Questa prima fondamentale trasformazione della violenza in
amore, della morte in vita trascina poi con sé le altre trasformazioni. Pane e
vino diventano il suo Corpo e Sangue. A questo punto però la trasformazione non
deve fermarsi, anzi è qui che deve cominciare appieno. Il Corpo e il Sangue di
Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta.
Noi stessi dobbiamo diventare Corpo di Cristo, consanguinei di Lui. Tutti
mangiamo l'unico pane, ma questo significa che tra di noi diventiamo una cosa
sola. L'adorazione, abbiamo detto, diventa unione. Dio non è più soltanto di
fronte a noi, come il Totalmente Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui. La
sua dinamica ci penetra e da noi vuole propagarsi agli altri e estendersi a
tutto il mondo, perché il suo amore diventi realmente la misura dominante del
mondo. Io trovo un'allusione molto bella a questo nuovo passo che l'Ultima Cena
ci ha donato nella differente accezione che la parola "adorazione" ha
in greco e in latino. La parola greca suona proskynesis. Essa significa
il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura,
la cui norma accettiamo di seguire. Significa che libertà non vuol dire godersi
la vita, ritenersi assolutamente autonomi, ma orientarsi secondo la misura
della verità e del bene, per diventare in tal modo noi stessi veri e buoni.
Questo gesto è necessario, anche se la nostra brama di libertà in un primo
momento resiste a questa prospettiva. Il farla completamente nostra sarà
possibile soltanto nel secondo passo che l'Ultima Cena ci dischiude. La parola
latina per adorazione è ad-oratio - contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e
quindi in fondo amore. La sottomissione diventa unione, perché colui al quale ci
sottomettiamo è Amore. Così sottomissione acquista un senso, perché non ci
impone cose estranee, ma ci libera in funzione della più intima verità del
nostro essere.
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