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Giovanni Faldella Un viaggio a Roma senza vedere il Papa IntraText CT - Lettura del testo |
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IXSeguita la storia di un ciociaro e di una ciociara, e termina con una predica
Dalle stecche del busto le saliva sulle spalle una camicia bianchissima. Dalla camicia come dagli orli di un vaso di porcellana si alzava un collo tornito, snello, indipendente, e sul collo una testolina che aveva le linee passionate e incisive di Beatrice Cenci e gli occhioni larghi, comprensivi della Fornarina, i più i begli occhi che siano comparsi a questo mondo. Sulla capigliatura, che pareva una coppia di palombe, posava un fazzoletto in forma di assicella. Le calava il grembiule pittoresco sul davanti delle gonne corte, che lasciavano vedere sui fusi delle gambe i rombi gentili fatti dai legacci delle ciocie (calzari). Tutti gli uomini dal più al meno posseggono una macchinetta ideale nella testa, massime dopo un bicchiere di buon vino o dopo una tazza di vero caffè. Ebbene, io pregherei i miei lettori, previa una tazza di caffè o un bicchiere di vino, a far lavorare la loro macchinetta per fabbricare la più bella donna di cui sia capace la loro fantasia. Scommetto il mio orologio Vacheron ad otto pietre, che la ciociara da me veduta riuscirebbe vincitrice al paragone di tutte le donne fabbricate da una macchinetta ideale. Io la abbordai, e le dissi: - Buon giorno! - Essa mi rispose: - Buon giorno! – . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Poi io seguitai o credetti di seguitare a dirle: - Suprema ragazza - suprema come lo Sciampagna nel menu di un pranzo di gala - tu non conosci il tuo valore, ignori la tua importanza e la tua classificazione. Tu sei bella, tu appartieni all’Arte, tanto quanto una Venere di Prassitele, o una bizzarria di Heine... Come dovette essere musica la verzura, che rise negli occhi a tua mamma; come dovette essere armonioso il cielo, armonioso il paesaggio, quando la baciò tuo padre! Tu sei venuta diritta a noi da quei secoli, in cui trionfavano la forma e la fisiologia - in cui le bellezze femminine erano medaglie al valore militare, premi e menzioni onorevoli ai vincitori nelle corse, come le clamidi broccate d’oro e le loriche luccicanti di perle, in cui i Romani erculei rubavano e domavano le fanciulle Sabine, puledre orgogliose - in cui si faceva la politica, e si facevano i lunghi assedi della città per amore di donne - amore, allora possessione da paradiso terrestre, e non ancora malinconia intima e fantastica da paladino, e tanto meno esalazione mefitica di romanzi da strapazzo... Bella! Bella! E tu ti trovi forestiera in questa età di sentimenti, di numeri e di idee, esistenze raschiate di ogni corpo e di ogni forma... Bella! Bella! Vorrei che ti avessero vista gli autori dei più cari libri, che io abbia letto. Chi sa quali stragrandi inspirazioni avresti loro suscitato, secondo la regola se tanto mi dà tanto!... Imperocché gli scrittori d’ordinario tirano le loro inspirazioni leggiadre da modelle brutte come il peccato... ed io conosco un poeta autore di versi invulnerabili, la cui inspiratrice somiglia nel viso a un piatto di lenticchie. Bella! Bella! -
La suprema ciociara, mentre io parlava, o credeva di parlare, masticava una nocciuola rosicchiarella. Io le domandai che cosa faceva. Essa mi disse: - La modella -. Io le domandai perché voleva fare la modella, ed essa mi rispose: perché quella mattina aveva condotto suo fratello fuori dell’ospedale, e gli doveva pagare la colazione in una osteria di cucina, dove lo aveva lasciato... Mi diedi un picchio sulla fronte. Quella ciociara era la sorella del mio ciociaro. Senza rimproccio, come dicono i miei contadini, quando sono costretti a confessare di avere sentito una messa, o di aver fatto una buona azione, di cui non intendono farsi belli davanti agli altri - senza rimproccio - stavolta deliberai di pagarla io la colazione al giallo e pigro ciociaro.
Quando ritornai all’osteria di cucina, lo avevano già fatto alzare. Il garzone, stanco di domandargli inutilmente i quattrini, aveva pensato di appigliarsi ai mezzi coercitivi. Si era affacciato alla porta dell’osteria, adocchiando se passava di là qualche guardia di pubblica sicurezza. Spuntarono due magnifici pizzardoni: così si chiamano a Roma le guardie civiche, dalla punta del loro cappello che somiglia il becco di un pizzardone, classificato da Linneo tra gli uccelli acquatici municipali. Ma eglino furono tosto occupati da due popolane letichine, che si rivolsero loro per certe particolari ragioni; imperocché i pizzardoni, mentre non si trovano troppo in buona vista dei popolani, sono per lo contrario - essendo in generale pezzi di belli uomini - careggiati dalle donne del popolo, e tenuti in conto di loro pacieri e giudici Salomoni nelle piazze e per le vie. Le guardie ascoltavano dunque le due femmine, che volevano farsi raddrizzare i loro torti, quando furono chiamate dal garzone dell’osteria, perché lo aiutassero a riscuotere la cattiva paga del ciociaro. Quei magistrati stradali si trovarono nell’imbarazzo dell’imperatore Traiano, che, mossosi con l’esercito per andare al campo, fu richiesto di giustizia da una donnicciuola a cui avevano morto il figliuolo. Essi adoperarono l’unico modo razionale di sgabellarsela per chi ha da fare due cose a un tempo: farne una alla volta. Diedero la loro sentenza salomonica alle popolane, e poi entrarono nell’osteria di cucina; e con una gomitata fecero levare in piedi il povero ciociaro, come l’ho riveduto io. Meschinello! Lo ritrovai sbiobbo, piccino, quale non l’avrei mai dubitato quando lo vedeva seduto. Non c’è nessun paragone di bestia bastonata ed afflitta, che possa dare il colorito spento di quel macilente in mezzo ai due floridi pizzardoni.
Avendo io pagato il suo scotto, il ciociaro e la ciociara se ne andarono con Dio; il ciociaro strascicava il suo mantello sbrandellato, e sotto il mantello le ciocie luride e penzolanti; la ciociara, nella movenza delle spalle morbide e bianche, riusciva più armoniosa che gli omeri sonanti dell’omerico Apollo.
Mentre li scorgeva dilungarsi da me, correvo loro dietro con le mie malinconie. Misuravo la distanza che intercede fra quelle anime di bufalo piagato e di giovenca rigogliosa con le anime dei contadini toscani, che al padre Giuliani, amoroso della loro toscanità, risposero con discorsi in cui gongolano i colori, la moralità e la poesia. Io pensai alle famiglie contadine delle mie montagne, da cui originano vere e fiere dinastie di consiglieri comunali e di sindaci; e in cui i vecchi hanno le mani tremule, il naso adunco, le brache corte, le calze nere di fioretto, a modo dei preti - ma l’anima altiera: tanto che sanno levare il becco contro il parroco nelle questioni di confraternita, e tener testa al sotto-prefetto nelle suggestioni elettorali. E i loro figliuoli partono giovanissimi dal paese di buon mattino, con un raggio di sole nei capelli e con una fanciulla nel cuore, e vanno a lavorare in Francia, in Svizzera, in Alemagna, nelle miniere, nei trafori, eccetera, e mandano al paese dei vaglia, spesso in oro sonante, che si fa palpare volentieri dall’ufficiale postale, e che serve a quadrare il campo, o l’orto di famiglia. E le figliuole e le nuore di quei vecchi bisogna lasciarle descrivere al commendatore sì, ma poeta Regaldi, mentre scendono dai greppi con la gerla alle spalle e il rosario fra le dita, fresche, rubiconde, pittoresche e intemerate. Gli artigiani che rimangono e quelli che ritornano al villaggio entrano nella Società operaia, che ha una bella bandiera, una cassa forte per gli ammalati, e una biblioteca popolare circolante; e quando essi, i soci, discorrono della loro Società operaia e delle Società operaie consorelle, ci mettono un’enfasi e un cuore, come parlassero delle loro amorose. Quanta differenza fra le anime contadine delle mie montagne e quelle che si allontanavano del ciociaro e della ciociara, i quali nascono, vivono, mangiano, dormono, strameggiano al pari delle bestie! Mi venne voglia di chiamare a banco i signori preti (non dico a lei, signor prevosto di Monticello), ma i maggiori preti, i quali, troppo affaccendati a scagliare scomuniche sulle Corone e sui popoli al di là dei monti, e a imbarcare le benedizioni sui bastimenti che vanno in oga magoga, lasciarono quasi cassare l’effigie umana dall’anima dei poveri cristiani più vicini all’ombra delle loro cupole eccelse e pompose.
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