I
Introibo - Partenza –
Milano
Il titolo è un
po’ lungo e coniato all’antica. Infatti i nostri vecchi, se avevano da
intitolare qualche frittella, piantavano sul frontespizio un rombo o per lo
meno un triangolo di parole, che spiegavano tutto il contenuto del libro.
Ad esempio: Della necessità del Padre Eterno con disquisizioni sugli
Angeli, sui santi e su tutta la Coorte del paradiso, libri nove di Abelardo
Nespola, con postille ed un indice copioso.
Altro esempio: Le prose di Leprone Mignatta, dove si passano in rassegna
tutte le sorta di reti, paste, trappole ed istrumenti da pigliar pesci, e si
insegnano nuovi modi di star sotto l’acqua, divise in sette capitoli, purgate e
di nuovo con somma diligenza, ecc.
Invece i moderni sarebbero andati per le spiccie, ed avrebbero stampato
puramente e semplicemente sul frontespizio ABELARDO NESPOLA -
Il Padre Eterno; - e Sott’acqua, per LEPRONE MIGNATTA.
Imperocché
gli scrittori moderni recidono, raschiano, mangiano quasi tutti gli aggettivi e
le preposizioni sul frontespizio delle loro opere.
Così il bravo scrittore della Vita Militare stampò: DE AMICIS -
Spagna, - DE AMICIS - Olanda, quasiché i suoi libri fossero
pezzi di orbe terracqueo con Sierra Nevada e dighe.
Edmondo poteva lasciare benissimo, che facessero questo i signori bottegai,
i quali mettono sulle forme di cacio olandese e di parmigiano certi bottelli
che dicono: Olanda e Parma.
Andando di questo passo, a forza di recidere e di limare i titoli dei
libri, questi titoli diventeranno monosillabi, tic, tac, prin, pronn, mosse di
ago telegrafico, fucilate...
Ma del titolo ho detto abbastanza; e conchiudo, che io porto il codino e
sto con gli antichi.
Sono venuto per la prima volta a Roma, passati quasi quattro anni precisi,
da poiché vi si fece vedere Vittorio Emanuele al tempo della piena del Tevere,
quando il Re Barbigione indovinò con il cuore il sublime indovinello di farvi
la sua prima entrata in modo degno di un Plutarco cristiano, come disse allora
il mio prevosto.
Veramente, da buon cittadino, io non avrei dovuto indugiare tanto a seguire
l’esempio del mio Re nel portare la cartolina di visita alla nuova capitale del
regno.
Ma le cure del sindacato e di Giacomina, mia moglie, la consuetudine di
vivere ai piedi delle Alpi, fra le punzecchiature della nebbia, sotto un cielo
di acciaio con la patina, l’attraenza del buco, che ho fatto nel mio nido, me
ne distolsero sempre.
Eppoi la veduta delle nostre montagne uncinate ci tira in su; onde io era
salito parecchie volte sulle Alpi, e di lì ero disceso in Isvizzera, in Savoia
e in Tedescheria: ma a calare giù nel molle e nel dolce della nostra Italia,
non sapevo risolvermi.
Finalmente quest’autunno... (tra parentesi, chi sa perché negli almanacchi
tutto il novembre, e più di quattro sesti del dicembre si chiamano autunno in
barba alla brina e al ghiaccio?) Claudite!
Finalmente quest’autunno venne il bisogno per il villaggio da me
amministrato di sollecitare dal ministero l’approvazione di un regolamento per
i macelli pubblici - pratica che da due anni viaggiava dagli scaffali
del sottoprefetto a quelli di un caposezione, e dormiva per istrada nell’andata
e nel ritorno.
Allora per la salute della mia patria più piccola comperai un viglietto
circolare (Viaggio, n° V) a mie spese, e non a quelle del comune. (Lo sappia la
Sciarpa Rossa, che è il giornale di opposizione del mio mandamento); e,
rotta la cavezza di mia moglie e del mio buco, partii per Roma.
Era uno degli ultimi giorni di novembre...
Dai finestrini del carrozzone vedeva i rami degli alberi brulli come fili
di ferro; vedeva i passeri scappare dagli alberi come foglie secche; vedeva i
solchi dei campi, cascanti, rassegnati, logori, come solchi, che abbiano fatto
il loro tempo: la terra quasi tutta color tabacco, con qualche po’ di grigio e
giallo marcio nei rimasugli delle stoppie, e con qualche scampolo di foglia o
d’erba verde. Era un verde d’insalata, un verde della misericordia, un verde
raggrinzito; inumidito, dimenticato - mortificato di trovarsi lì in quella stagione.
La terra taceva e stava raccolta come dopo una sconfitta. Eppure quando la
terra è ravvolta nel silenzio e nell’umiltà dell’inverno, essa, la modesta e
brava donna, ci prepara le galanterie della vegetazione avvenire.
Oh! io preferisco il modotenendi della signora terra, che parla poco ed
opera assai, a quello dei collaboratori della Sciarpa Rossa, il poco
lodato giornale di opposizione del mio mandamento, i quali si fanno sentire
tutto il giorno a chiacchierare e a scribacchiare, e poi non sanno far altro di
più importante, che guardare inutilmente l’albergatrice della Bella Venezia.
Io non so passare davanti Milano senza fermarmici.
Mi tira la faccia meneghina di quella città: mi piace sentire quel
linguaggio aperto, spaccato, rovesciato, simile a un arco, a un popone maturo,
pieno di accenti gravi e circonflessi.
Feci pertanto una tappa a Milano; dove gli affreschi delle nuove palazzine
hanno finzioni traditrici di ombre e di prospettive, da ogni liquorista si può
trovare un poeta, o un romanziere o un artista che anderà ai posteri, e dove
però le insegne e le iscrizioni pubbliche hanno una libertà di eleganza tutta
loro propria; verbigrazia: Sostraio di pietre. - È proibito il
passaggio a cavalli, muli, e ruotanti di ogni specie; - e dove sulle portiere
degli avvocati è scritto ingenuamente: Avanti!
Mentre guardavo ammirato i nuovi portici che girano intorno alla Galleria
Vittorio Emanuele, ed i nuovi negozii, in cui le lastre di cristallo sfolgorano
e riescono una sfida e una sgomento alle borse, il segretario comunale di
Monticello, che volle accompagnarmi nel viaggio, guardava il Duomo.
E sentite che bestemmia di idea gli fermentò nella mente, ideaccia, che
egli non ebbe paura di palesarmi:
- Guardi, signor sindaco! Dopo i palazzi, i
portici, e i negozi nuovi, oh guardi il Duomo! Come diventa mai vecchio e
imbecille! Una volta pareva una pineta di marmo, in cui i pini avessero un po’
di vita e si movessero. Invece adesso il Duomo se ne sta lì rimminchionito,
tutto in un mucchio, in un gruppo, carico di gromma e di ruggine. Pare un
istrice raggomitolato, pieno di sospetti e di invidia per la Galleria Nuova, e
per la sua cupola giovane di vetro, che di sera illumina persino il cielo,
mentre esso, il vecchio, si accorge di spegnersi. Voglia sentire, signor
sindaco, una mia profezia. Nella stessa maniera che adesso hanno atterrato e
seguitano a buttar giù delle case, ed allargano la piazza per fare piacere al
Duomo, scommetto che i posteri finiranno con buttare giù il Duomo per rendere
più larga e più pulita la piazza! -
Io tappai con la mano la bocca al segretario, e minacciai di sospenderlo,
se avesse seguitato a bestemmiare.
Sulla piazza del Duomo si diroccava un vecchio casamento. Certe camere
mostravano bruscamente il loro spaccato. Oh! come mi faceva pena vedere la
tappezzeria o il camino di una stanzuccia, destinati al raccoglimento, alle
conversazioni, al pranzo e ai misteri di una famiglia, vederli, dico, esposti
al pubblico della gente, del sole e delle intemperie. E nel punto di spazio occupato
da quel piano superiore, che si incammina a scomparire, forse non pranzerà e
non chiacchiererà più nessuno!
Da Milano andammo difilati a Venezia.
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