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Giosuè Carducci
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  • LIBRO IV.
    • LXIII.                   PRIMAVERE ELLENICHE
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LXIII.                   PRIMAVERE ELLENICHE

(II. Dorica)

 

Sai tu l’isola bella, a le cui rive

Manda il Ionio i fragranti ultimi baci,

Nel cui sereno mar Galatea vive

E su’ monti Aci?

 

De l’ombroso pelasgo Èrice in vetta                            5

Eterna ride ivi Afrodite e impera,

E freme tutt’amor la benedetta

Da lei costiera.

 

Amor fremono, amore, e colli e prati,

Quando la Ennea da’ raddolciti inferni              10

Torna col fior de’ solchi a i lacrimati

Occhi materni.

 

Amore, amor, susurran l’acque; e Alfeo

Chiama ne’ verdi talami Aretusa

A i noti amplessi ed al concento acheo                         15

L’itala musa.

 

Amore, amore, de’ poeti a i canti

Ricantan le cittadi, e via pefòri

Dorïesi prorompono baccanti

Con cetre e fiori.                                                         20

 

Ma non di Siracusa o d’Agrigento

Chied’io le torri: quivi immenso ondeggia

L’inno tebano ed ombrano ben cento

Palme la reggia.

 

La valle ov’è che i bei Nèbrodi monti               25

Solitaria coronano di pini,

Ove Dafni pastor dicea tra i fonti

Carmi divini?

 

– Oh di Pèlope re tenere il suolo,

Oh non m’avvenga, o d’aurei talenti                             30

Gran copia, e non de l’agil piede a volo

Vincere i venti!

 

Io vo’ da questa rupe erma cantare,

Te fra le braccia avendo e via lontano

Calar vedendo l’agne bianche al mare              35

Sicilïano. –

 

Cantava il dorio giovine felice,

E tacean gli usignoli. A quella riva,

O chiusa in un bel vel di Beatrice

Anima argiva,                                                  40

 

Ti rapirò nel verso; e tra i sereni

Ozi de le campagne a mezzo il giorno,

Tacendo e rifulgendo in tutti i seni

Ciel, mare, intorno,

 

Io per te sveglierò da i colli aprichi                               45

Le Driadi bionde sovra il piè leggero

E ammiranti a le tue forme gli antichi

Numi d’Omero.

 

Muoiono gli altri dèi: di Grecia i numi

Non sanno occaso; ei dormon ne’ materni                   50

Tronchi e ne’ fiori, sopra i monti i fiumi

I mari eterni.

 

A Cristo in faccia irrigidí ne i marmi

Il puro fior di lor bellezze ignude:

Ne i carmi, o Lina, spira sol ne i carmi             55

Lor gioventude;

 

E, se gli evòca d’una bella il viso

Innamorato o d’un poeta il core,

Da la santa natura ei con un riso

Lampeggian fuore.                                                      60

 

Ecco danzan le Driadi, e – Qual etade

Chieggon le Oreadi – ti portò bella?

Da quali vieni ignote a noi contrade,

Dolce sorella?

 

Mesta cura a te siede in fra le stelle                              65

De gli occhi. Forse ti ferí Ciprigna?

Crudel nume è Afrodite ed a le belle

Forme maligna.

 

Sola tra voi mortali Elena argea

Di nepente a gli eroi le tazze infuse;                              70

Ma noi sappiam quanti misteri Gea

Nel sen racchiuse.

 

Noi coglierem per te balsami arcani

Cui lacrimâr le trasformate vite,

E le perle che lunge a i duri umani                                75

Nudre Anfitrite.

 

Noi coglierem per te fiori animati,

Esperti de la gioia e de l’affanno:

Ei le storie d’amor de’ tempi andati

Ti ridiranno;                                                                80

 

Ti ridiranno il gemer de la rosa

Che di desio su ’l tuo bel petto manca,

E gl’inni, nel tuo crin, de la fastosa

Sorella bianca.

 

Poi nosco ti addurrem ne le fulgenti                              85

De l’ametista grotte e del cristallo,

Ove eterno le forme e gli elementi

Temprano un ballo.

 

T’immergerem ne i fiumi ove il concento

De’ cigni i cori de le Naidi aduna:                                90

Su l’acque i fianchi tremolan d’argento

Come la luna.

 

Ti leverem su i gioghi al ciel vicini

Che Zeus, il padre, piú benigno mira,

Ove d’Apollo freme entro i divini                                 95

Templi la lira.

 

Ivi, raccolta ne le aulenti sale

Nostre, al bell’Ila ti farem consorte,

Ila che noi rapimmo a la brumale

Ombra di morte. –                                                      100

 

Ahi, da che tramontò la vostra etate

Vola il dolor su le terrene culle!

Questo raggio d’amor no ’l m’invidiate,

Greche fanciulle.

 

La cura ignota che il bel sen le morde               105

Io tergerò col puro mèle ascreo,

L’addormirò co’ le tebane corde.

Se fossi Alceo,

 

La persona gentil ne lo spirtale

Fulgor de gl’inni irradïar vorrei,                                    110

Cingerle il molle crin co’ l’immortale

Fior de gli dèi,

 

E, mentre nel giacinto il braccio folce

E del mio lauro la protegge un ramo,

Chino su ’l cuore mormorarle – O dolce                      115

Signora, io v’amo.

 

10-18 Aprile 1872.

 




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