Non intendo sviluppare qui un programma per i temi
immediati del dialogo. Questo è compito dei teologi in collaborazione con i
Vescovi: i teologi sulla base della loro conoscenza del problema, i Vescovi a
partire dalla loro conoscenza della situazione concreta delle Chiese nel nostro
Paese e nel mondo. Mi sia concessa soltanto una piccola annotazione: si dice
che ora, dopo il chiarimento relativo alla Dottrina della giustificazione,
l'elaborazione delle questioni ecclesiologiche e delle questioni relative al
ministero sia l'ostacolo principale che rimane da superare. Ciò in definitiva è
vero, ma devo anche dire che non amo questa terminologia e da un certo punto di
vista questa delimitazione del problema, poiché sembra che ora dovremmo
dibattere delle istituzioni invece che della Parola di Dio, come se dovessimo
porre al centro le nostre istituzioni e fare per esse una guerra. Penso che in
questo modo il problema ecclesiologico così come quello del "ministerium"
non vengano affrontati correttamente. La questione vera è la presenza della
Parola nel mondo. La Chiesa primitiva nel secondo secolo ha preso una triplice
decisione: innanzitutto di stabilire il canone, sottolineando in tal modo la
sovranità della Parola e spiegando che non solo il Vecchio Testamento è
"hai graphai", ma che il Nuovo Testamento costituisce con esso
un'unica Scrittura e in tal modo è per noi il nostro vero sovrano. Ma al
contempo la Chiesa ha formulato la successione apostolica, il ministero
episcopale, nella consapevolezza che la Parola e il testimone vanno insieme, che cioè la Parola è viva e presente solo grazie al testimone e, per così
dire, da esso riceve la sua interpretazione, e che reciprocamente il testimone
è tale solo se testimonia la Parola. E infine, la Chiesa ha aggiunto come terza cosa la "regula fidei" quale chiave interpretativa.
Credo che questa vicendevole compenetrazione costituisca oggetto di dissenso
fra noi, sebbene siamo uniti su cose fondamentali. Quindi, quando parliamo di
ecclesiologia e di ministero, dovremmo parlare preferibilmente di questo
intreccio di Parola, testimone e regola di fede e considerarlo come questione
ecclesiologica e quindi insieme come questione della Parola di Dio, della sua
sovranità e della sua umiltà, in quanto il Signore affida la sua Parola ai
testimoni e ne concede l'interpretazione, che però deve commisurarsi sempre
alla "regula fidei" e alla serietà della Parola. Scusatemi se ho
espresso qui un'opinione personale, ma mi sembrava giusto farlo.
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