di essermi compiaciuta ed ammirata.

 

  Ed or sui seggi, ed or nel letto infissa

  Qualche spilla di avere anche mi accuso,

  Perchè in sedervi su suor Crocifissa,

  Ne fosse punta, e si levasse suso;

  Di aver la veste a suor Matilde scisso,

  Furato un ago, ed occultato il fuso.

  E mentre suor Sofia s'iva a sedere

  Tratto lo scanno, e fattala cadere. —

 

  — Ma perché, l'altro le risponde, un cuore

  Così maligno, se non eri offesa?

  — Padre che dici mai? quelle due suore

  Avean dapprima mossa aspra contesa.

  — E con chi? forse teco? — Ah! no Signore;

  Ma con l'amica mia... Non sai? Teresa!

  Teresa è la più bella, e tu non puoi

  Pensarti quanto ben ci vogliam noi.

 

  A proposito, o Padre; or ora udrai

  Le colpe più secrete anche di lei.

  Odila; al suo dolor tu sol potrai

  Porger conforto, perché un Angel sei.

  Ricorda una canzone, e oh quanti lai

  Sparge allorché la canta, e quanti omei!

  Di che si duole, o Padre? io l'amo tanto,

  E pur non posso ristagnarle il pianto —

 

  Come uom cresciuto in valle, dove scola

  L'acqua febbrile di corrotti stagni,

  Se sale ai monti, e incontra una viola

  Tutta soletta all'ombra dei castagni,

  Giubila a quella vista e si consola

  Più che avaro per subiti guadagni,

  E la contempla, e le si posa allato

  Per tutto attrarne l'odoroso fiato;

 

  Quel Ministro di Dio non altrimenti,

  Animi vili nella melma fitti

  Uso a veder nella città frequenti,

  Viver con solo trafficar delitti,

  Ed avari, oppressori, fraudolenti

  Il decoro e l'onesto aver prescritti,

  Tra quelle suore di trovarsi or gode,

  E sente, in ascoltarle, una melode.

 

  Crede di respirare aria più pura,

  Un odore sentir, che sa di Cielo,

  Quando ciascuna con gentil paura

  Della casta alma sua solleva il velo;

  Ma soprattutto con Eugenia ha cura

  Di starsi a lungo, chè in udir l'anelo

  Seno di lei, cui scuote un timor pio,

  A un angel crede favellar di Dio.

 

  Alfin la benedice ed Ella, presta,

  Sfavillando dagli occhi un lume arcano,

  Levasi in piedi, scuotesi la vesta,

  E alla sua stanza si ritrae pian piano.

  Scontra Teresa, che vien muta e mesta,

  Le si appressa all'orecchio, e con la mano

  Parando i detti: —  Oh qual, dice, terrore

  Che io scordata mi sia di qualche errore! —

 

  Sorride la dolente, e genuflessa

  Ai piedi dell'ignoto sacerdote,

  Ripete, come fece alla badessa,

  Della sua storia le pietose note.

  L'ode in silenzio il confessore; ond'essa

  Soggiunge: — Ah! veggio ben che non riscuote,

  Pietà il mio cor, che con affetto rio

  Un uomo amar potea piú assai di Dio —

 

  E tace di bel nuovo, e aspetta intanto,

  Ma indarno; chè colui non le risponde.

  Ode ben ella un singhiozzare, un pianto

  Oltre la grata, che ai suoi rai l'asconde.

  Le parla alfine, e così grave e santo

  Suona l'accento suo, che al cor le infonde

  Un palpito, un sussulto, ed una tema,

  Onde trema, nè sa perchè ella trema.

 

  —Figlia! egli dice: i casi tuoi mi fanno

  Ricordare lo stolto pellegrino,

  Che or segue le farfalle, or del nov'anno

  Coglie i nascenti fior sul suo cammino;

  Nè guarda innanzi, nè pensa all'affanno,

  Che gli minaccia il turbine vicino,

  Nè la notte seguace, che secreta

  Cade a celargli la difficil meta.

 

  Di tua vita non sei forse nel mezzo?

  Non t’incalza alle spalle il tempo ingordo?

  E perchè ancora d'un puerile vezzo

  D'un passaggiero amor serbi ricordo?

  Ha sue cure ogni dì; resti da sezzo

  Quel tempo che il tuo core a Dio fu sordo.

  Vaneggiasti fanciulla, ed ora, o figlia,

  A più savi pensier l'età consiglia.

 

  E a che membrare un già passato amore?

  Sai tu se quel tuo amante ora ti obblia

  In seno ad altra donna, a cui l'amore

  Incorrotto serbar pare follia?

  Sai tu se, sopraggiunto all'ultime ore,

  Scheletro informe, e feda polve ei sia?

  E si dolga di te, che con insani

  Impuri voti il cener suo profani?

 

  E sai tu finalmente se, pentito

  Del menzognero amor, dal golfo immondo

  Siasi ritratto a più sicuro lito

  Indifferente spettator del mondo?

  E se l'esempio tuo gagliardo invito

  Pôrto gli avesse a trarsene dal fondo,

  E or per te preghi, ed unica dolcezza

  Gli sia la fede nella tua salvezza?

 

  Fa core, o figlia, e vive grazie dona

  A Dio, che dalla terra traditrice

  Ti svelse, e pel mio labbro or ti perdona,

  E come sposa sua ti benedice,

  E con gli stessi accenti ti ragiona,

  Che un dì con Maddalena peccatrice

  Adoperò: «Qualunque tuo peccato

  Ti si rimette, perché hai troppo amato» —

 

  Così disse il Ministro, e 'l suo solenne

  Parlar stampossi di Teresa in mente,

  Che rizzandosi a pena se ne venne

  Alla sua cella pensierosamente.

  Vi entró, ma la fanciulla non rinvenne,

  E invan chiamolla replicatamente,

  Ché colei del Convento era all'opposta

  Parte, né le potea render risposta.

 

  In quell'opposta parte in ampia stanza

  La Madre e tre delle piú vecchie suore

  Intendevano a porre in ordinanza

  Della mistica mensa il vario onore;

  E qual la palla insalda, rimembranza

  Del sasso che coprí nostro Signore;

  E quale il simulacro di quel lino,

  Che ravvolse il di lui corpo divino.

 

  Videro la fanciulla in sulle soglie

  D'oltrepassarle incerta, e una di loro:

  — Guarda, gridó, quale stamane accoglie

  Eugenia nostra in sè nuovo decoro!

  Non par che quinci e quindi le germoglie

  Su dagli omeri bianchi un'ala di oro?

  Entra, Angiol mio, perchè lo pié ritieni? —

  E soggiunsero l'altre: — Eugenia, vieni! —

 

  E tosto Eugenia declinando gli occhi

  Sen corre difilata alla Badessa,

  E di quant'ansia l'alma le trabocchi

  Il subito pallor ben le confessa.

  Prostrasi; tra le mani ambi i ginocchi

  Le stringe a lungo, e poi levando in essa

  La faccia sfavillante, e tutta bella,

  Dice: — Madre, io vó farmi monacella —

 

  — Oh! oh! —  gridano tutte; ma le mani

  Ella alza al ciel, e: — Deh! solo un momento,

  Ripiglia a dir, mi udite; egli é domani

  La prima volta che io mi sacramento.

  E vi par bene ch'io con questi vani

  Abiti Iddio riceva in quel momento?

  Che potró far perché io gli sembri bella?

  O Madre, io voglio farmi monacella —

 

  — L'età non tel consente, cara figlia,

  La badessa risponde; aspetta ancora —

  — Io non aspetto nulla, Ella ripiglia,

  Bisogna che mi diate il velo or ora.

  Sono piccina, ma chi vi sconsiglia

  Che io faccia i voti come vera suora?

  Di farmi grande aspetterò, ma intanto

  Or mi si dia di monacella il manto —

 

  Le quattro vecchie si guardaro in faccia

  Intenerite, e poscia ad una voce

  Dissero: — O figlia, quel che vuoi, si faccia,

  Ch'ei ti chiama Gesù dalla sua croce.

  Oggi come avverrà che il canto taccia

  Del vespro, (di aspettarlo a te non nuoce)

  Sentirai sulle spalle, auspice il cielo,

  Tremarti in mille pieghe il sacro velo —

 

  Una subita luce a tal parola

  Della fanciulla scaturì dal viso,

  Levasi in piè, nè corre, no; ma vola

  Da cella a cella a darne a tutti avviso;

  Ne fan feste le suore, ed esser sola

  Vuol ciascuna a goderne il guardo e 'l riso;

  L'una all'altra la ruba, e tutte a gara

  Chi il velo, e chi 'l soggòlo a lei prepara.

 

  Quand'alfin ne fu tempo, ecco che suona

  La squilla, e di sonare allor sol cessa

  Che in capo al corridore una corona

  Di vecchie suore appar con la badessa;

  Pronte a intonar la nuzial canzona

  Stan le giovani ai lati in riga spessa,

  E tra loro di Eugenia il viso splende,

  Che il grande istante palpitando attende.

 

  Nè attese a lungo, chè qual bianca agnella

  Che udito della madre abbia il belato,

  Le corre incontro, attorno le saltella,

  E or sotto il destro, or sotto il manco lato

  Le caccia il corpo inerme, e la mammella

  Pigliando ne la spinge, e 'l desiato

  Nettare mentre che ne spreme e sugge,

  Tutta per lo piacer trema e si strugge;

 

  La fanciulla così, com'ebbe udito

  Chiamarsi a nome, alla badessa accorre,

  E tosto che comincia il sacro rito

  Piglian le suore un canto alterno a sciorre.

  Svegliasi l'eco del loco romito

  E 'l Ministro di Dio lo può raccorre

  Che ivi all'abside in fondo una celletta

  Per la stanza notturna eragli addetta.

 

  Come a Novembre in un buio mattino

  Di là dai nuvoloni, ond'è il ciel chiuso,

  Ode subiti canti il contadino

  Sonar fuggendo, e leva il capo in suso,

  Nè vedendo lo stuolo pellegrino

  Chiede a sè stesso attonito e confuso:

  Oh! come volano alto quegli uccelli,

  Chi sa dirmi ove vanno, e chi son elli?

 




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